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editoriale

Da Parigi a Roma, in cattiva salute

di Giordano Cotichelli

Parigi, 21 settembre 2019, ore 9. Dal terrapieno del giardino delle Tuileries verso l’Arco di Trionfo si scorge la spianata degli Champs Elysées desolatamente vuota. Per motivi di ordine pubblico, un cordone sanitario è stato realizzato tutt’intorno all’area dove si dovrebbe svolgere l’act 45 dei gilet gialli. Ciononostante, gli ampi spazi si riempiranno di dimostranti nelle prime ore del pomeriggio, come in altri punti della città, identificati dal suono pressoché continuo delle sirene di polizia, pompieri ed ambulanze. Incrocio un gruppo di pronto intervento sanitario – medici ed infermieri – bardati di tutto punto, pronti ad intervenire lungo il corteo in soccorso di feriti vari. Sembra che vadano alla guerra. Mi ricordano Genova nel 2001. Chiedo loro: Perché siete qui? Perché c’è bisogno di noi, come sanitari – mi risponde un tizio robusto che ha scritto sul petto infirmier – Perché bisogna difendere la salute di chi oggi scenderà in piazza – gli fa eco una collega - e la salute di tutti coloro che rischiano di perderla, perché non hanno i soldi per pagarsela.

Una metafora della salute pubblica e del SSN in Italia

In Francia negli ultimi anni la ristrutturazione del sistema sanitario è stata simile a quella italiana, con la differenza che oltralpe si sono diffuse in maniera importante le assicurazioni sanitarie.

Le disuguaglianze nella salute sono aumentate e il paese è scivolato, per aspettativa di vita, al 9° posto (82,6 anni) della classifica Ocse. Non molto distante si colloca l’Italia con un 4° posto (83 anni) dopo Giappone, Svizzera e Spagna.

Un buon risultato, frutto però di un’onda lunga che rischia di esaurirsi nel tempo visto il peggioramento di alcuni dati significativi in relazione al SSN. Nella sostanza gli ottantenni di oggi avevano quarant’anni quando il SSN entrava in attività, allargando l’accesso alle cure, alla prevenzione, alla diagnostica.

Un’offerta che non è più la stessa per i quarantenni di oggi, in balia delle insicurezze determinate dalla perdita progressiva di diritti e garanzie sociali. Il rapporto della Ragioneria dello Stato mostra come la spesa sanitaria in Italia, in relazione al Pil si sia abbassata nell’ultimo decennio, passando dal 7,5% del 2009 al 6,8 del 2017, con un'importante diminuzione che si rende ancora più di rilievo se paragonata alla media europea: rispettivamente per gli anni citati del 7,3% e del 7%, trasformando lo scarto di 0,2 punti percentuali in un dato che prima collocava la sanità italiana sopra la media europea mentre ora è al di sotto.

La Fondazione Gimbe in questo parla di 37 miliardi tolti alla sanità pubblica, con una prospettiva non piacevole per i prossimi anni stando al DEF 2019, che prevede una ulteriore riduzione del rapporto con il Pil di un 6,6% per il 2020, 6,5% per il 2021 e un 6,4% per il 2022; in netta controtendenza rispetto a molti paesi europei che hanno investito in spesa sanitaria, mostrando valori in crescita.

Una prospettiva non edificante, prodotto tossico, per il SSN, di un mondo che ha visto chiusure di ospedali, tagli di personale, rinuncia alla cure, verso una lenta, ma inesorabile, discesa verso gli infermi, facilitata dalle scelte di Palazzo le quali hanno prodotto, nella migliore delle letture, una stagflazione (termine modulato dall’economia) della sanità nazionale in cui il patrimonio pubblico della salute di un intero paese sta perdendo progressivamente valore in un quadro di sistema dove innovazione ed aggiornamento, investimenti e manutenzione, conservazione e progresso non trovano alcun percorso di sviluppo, sia in campo sanitario, sia in particolar modo nei settori utili a condizionare quelli che la scienza medica definisce come determinati della salute: reddito, occupazione, stili di vita, istruzione e ambiente.

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