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La colonscopia: il Gold standard per il tumore del colon retto

di Giuseppe Cannito

Da quanto affermato dall’Associazione  Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in uno studio fatto nel 2011, il numero di malati di cancro in Italia e in netto aumento, data la copresenza di una serie di fattori che vanno dall’invecchiamento demografico, all’avanzamento e alla maggiore diffusione delle tecniche diagnostiche, alla migliorata efficacia dei trattamenti.

La frequenza dei decessi causati dai tumori nell’area dell’Associazione Italiana Registri Tumori è in media ogni anno di circa 3,5 decessi ogni 1000 residenti uomini  e circa 2,5 ogni 1000 donne. Pertanto si può calcolare che, in Italia, ogni giorno quasi 500 persone muoiono per tumore.

Tra i maschi si trova al terzo posto, preceduto da prostata e polmone (14% di tutti i nuovi tumori), nelle femmine al secondo posto, preceduto dalla mammella, con 13%.

Secondo i dati riportati dell'AIOM nella loro indagine del 2011, il cancro del colon retto è più frequente nelle donne. La frequenza maggiore di contrarre il cancro del colon retto nei maschi avviene con uguale percentuale tra i 50 e i 70 anni, mentre nelle donne la frequenza maggiore si registra a partire dai 70 anni in poi. La colonscopia riveste dunque molta importanza nella società moderna se si pensa al numero di malati di cancro in Italia e rappresenta il “gold standard” di riferimento per tutte le altre metodiche.

Infatti è l’unica tecnica che permette un’esplorazione completa ed affidabile di tutto il colon essendo allo stesso tempo diagnostica ed, in un discreto numero di casi, terapeutica, poiché consente di rimuovere agevolmente i polipi adenomatosi precursori del cancro del colon retto. Nella diagnosi di quest’ultimo, la colonscopia viene preceduta dalla ricerca del sangue occulto nelle feci che sebbene sia un test non invasivo e accettato positivamente dalla popolazione,  pone problemi sui risultati falsi positivi e falsi negativi legati alla dieta.

Molto importante nella prevenzione del cancro del colon retto è dunque l’attuazione di campagne di prevenzione  che trasmettano ai cittadini l’importanza di sottoporsi alle campagne di screening per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto. Visto la rilevanza di questa tecnica diagnostica risulta importante valutare l’approccio infermieristico. In particolare la seguente tesi prevede una revisione della letteratura utile a comprendere l’assistenza ad un paziente che  prova dolore durante l’esecuzione della colonscopia  visto che è una delle complicanze più frequenti e si manifesta con gonfiore (25%) dolore addominale e/o disagio nel 5% - 11%. 

Si è visto che  la modalità di esecuzione della colonscopia può influire sul dolore/disagio provato dal paziente. In particolare riducendo al minimo dell’ insufflazione di aria si ha una riduzione di questa sintomatologia. Inoltre, l’uso di tecniche a immersione di acqua evitano l’insufflazione di aria  riducendo il dolore, soprattutto nel caso in cui venga utilizzata una minima o nessuna sedazione. Anche la preparazione intestinale è un aspetto che influisce sul comfort del paziente, infatti una adeguata pulizia del tratto da indagare diminuisce i tempi di intubazione e rende di conseguenza meno dolorosa la pratica.  Da questo si evince, la  gestione del dolore durante la colonscopia è una priorità assistenziale e l’infermiere deve attuare tutti quegli interventi atti a prevenire o a ridurlo. 

Nella maggior parte degli stati europei  e negli USA la colonscopia viene eseguita previa sedazione, mentre in Finlandia gli infermieri mettono in atti interventi non farmacologici per la gestione del dolore.

La colonscopia è una tecnica endoscopica che permette la visualizzazione della mucosa dell’ intero intestino crasso ed è possibile, di solito, anche la visualizzazione dell’ ileo terminale distale. È  ampiamente utilizzata per la diagnosi e il  trattamento dei disturbi del colon  ed  è generalmente sicura, precisa e ben tollerata dalla maggior parte dei pazienti.

In particolare questa tecnica endoscopica è utilizzata per  il prelievo di campioni bioptici per diagnosticare condizioni morbose, per identificare e rimuovere polipi ed per avere una diagnosi certa laddove siano presenti studi radiografici anormali del colon. È inoltre utilizzata come metodo di sorveglianza dopo la resezione in caso di cancro, e per monitorare l’andamento dell’infiammazione causata da malattia intestinale infiammatoria.  

L'uso della colonscopia è stato accettato come il più efficace metodo di screening per la neoplasia del colon in pazienti di età superiore ai 50 anni e nei pazienti più giovani con fattori di rischio. L'efficacia della colonscopia nel ridurre l'incidenza del cancro del colon dipende dalla visualizzazione adeguata di tutto il colon, dalla  diligenza adottata  in sede di esame della mucosa e dall’accettazione da parte del paziente della procedura. La qualità della  preparazione influisce su varie componenti come sulla  possibilità di eseguire un esame completo, sulla  durata della  procedura  e sulla necessità di annullare o riprogrammare procedure. L’inefficace preparazione è di conseguenza un aspetto che va anche ad influire sui costi.  

È stato dimostrato che i tempi di intubazione cecale prolungati, aiutano a  migliorare i tassi di rilevamento del polipo, e viceversa, nelle rapide esecuzioni, si può mancare di rilevare le lesioni e quindi perdere l’ efficacia nella  prevenzione del cancro del colon mediante la colonscopia.  

I bassi tassi nell’individuazione di adenomi di grandi dimensioni (≥ 1 cm) durante la colonscopia possono  essere più elevati  di quanto si pensasse. Si può inoltre affermare che  la  competenza tecnica aiuta a prevenire le complicanze ed è in grado di compensare qualsiasi rapporto costo-beneficio ottenuto rimuovendo le lesioni neoplastiche.

Inoltre la colonscopia può essere usata come metodo per classificare i pazienti a seconda del rischio di sviluppare il tumore del colon-retto. Un concetto interessante sarebbe quello di utilizzare la colonscopia di screening secondo un triage offrendola una volta per tutti a 60 anni di età e utilizzando i risultati per classificare le persone con un basso rischio di sviluppare tumore colon-rettale (senza rilevare adenomi) o con un rischio elevato (adenomi rilevati in stadio avanzato), con stretta sorveglianza per quest'ultimo gruppo.

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