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Carriera, formazione, nuove competenze, nuovi metodi d'accesso al SSN

di Redazione

Infermieri

In una bozza uscita dall'ultimo Tavolo tecnico per la professione infermieristica si è detto chiaramente alla politica: "dobbiamo passare da un ruolo clinico ad un ruolo dirigenziale vero e proprio!"

Occorre rivedere l'accesso dei Professionisti della Salute non medici al Sistema Sanitario Nazionale, riorganizzare e ridisciplinare il sistema formativo, riconoscere le competenze avanzate e permettere il reale prosieguo di carriera, passando dagli aspetti clinici a quelli gestionali veri e propri. Sono alcune delle propose avanzate dalle Professioni Sanitarie ed in particolare dal settore degli Infermieri al Ministero della Salute e congiuntamente a quelli del Lavoro, dell'Economia e della Funzione Pubblica.

In altre parole gli Infermieri chiedono di ridefinire tutto l'assetto lavorativo e gli incarichi in essere, pensare a nuovi tipi di contratti e a nuovi metodi per entrare, professionalmente parlando, nel Servizio Pubblico. Un po' come accade per i medici; potrebbero non essere necessari i Concorsi, ma potrebbero bastare incarichi libero professionali o convenzioni, un po' come accade per i medici.

A tal proposito lo scorso 16 giugno è stata presentata una prima bozza da parte del Tavolo tecnico per la professione infermieristica a cui dovranno necessariamente aderire (o meno) gli altri Professionisti Sanitari non medici in attesa di un secondo appuntamento previsto per il prossimo 15 luglio.

Ma vediamo nel dettaglio di cosa parla l'intera bozza.

Il quadro di riferimento del Profilo di Salute.

La conoscenza della struttura demografica della popolazione per età e genere rappresenta il punto di partenza per la comprensione dei principali bisogni di salute di un Paese. Lo studio della struttura di una popolazione rappresenta un aspetto centrale per la programmazione delle scelte sanitarie.

I dati dimostrano che lo stato di salute degli italiani è complessivamente buono (Di Giorgio, Rinesi, 2015). L’ultimo rapporto OCSE (Health of Glance 2015) ha evidenziato che la speranza di vita continua ad aumentare ma persistono ampie differenze tra diversi Paesi e gruppi sociodemografici.

Secondo il report dell’OCSE 2015, l'aspettativa di vita continua ad aumentare costantemente in media di 3-4 mesi ogni anno. Questo, grazie specialmente al miglioramento generale delle condizioni di vita, del livello di istruzione, ma anche grazie al miglioramento della qualità delle cure e ai recenti progressi in medicina (OECD, 2016).

In media, le persone con un più alto livello d’istruzione possono aspettarsi di vivere sei anni in più rispetto a persone con un livello più basso d’istruzione. Questa differenza è particolarmente marcata per gli uomini, con un divario medio di quasi otto anni.

Secondo l’OCSE, l'Italia è il quarto paese con la più alta aspettativa di vita che si attesta intorno a 82,8 anni, anche se i dati ISTAT confermano che la speranza di vita alla nascita diminuisce nell’anno 2015. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014) per le donne a 84,7 anni (da 85) (Istat, 2015). La variazione dell’aspettativa di vita alla nascita è attribuibile ai tagli dei fondi sanitari destinati alla prevenzione. Questo è quanto emerge dal Rapporto Osservasalute relativo al 2015. Il nostro paese, infatti, destina solo il 4,1% della spesa sanitaria totale alle attività di prevenzione (Osservasalute, 2015).

Infatti, in controtendenza con la speranza di vita alla nascita, nella popolazione > 65 anni, gli anni vissuti in buona salute in Italia, sono tra i più bassi; con 7 anni senza disabilità per le donne e circa 8 anni per gli uomini. La speranza di vita in buona salute viene calcolata sulla salute percepita, limitazioni nelle attività della vita quotidiana e malattie croniche. Questo indicatore è stato introdotto nel 1970 ed è utilizzato per comprendere se l’allungamento della vita media è stato accompagnato da un aumento degli anni vissuti in buona salute o da un aumento degli anni vissuti in cattiva salute. È stato scelto nel 2004 come uno degli indicatori strutturali da utilizzare per la verifica degli obiettivi strategici dell’Unione Europea, sotto il nome di “anni vissuti in buona salute” (HLY-Healthy Life Years). La risposta dei Servizi Sanitari alle nuove problematiche sono eterogenee all’interno dei paesi OCSE. Il dato italiano evidenzia come l’offerta di assistenza a lungo termine e agli anziani è inferiore rispetto alla maggior parte dei paesi (OCSE, 2016) dimostrando di rispondere non adeguatamente ai nuovi bisogni di salute di pazienti, cronici, fragili, non autosufficienti e sempre più longevi.

Il Prof. Walter Ricciardi conferma che le analisi contenute nel Rapporto Osservasalute segnalano numerosi elementi di criticità, in quanto confermano il trend in diminuzione delle risorse pubbliche a disposizione per la sanità, l’aumento dell’incidenza di alcune patologie tumorali prevenibili, le esigue risorse pubbliche a disposizione per la prevenzione escludendo la possibilità di un intervento proattivo sui problemi di cronicità e fragilità. L’ aumento esponenziale di una popolazione anziana sta caratterizzando uno sviluppo sempre più elevato di malattie croniche come tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Le patologie croniche aumentano con l’aumentare dell’età e la compresenza nello stesso individuo di una o più patologie croniche.

Le patologie cronico-degenerative sono responsabili di circa l’80% della mortalità e di circa il 70% delle spese sanitarie nella popolazione generale e la loro prevalenza è in continua ascesa (Istat, 2014). I dati del 2012 dell’Istat riconoscono tra le cause più frequenti di mortalità le malattie ischemiche del cuore responsabili da sole di circa il 12% dei decessi. Seguono le malattie cerebrovascolari (circa 10% del totale dei decessi) e altre patologie cardiache di origine non ischemica (Osservasalute, 2015).

Una maggiore comorbilità del paziente può comportare una diminuzione della capacità di un individuo di impegnarsi in attività quotidiane, una maggiore dipendenza dagli altri in relazione alle funzioni vitali di base, una difficoltà maggiore di accesso ai servizi territoriali, determinando a tutti gli effetti un soggetto “ fragile” (Gobbens et al., 2010; Wong et al., 2010). Un soggetto, spesso è “fragile” perché non ha possibilità di accedere ad una serie di servizi territoriali pur essendo funzionalmente competente (Liotta et al., 2012).

Il Rapporto CENSIS del giugno 2016 individua in “3.167.000 (il 5,5% della popolazione) i non autosufficienti in Italia. Tra questi, le persone con non autosufficienza grave, in stato di confinamento, cioè costretti in via permanente a letto, su una sedia o nella propria abitazione per impedimenti fisici o psichici, sono 1.436.000. Esiste un modello tipicamente italiano di long term care fatto di centralità della famiglia. Oggi però il modello scricchiola, mostrando crepe che rendono urgente la messa in campo di soluzioni alternative” (QuotidianoSanità, giugno 2016).

D’altro canto anche l’offerta sanitaria si è evoluta nel tempo. Dagli anni Novanta è stato avviato un processo di ammodernamento dell’assistenza ospedaliera e delle professionalità coinvolte in esso, mirato soprattutto alla razionalizzazione dell’offerta e al miglioramento dell’efficienza del sistema sanitario (OsservareSalute, 2012). La crisi economica e l’introduzione dei termini economici in sanità ha ridisegnato nel tempo il “contenitore salute”. I dati riguardanti il personale infermieristico evidenziano che non vi è una distribuzione omogenea per quantità , il risultando inferiore alla media OCSE (90 per 10.000), questi elementi, unitamente alla conoscenza dei bisogni di salute acuti e cronici, consentirebbero una valutazione con finalità di programmazione dei servizi sanitari orientata a fornire ai cittadini servizi in una logica di reti di offerta e percorsi assistenziali (Osservasalute, 2010).

In un’ottica sociale di questo tipo i percorsi di cura non possono concludersi all’interno dell’ospedale, ne identificarsi con l’assistenza offerta dalle cure primarie. I percorsi di cura devono essere integrati tra ospedale e territorio evitando l’isolamento sociale che può essere causa di frequenti riospedalizzazioni (Giuli et al.,2012). Anche la presa in carico ospedaliera degli assistiti, infatti, dovrà prevedere un modello che si caratterizzi per la capacità di porre il paziente al centro del percorso di cura (patient - centered care; modello Bio-Psci-Sociale), puntando all’integrazione e alla personalizzazione dell’assistenza. Risulta particolarmente funzionale allo sviluppo e all’utilizzo dei percorsi clinici integrati, la traduzione locale delle linee guida nella pratica clinica e appare rispondere meglio non solo ai bisogni assistenziali di pazienti sempre più anziani e affetti da complesse polipatologie, ma anche alla necessaria integrazione multidisciplinare.

Poiché esigenze organizzative dell’ospedale per acuti impongono il massimo contenimento delle degenze, il sistema di cura extraospedaliera deve armonizzare le proprie offerte assistenziali con i nuovi bisogni legati alla cronicità, minimizzando il rischio di discontinuità delle cure e di errori gestionali prevedendo un’integrazione professionale orientata al servizio. Il quadro della sanità in Italia sta evolvendo in direzioni decisamente diverse rispetto a quelle dello scorso decennio. Gli attuali cambiamenti sociali e scientifici impongono un’evoluzione dell’organizzazione assistenziale offerta dai servizi sanitari ospedalieri e territoriali.

Quindi, la transizione epidemiologica, fortemente determinata dai mutamenti demografici in corso, impone in modo ormai improrogabile il riorientamento dell’intera offerta assistenziale, volta non solo ad assicurare adeguate risposte agli eventi acuti correlati all’aumento della prevalenza e dell’incidenza di patologie cronico-degenerative, ma soprattutto a garantire efficaci strategie preventive e pro-attive , assicurando altresì l’attivazione di setting assistenziali che consentano di affrontare e gestire, in un’ottica di continuità delle cure, le problematiche di salute connesse agli esiti già manifesti della cronicità.

Affinché tale cambiamento possa essere compiutamente realizzato è necessario che sia realmente garantita la “continuità assistenziale”, intesa come l’attivazione di specifici percorsi di cura attraverso l’adozione di opportuni strumenti di raccordo nonché di professionalità appropriate a rispondere ai nuovi bisogni (Accordo Stato-Regioni, 2004)

Contestualizzazione normativa

Da quanto citato nel paragrafo precedente, appare palese che l’evolversi scientifico, epidemiologico, socio economico e fattuale sta richiedendo a tutte le professioni sanitarie una loro diversa ed evoluta rappresentazione. La componente infermieristica da tempo si sta interrogando per approfondire ed innovare i ruoli e le funzioni che le appartengono, i suoi contenuti professionali e le competenze richieste per poter agire nel prossimo futuro attraverso un coerente riposizionamento in campo formativo, organizzativo e assistenziale sia in ambito ospedaliero che in ambito territoriale.

Con l’attivazione della formazione universitaria infermieristica (sino al suo attuale assetto che prevede: Corso di Laurea e di Laurea magistrale, Master di I e II livello, Dottorato di ricerca) si è dato il via ad una preparazione culturale tecnica e organizzativo-gestionale degli infermieri sicuramente elevata, che si esprime operativamente sia a livello assistenziale, che nella docenza, nella ricerca e nello sviluppo e gestione del personale (L. 251/2000). Tuttavia si rende ancora oggi necessario prevedere e delineare ulteriori sviluppi di carriera di questi professionisti e la spendibilità degli specifici ruoli all’interno del S.S.N., delle Strutture Universitarie, delle altre Amministrazioni Pubbliche e Private, autorizzate e/o accreditate e/o convenzionate.

Importante riferimento

Decreto Legislativo, del 28 Gennaio 2016 n°15, di recepimento è il della direttiva 2013/55/Ue relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali - Regolamento Comunitario N. 1024/2012. Quest’ultimo riguardante la cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (“Regolamento IMI”) dove si conviene sulla necessità di valorizzare le risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale e di favorire l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il D.lgs. è da tenere in considerazione per garantire la nuova organizzazione dei servizi sanitari regionali, con particolare riferimento alla riorganizzazione delle rete ospedaliera, ai servizi territoriali e le relative forme di integrazione, alla promozione della salute e alla presa in carico della cronicità e delle non autosufficienze.., Nel testo, tra l’altro, vengono definite le competenze che la normativa Ue riconosce agli infermieri. Il titolo di infermiere responsabile dell'assistenza generale sancisce la capacità del professionista in questione di applicare almeno le seguenti competenze, a prescindere dal fatto che la formazione si sia svolta in Università, in Istituti di insegnamento superiore di un livello riconosciuto come equivalente o in Scuole Professionali ovvero nell'ambito di programmi di formazione professionale infermieristica:

1. la competenza di individuare autonomamente le cure infermieristiche necessarie utilizzando le conoscenze teoriche e cliniche attuali nonché di pianificare, organizzare e prestare le cure infermieristiche nel trattamento dei pazienti, sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite (e già indicate nel Dlgs 206/2007, ndr), in un'ottica di miglioramento della pratica professionale;

2. la competenza di lavorare efficacemente con altri operatori del settore sanitario, anche per quanto concerne la partecipazione alla formazione pratica del personale sanitario sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite;

3. la competenza di orientare individui, famiglie e gruppi verso stili di vita sani e l'autoterapia, sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite ai sensi del comma 6, lettere a) e b);

4. la competenza di avviare autonomamente misure immediate per il mantenimento in vita e di intervenire in situazioni di crisi e catastrofi;

5. la competenza di fornire autonomamente consigli, indicazioni e supporto alle persone bisognose di cure e alle loro figure di appoggio;

6. la competenza di garantire autonomamente la qualità delle cure infermieristiche e di valutarle;

7. la competenza di comunicare in modo esaustivo e professionale e di cooperare con gli esponenti di altre professioni del settore sanitario;

8. la competenza di analizzare la qualità dell'assistenza in un'ottica di miglioramento della propria pratica professionale come infermiere responsabile dell'assistenza generale.

Si rende necessario, pertanto, per l’attuazione di quanto previsto all’art. 1 comma 1 del D.lgs. 28 Gennaio 2016 n° 15, procedere ad innovare l’accesso delle professioni sanitarie al Servizio Sanitario Nazionale, nonché a ridisciplinare la formazione di base,specialistica e lo sviluppo professionale di carriera con l’introduzione di misure volte ad assicurare una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle attività professionali e nell’utilizzo del personale nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

A supporto di quanto finora affermato, i documenti “Revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in ItaliaDivisione Salute OCSE (2015) e il Rapporto Annuale ISTAT 2015 ribadiscono che, per il mantenimento dei principi che definiscono il SSN e per la sostenibilità complessiva del Sistema, è necessario dare maggiore forza e spazio alle potenzialità dei professionisti sanitari, innovare i modelli organizzativi e i processi di lavoro, oltre che aumentare l'efficienza e l'appropriatezza del Sistema stesso.

In questo quadro, è, quindi, necessario un approccio più “solido” e “ambizioso” nella ridefinizione dei modelli organizzativi e assistenziali e, soprattutto, nell'innovazione e ridefinizione dell'assistenza primaria, ancora prevalentemente orientata a servizi "tradizionali" anziché "di iniziativa", impostati sulle reti multiprofessionali di presa in carico e continuità assistenziale. È altresì necessario ampliare l'assistenza nel domicilio, attivare gli ospedali di comunità, le case della salute, i servizi ambulatoriali di prossimità. Modalità assistenziali, tutte, in cui le professioni sanitarie – infermieri in primis - costituiscono una risorsa basilare.

Anche le indicazioni e gli obiettivi contenuti nel vigente Patto per la salute 2014-2016 prendono atto del contesto demografico ed epidemiologico e pongono specifica attenzione all'efficacia, all'appropriatezza, alla sostenibilità del Sistema e alla necessità di valorizzare, rafforzandolo, il patrimonio professionale operante nel Sistema stesso. La legge 190/2015 - comma 566 - richiama a sua volta gli orientamenti del Patto per la salute e pone le basi per intervenire su ruoli, funzioni e modalità operative dei professionisti sanitari, sostenendo l'evoluzione delle loro competenze - anche attraverso percorsi di formazione complementare - e privilegiando i sistemi a rete e il lavoro in squadra. Il 04/07/2015, la Federazione dei Collegi Ipasvi ha presentato in Consiglio nazionale il nuovo modello di evoluzione delle competenze infermieristiche, che si richiama al Patto per la salute e alla bozza di accordo Stato-Regioni sulle competenze avanzate. Competenze cliniche "perfezionate", "esperte" e "specialistiche”.

Due assi su cui disegnare la professionalità: quello della clinica, che rappresenta la linea del governo dei processi assistenziali, e quello della gestione, che rappresenta il governo dei processi organizzativi e delle risorse.

I nuovi modelli formativi corrispondono ad un approfondimento delle competenze cliniche e gestionali, realizzato grazie ad una formazione adeguata, diretta a garantire l’irrobustimento e approfondimento specialistico delle conoscenze e delle capacità assistenziali dell’infermiere in un determinato settore gestionale o in un’area clinica, in relazione ai bisogni di assistenza infermieristica, all’erogazione e valutazione di prestazioni e risultati e al governo dei processi assistenziali specifici.

Dal punto di vista della gestione è prevista un’espansione delle competenze attraverso un processo che parte da quelle “disciplinari” e va verso conoscenze e capacità proprie del governo delle risorse e processi organizzativi. Le specializzazioni infermieristiche, prendendo così corpo, richiedono l’approfondimento disciplinare del processo di assistenza e successivamente disegnano le abilità tecniche degli infermieri, abilità da utilizzare nei processi di assistenza su tutto il territorio nazionale.

Per realizzare i due assi, della clinica e della gestione, rimane tuttavia imprescindibile l’individuazione di criteri condivisi per l’attribuzione di specifiche aree di competenza, in forza dei quali le diverse funzioni e responsabilità possano essere opportunamente intestate alla professione infermieristica.

Il D.M. 739/1994, la L. 42/1999 e, da ultimo, il codice deontologico dell’infermiere utilizzano un linguaggio univoco nella caratterizzazione della figura infermieristica: attività, competenze, responsabilità e autonomia. Le norme, quindi, individuano i tratti salienti di una professione profondamente rinnovata, oltre che nella sostanza anche nella “forma”. Per mettere a fuoco in modo sempre più nitido che tipo di professionista scaturisca dalla sintesi di queste categorie, è utile offrirne una pur iniziale ricognizione semantica.

Il termine responsabilità richiama primariamente due nozioni:

− L’obbligo di rispondere personalmente e davanti all’autorità costituita della propria condotta professionale;
− L’impegno, non privo di connotati etici, ad attivarsi per osservare in tutte le situazioni il comportamento più appropriato.

Certamente, la responsabilità infermieristica non nasce con la L. 42/1999, eppure questa è la prima volta che ad essa si fa cenno in una fonte primaria.

Quanto alle competenze, l’art. 1, co. 2 della Legge 42/99 attesta formalmente che il campo proprio “di attività e responsabilità” deve essere determinato facendo “salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario”. In via preliminare, si noti che la norma stabilisce una corrispondenza diretta tra i concetti di competenza e quelli di attività e responsabilità. Infatti, tutto ciò che è competenza altrui rimane per ciò stesso fuori dal campo di attività e responsabilità infermieristica. Assunto questo concetto, il campo di esercizio delle competenze sarebbe allora da intendere in continuo divenire, per il progressivo abbandono dei modelli tradizionali dell’assistenza sanitaria. Una concezione dinamica delle funzioni e competenze delle professioni sanitarie si rivelerebbe, inoltre, del tutto coerente con la crescita culturale degli operatori, quale vero fondamento dell’intero processo di adeguamento dell’offerta sanitaria.

Il punto centrale sta nel riconoscimento di questa particolare situazione giuridica e della sua connessione ad un ruolo determinato all’interno dell’organizzazione. Infatti, a carico dell’infermiere, sussiste una responsabilità generale ed esclusiva che si collega all’ampio ventaglio di funzioni proprie nell’ambito della prevenzione, dell’assistenza e dell’educazione sanitaria, con un approccio globale alle necessità della persona, addirittura fin dalla fase che precede il loro manifestarsi. Questo è il senso di una responsabilità che si estende ormai dalla prevenzione sino allo spazio delle cure palliative.

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