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Diseguaglianze nella salute: infermieri per un sistema equo e sostenibile

di Marco Alaimo

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FIRENZE. Intervista a Cecilia Sironi presidente della CNAI e a Giancarlo Brunetti delegato del Nucleo associativo di Firenze; un’intervista che nasce dopo aver partecipato al convegno organizzato presso l’ospedale San Giovanni di Dio (Torregalli) di Firenze, nel quale si è parlato di tematiche attuali come le diseguaglianze nella salute, ma anche della forza vitale che gli infermieri possono introdurre nella sanità, fino al coinvolgimento degli assistiti con la presenza di diverse associazioni di pazienti per fare il punto sulla professione e sulle sfide future.

La CNAI (Consociazione Nazionale delle Associazioni Infermiere/i) un organismo indipendente e non governativo sorto nel 1946, è membro dell’International Council of Nurses (ICN) e rappresenta gli Infermieri italiani nel mondo.

 

Promuove e favorisce tutte le iniziative tendenti al continuo miglioramento culturale e professionale degli infermieri, in rapporto all'evoluzione dei bisogni della persona e della comunità; tutte le iniziative atte a migliorare e mantenere la qualità dei servizi sanitari e sociali del Paese e lo status degli infermieri; la partecipazione alla formulazione di norme legislative e programmi sanitari e sociali nel campo della formazione e dell'esercizio professionale, apportando il contributo della propria competenza specifica e collaborando alla loro applicazione; tutte le iniziative di ricerca, di formazione e di documentazione, per il raggiungimento degli obiettivi statutari.

 

Grazie alla Dr.ssa Sironi per questo tempo dedicato e per la chiarezza del suo pensiero, dato anche dalle qualifiche e le esperienze da Lei maturate negli anni all’estero e in diversi incarichi sia nella formazione che nell’associazionismo, per maggiori informazioni si può consultare il sito dello CNAI: cnai.info

 

 Intanto due domande:

 

Parlando di cambiamento; cosa possiamo fare per la Sanità? Possiamo intanto cambiare noi? Quali sono secondo le sue esperienze anche internazionali, ma anche come presidente nazionale, le maggiori motivazioni al cambiamento per la nostra professione (comportamentale/culturale) tenendo conto anche del quadro storico attuale?

 

Credo che le motivazioni al cambiamento ogni professionista, in quanto tale, debba trovarle innanzi tutto in se stesso, è qualcosa di personale e ha a che fare con lo sviluppo del proprio pensiero, nel nostro lavoro il malato capisce con chi ha a che fare. Il problema non è dire sono un professionista ma è ESSERLO. Non è fare l’infermiere ma ESSERE infermiere. Questo vuol dire esserlo per 365 giorni all’anno, e senza nessuna delega.

 

Da anni mi occupo di formazione e devo dire che questo concetto dell’essere è molto legato a chi accede alla professione e, in secondo luogo, alla formazione di base. Il processo di professionalizzazione e di assunzione di identità inizia con la formazione di base.

 

A volte mi pare questo sia un elemento preoccupante nel senso che l’attuale formazione infermieristica in università italiana corre il rischio di aver tenuto, da una parte degli aspetti vecchi (delle vecchie scuole infermieri) e dall’altra di aver appreso i vizi, più che le virtù, delle università. Cambiamento del singolo vuol dire avere dei buoni maestri.

 

È necessario avere amore per la verità e l’onesta intellettuale nel promuovere la scienza e l’evoluzione professionale. Nessuno è detentore di verità in assoluto e per sempre; ad esempio la forte spinta verso l’Evidence Based Practice è molto positiva, per evitare interventi inappropriati o obsoleti e garantire la qualità, ma l’insegnamento non deve escludere altre forme di sviluppo delle conoscenze e insegnare ad apprendere continuamente perché ciò che è valido oggi può non esserlo più in futuro. Come professionisti dobbiamo apprendere a imparare e a cambiare continuamente.

 

Il discorso parte quindi da una modificazione interna, il problema del cambiamento spesso è personale, tendiamo a delegare sempre, a dire che è sempre colpa dell’azienda in cui lavoriamo, del Collegio, del collega, insomma degli altri. Ma io cosa sto facendo per la mia professione?

 

Questo per noi è evidente nelle associazioni, dove si lavora in modo gratuito e mettendoci del proprio insieme a risorse personali.

 

La motivazione al cambiamento la ritrovo, oltre che in me stessa e nei valori che ho appreso e che possiedo, come persona e come professionista, l’ho trovata, in questi più di 30 anni di professione, tenendo le “finestre aperte” sul livello internazionale.

 

Il provincialismo che è un approccio diciamo culturale è una caratteristica abbastanza tipica di realtà nostre aziendali ospedaliere, sanitarie etc. in Italia parlando anche a livelli di dirigenza nazionale spesso sentiamo dire che i traguardi raggiunti sono quanto di meglio sia possibile, dobbiamo invece uscire da una logica minimalista perché come professionisti “non ci basta mai” né per noi, né per le persone che assistiamo ogni giorno.

 

Non può bastare mai ciò che facciamo per loro. Abbiamo sicuramente conquistato tanti traguardi, però questo non può bastare. Dobbiamo imparare da tutti, perché abbiamo spesso una logica un po’ nazionale senza sconfinare altrove. Ad esempio, potremmo imparare molto da diversi paesi africani, dove hanno situazioni particolari e con poco fanno moltissimo. Quindi avere un occhio e un orecchio sempre aperto agli eventi internazionali e cercare di vedere cosa succede fuori i confini nazionali.

 

Nel suo intervento ha parlato anche del concetto di Rete e Comunicazione come elementi cruciali ed essenziali per il professionista in sanità. Cosa si intende?

 

Il discorso comunicazione è molto ampio e legato sicuramente anche a variabili personali come capacità e attitudini. Per quanto riguarda il concetto di rete lo vedo molto legato al senso di apertura, ma anche al concetto di identità, infatti se io so bene chi sono non ho nessun problema a confrontarmi con gli altri, a dialogare e persino a litigare, ma poi a perseguire un obiettivo comune.

 

Si può benissimo parlare con le altre professioni, ma se io non so bene chi sono, qual è la mia mission professionale, il mio punto di vista e della mia professione, si rischia di perdere la bussola e seguire strade non volute. Allora avvengono le chiusure non solo mentali ma anche professionali, si mira quindi al consolidamento, al mantenimento di qualcosa che si ha paura di perdere o cambiare.

 

Serve una rete di comunicazione e di collaborazione. Ad esempio in CNAI si cerca proprio di stabilire una rete di persone e professionisti. L’esperienza che faremo in Italia ospitando EXPO a Milano è qualcosa che si muove proprio in questo senso. Per questo ci è venuto in mente di lanciare il progetto Nurses for EXPO.

 

Vogliamo infatti parlare di Nurses for EXPO e alimentazione, un tema chiave di tutta l’esposizione universale che si terrà a Milano nel 2015 con il titolo: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Ci vuole introdurre un po’ questo concetto legato anche alla salute e al benessere.

 

Il tema di EXPO apparentemente non c’entra niente con gli infermieri, avremo la presenza di compagnie internazionali, enti di commercio, politici, ministeri e professionisti da tutto il mondo. Saranno presenti vari padiglioni, tra cui quello dell’Italia con i vari settori d’ interesse.

 

L’idea che è nata da CNAI, essendo una libera associazione che però rappresenta gli infermieri nel mondo, è stata quella di approfittare di questo palcoscenico internazionale, che per ben sei mesi parlerà di alimentazione, energia, sostenibilità etc .. ma non solo, e quindi si potrà parlare di tematiche universali, di povertà, di alimentazione insufficiente in una gran parte della popolazione del mondo.

 

Quanto gli infermieri sono impegnati nel sociale per sostenere un’alimentazione per tutti? Quanto invece un’alimentazione scorretta causa malattia in Italia e nel mondo? Le varie patologie dell’affluenza e dell’eccesso (malattie dismetaboliche, diabete, obesità, patologie cardiovascolarii) tutti temi cari all’OMS, al Ministero della salute.

 

Quanto in Italia è stato fatto come campagne di prevenzione alla salute? Quanto è stato investito su queste tematiche per educare e prevenire queste malattie? Gli infermieri sono una grossa risorsa per evitare che la gente si ammali. Ci chiediamo perché non li usiamo? Perché non abbiamo le School Nurses, perché non abbiamo gli infermieri nei Campus universitari, nei distretti, nelle farmacie?

 

Nelle esperienze nord-americane, in Giappone e in numerosi Paesi europei questi infermieri sono i primi promotori di stili di vita sani,  attivi nella prevenzione.

 

Sull’alimentazione poi c’è tutto un lavoro da poter fare andando a vedere le interazioni alimentazione-cancro, alimentazione-diabete-ipertensione ecc., potremmo evitare terapie e ricadute e quindi un dispendio enorme non solo da un punto di vista economico. Migliorando lo stile di vita potremmo fare cose davvero importanti per la Sanità.

 

Quindi l’Infermiere per la prevenzione come un attore strategico a favore del benessere, cosa che poi potrebbe anche aiutarci a fare il salto dall’ospedale al territorio nella continuità assistenziale.

 

 La Ricerca in Italia, perché è così povera, poca e insufficiente?

 

Questa domanda non vale solo per gli infermieri ovviamente, ma per tutte le professioni che si occupano di salute. In Italia ci sono state e ci sono persone capaci e che hanno fatto scuola nella ricerca infermieristica e non solo. Non sto a nominarle tutte per evitare di scordarmi di qualcuno.

 

Però il problema è che in Italia è nata in parallelo con la professione medica con la ricerca epidemiologica, ma se noi non lavoriamo a partire dal nostro centro di interesse specifico, ovvero le scienze infermieristiche, non abbiamo un paio di occhiali disciplinari per fare ricerca e cogliere i fenomeni da studiare come professionisti.

 

La Nursing research secondo me è la base da cui partire, per poi fare tutto il resto ovvero la ricerca epidemiologica, la healthcare research; dobbiamo ancora elaborare e riflettere a livello teorico per far crescere l’identità e la conoscenza infermieristica Italiana per poi fare il resto.

 

Quindi, la metodologia per fare la ricerca è identica per tutti, ma il paio di occhiali con cui come infermiere vedo il mondo è diverso. Gli infermieri hanno una visione particolare che è data dall’ottica disciplinare infermieristica. Dobbiamo lavorare sul nostro contributo specifico e peculiare.

 

A Giancarlo Brunetti facciamo un paio di domande specifiche sulla professione in particolare sugli infermieri come “Forza vitale della Sanità”

 

Si è parlato dell’importanza di “esserci” in primis come professionisti, esserci in sanità, in politica, nelle questioni cruciali del nostro paese. Come fare per esserci? Cosa ci manca?

 

Manca soprattutto un confronto tra pari, fra di noi, all'interno della professione. Non per nulla uno degli obiettivi di questo convegno è quello di guardare un po’ più lontano di quelle che sono le questioni quotidiane degli infermieri.

 

È giusto discutere delle cose più vicine alla realtà lavorativa, però c’è da dire che la professione infermieristica si occupa molto spesso del suo specifico e non riesce a guardare più lontano. Alla fine non riusciamo ad essere visibili verso i cittadini e con gli altri professionisti; non parliamo solo di riconoscimento sociale, ma di una visibilità e un riconoscimento che abbia anche un peso sui tavoli decisionali.

 

L’infermiere spesso pensa ancora che non spetti a lui fare politica, entrare nelle istituzioni e nelle organizzazioni, oppure impegnarsi nel volontariato, nelle associazioni. Nei collegi accade che si creano delle piccole élite di persone che si impegnano, che si danno da fare, ma che alla fine lavorano da sole, bisogna che tutti diano il loro contributo.

 

Un nostro difetto è proprio quello di non riuscire a sviluppare delle reti virtuose di collaborazione. CNAI a mio avviso può creare delle occasioni d’incontro per dare nuovi contenuti, non abbiamo tante risorse, ma credo che sia fondamentale proseguire il percorso e continuare a seminare, fare sinergia con le altre associazioni, porre attenzione a quello che succede nei contesti internazionali.

 

Quindi come infermieri possiamo fare di più e far pesare la nostra presenza, anche attraverso l’associazionismo come CNAI.

 

C’è un passaggio importante della professione che da mero “esecutore a formatore”. Infermiere come colui che educa, che fa il self-care, che aiuta le persone a gestire in autonomia la propria salute. Anche questo fa parte del sistema equo e sostenibile di cui tanto si parla?

 

Credo che rappresenti la caratteristica che distingue la professione infermieristica anche se dovrebbe essere vero anche per le altre professioni sanitarie, però il medico (se vogliamo semplificare al massimo e forse anche in maniera ingiusta) cala il suo sapere dall’alto a volte senza coinvolgere il paziente, sono conoscenze che il paziente non ha e che il medico utilizza per il suo bene.

 

L’infermiere invece è il professionista che si mette accanto alla persona, il suo ruolo primario è quello di fornire all’assistito gli strumenti necessari affinché la persona possa in autonomia prendersi cura di se stesso, ad esempio educarlo a cambiare gli stili di vita là dove sono disfunzionali per la propria salute.

 

Parliamo alla persona con lo stesso linguaggio, per fare questo, a mio parere, dobbiamo crescere ancora. È necessario ascoltare, imparare da loro, essere flessibili di fronte alla variabilità delle situazioni.

 

In questo convegno ci siamo aperti al confronto con i rappresentati dei pazienti e con i pazienti stessi, è positivo crescere con questo desiderio di reciprocità e condivisione. Questo, oltre ad essere un elemento per il miglioramento della salute, è anche importante per la sostenibilità del sistema sanitario perché più si dà la possibilità alle persone di curarsi da sole e di capire quando hanno realmente bisogno di accedere a un servizio, più c'è un risparmio per il SSN.

 

Concludiamo con un pensiero finale della Presidente CNAI Cecilia Sironi

 

La visibilità è un concetto fondamentale, leggendo un articolo della giornalista Susan Gordon lei si rese conto dell’importanza della professione infermieristica, solo quando lei stessa ne ebbe bisogno, ebbe bisogno del servizio sanitario. Purtroppo spesso avviene cosi.

 

Lei ha scritto un libro “From silence to voice”, inoltre lei ha tenuto diversi incontri proprio sulle relazioni anche in diverse università americane. Un libro molto interessante, in cui lei dice che l’errore grosso che facciamo noi infermieri è quello di non spiegare e non dire quello che stiamo facendo.

 

Ad esempio nel post-operatorio la prima cosa che facciamo è spesso il mandare fuori tutti, sistemare la persona e poi continuare le terapie del caso ecc., questo va bene ma dobbiamo anche esternare ai familiari, alle persone coinvolte ciò che facciamo, in termini di monitoraggio (pressione, diuresi..) di sicurezza, di qualità assistenziale, di garanzia e di buon esito nelle procedure di nursing.

 

Le persone si devono rendere conto dello spessore di conoscenze e di esperienze che l’infermiere ha, che ruolo nello specifico contesto assistenziale, e che l’infermiere con il suo agire salva le persone.

 

Susan Gordon ha anche fatto quella bellissima lettera/poesia “Sono solo un infermiere” che io ho personalmente tradotto, e fatto girare un po’ per tutta italia. C’è un mondo da scoprire, che tocca solo a noi esplorare.

 

Nel corso di Laurea magistrale, con tante ore e alle volte con vecchi piani di studio senza nessun indirizzo specifico, dovrebbe esserci invece come minimo un indirizzo manageriale, uno nell’ambito educativo- formativo, nell’ambito della ricerca, e uno nell’advance nursing practice.

 

Non è possibile avere solo dei master. In questi corsi tra i moduli trasversali ci starebbe molto bene un modulo su come l’infermiere si rapporta con i cittadini e i media. Ad esempio il lavoro che state facendo voi di Nurse 24 è davvero innovativo e può essere di esempio per molti.

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