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Lavorare in Rianimazione: un bellissimo inferno

di Marco Alaimo

Il racconto affascinante, appassionato di un Infermiere che dopo un'esperienza di vita inizia a raccontarci storie diverse

HôpitalMi ha molto colpito leggere in questi giorni un suo recente scritto dal titolo"L'inferno dentro: la rianimazione" in cui si racconta e si narra l'esperienza di un infermiere, Andrea Leonelli, che vive con passione un lavoro così intenso che potrebbe anche diventare un "Inferno" perché... Il nostro è un lavoro che ti logora piano, lentamente e in modo subdolo. Ti consuma. Arriva a scavare nel profondo e gli unici che possono realmente comprendere i tuoi stati d’animo sono i colleghi.. e lavorare in rianimazione può cambiarti la vita. In molti modi diversi.


andrea-leonelliLeggiamo nella tua biografia che nasci come Infermiere, poi dopo una malattia (un infarto) che ti ha "cambiato" profondamente la visione della vita inizi a scrivere. Ci vuoi raccontare brevemente cosa è successo? Come è stato il passaggio da infermiere a malato?

Rapido, traumatico e spaventoso. Sono stato colto da un infarto. Ma devo dire che sono stato molto fortunato. È stato come l'improvviso suono di una sveglia (avrei preferito una suoneria diversa, lo confesso) che mi ha costretto ad aprire improvvisamente gli occhi e a toccare con mano l'impalpabilità e la fragilità dell'essere umano. Si passa da uno stato di benessere a uno di “probabile inesistenza” in un attimo. Dopo quella brutale presa di coscienza sono seguiti molti cambiamenti nella mia vita e ho anche iniziato a scrivere, mi sono accorto che mi era terapeutico e che mi faceva stare meglio, anche andando contro ai commenti di chi, in quei giorni, poco credeva nel mio bisogno di dovermi esprimere. Per adesso ho pubblicato solo raccolte di poesie, ma sto lavorando a un libro che racconterà in modo dettagliato gli avvenimenti e tutto ciò che ne è seguito.

Che cosa vuol dire lavorare come infermiere in rianimazione. A un certo punto ti fai e ci fai tante domande (Ma per alcuni pazienti che ce la fanno, quante volte paghiamo il prezzo dell’impotenza? Quante volte possiamo soltanto assistere a una vita che si spegne?) inducendoci a una riflessione sulla professione, ma anche sulla vita. Che vuoi trasmettere?

Molte cose possono trasparire: un certo fatalismo, dovuto al fatto che a volte i pazienti imboccano una strada piuttosto che un'altra, a prescindere da ciò che facciamo; quali sono i limiti che un essere umano può arrivare a sopportare; quanto pesano fisicamente ed emotivamente le sensazioni che riusciamo a provare; cosa abbiamo al di fuori del lavoro. Sono domande che, almeno io, mi pongo spesso e alle quali a volte trovo una risposta. Altre volte devo adattarmi ad andare avanti semplicemente accettando, per quel che è, la vita. La cosa principale è che la vita è una. Una soltanto e solo a pochi fortunati viene data una seconda opportunità. Sta a noi e a noi soltanto decidere come vivere e cosa fare. Ognuno compie le proprie scelte influenzando chi ha attorno. Agire in modo positivo propaga, nel “mare dell'umanità”, onde positive e questo secondo me è quello che va fatto: agire in modo da trasmettere positività. Non sempre è possibile né facile, assolutamente, ma l'impegno non dovrebbe mai mancare.

Lavorare in rianimazione è un bellissimo inferno... ma può essere anche una tremenda prigione. Cosa ne pensi?

Penso che almeno in parte sia vero. Le rianimazioni sono reparti chiusi e si crea quasi un microcosmo semi indipendente dal resto dei reparti e servizi. Molti colleghi, che passano dentro il reparto per un motivo o per un altro, spesso chiedono: “Ma come fate a star chiusi qua dentro?” Sinceramente non so cosa rispondere. Da una parte non credo che vorrei lavorare altrove e a volte dubito che sarei capace di riabituarmi a lavorare in modo diverso. In rianimazione riesci a “stare addosso” al malato, a seguirlo momento per momento e a inquadrarne le condizioni in modo più globale.

Con le dovute attenzioni, si individuano precocemente i segni che possono farci cogliere il suo virare da una condizione di “stabile criticità” a una di miglioramento o peggioramento.

Si sviluppa, grazie anche alla mole di dati che abbiamo a disposizione, momento per momento, un certo intuito su quello che è possibile che accada. Se il suo virare sarà in una direzione piuttosto che nell'altra. Si è forse imprigionati in un ambiente chiuso, ma si hanno così tanti input proprio da questo ambiente che è certamente impossibile “sentirsi rinchiusi”, io piuttosto direi: “sentirsi impegnati”.

"L'inferno dentro: la rianimazione": http://edizioniesordientiebook.altervista.org/linferno-dentro-la-rianimazione/

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