Era il 3 novembre 2014 quando migliaia di infermieri in camici verdi e azzurri invasero piazza Montecitorio a Roma. Sciopero. Ad alimentare il malcontento dovuto al blocco del turn over e degli stipendi, anche le notizie dei nuovi tagli previsti per il settore. La situazione non è cambiata di molto, al punto che gli infermieri si stanno preparando a scendere in piazza il prossimo 23 febbraio . E siamo nel 2018. Proprio nel 2018, con una lettera scritta nel 2014, "un'ipocondriaca" aveva dato appuntamento agli infermieri: Ci aggiorniamo nel 2018. Non oso immaginare cosa succederà (...) Non mi sento troppo bene. Ditemi che, se faccio un salto al Pronto soccorso, ci siete .
Infermieri in sciopero, non mi sento troppo bene. Ditemi che ci sarete
Lettera di un'ipocondriaca agli infermieri in sciopero
Cari infermieri, che oggi incrociate le braccia e andate a protestare a Montecitorio per chiedere un nuovo contratto e un aumento degli stipendi fermi al 2009, innanzitutto: vi voglio bene.
Ho letto i dati Ocse, che dicono che qui in Italia siete pochini: mancano 100.000 professionisti rispetto alla media degli altri Paesi Ue. Fatevi sentire, sono con voi. Vi supporto perché tanti di voi, negli ultimi 39 anni di vita, mi hanno sopportato.
Ebbene sì, cari infermieri scioperanti : sono un’ipocondriaca. E quelli bravi tra voi, nel tempo, più che guarirmi (a quello dovrebbero pensarci i medici) si sono presi cura di me. Cito a memoria?
1978 : prima anestesia generale. Tonsillectomia (stavo diventando sorda, a 3 anni). Davanti al letto di ospedale vedo una specie di nurse, con gli occhiali a goccia neri (oggi di nuovo in voga, molto hipster). Era bionda, buona, un angelo. La chiamerò Lola. Mi risvegliai e mi diede un nanetto di plastica. Uno dei 7 di Biancaneve: Brontolo. Il mio destino era già segnato.
1988 : prima frattura. Malleolo destro (al mare, estate rovinata). Ecco che un simpatico infermiere barbuto mi prende in giro perché il gesso sotto il piede era troppo consumato. Lo chiamerò Eusebio. Un feticista. Mi strofinò le dita con tanta, tantissima devozione.
1998 : primo svenimento. Calo di pressione (o attacco d’ansia, non distinguo più ormai). Dopo un colloquio di lavoro andato male, persi i sensi, caddi. Tutte le scale della metro Anagnina di Roma fatte con il lato B: Mi portarono al triage del Pertini. Un caldo bestia. Vampate. «Si spogli!». Aiuto: poco dopo avevo un appuntamento galante e la lingerie non era proprio da corsia… L’infermiere di turno mi tolse da ogni imbarazzo. Lo chiamerò Ricky. «Non ti preoccupare, tanto sono gay».
2008 : prima ambulanza. Appendicite (con peritonite, ça va sans dire). Ricovero d’urgenza al San Raffaele di Milano. Molto ben frequentato. In sala d’attesa accanto a me Bruno Pizzul e Renato Pozzetto. Ma anche la mia futura suocera, la mia collega di scrivania, il portinaio. Tutti agitatissimi. Devo la pellaccia all’infermiera della azienda dove lavoro, la Mondadori. Lei ha fatto la prima diagnosi e ha capito subito che dovevano operarmi al volo. La chiamerò Laura. Con il suo nome vero, stavolta. Perché tutti i giorni mi ascolta. Ha una parola di conforto, una pasticca placebo, un cerotto.
Potrei continuare, ma (per ora) mi fermo qui. Ci aggiorniamo nel 2018: non oso immaginare cosa succederà, visto che le disavventure ospedaliere mi si ripropongono ogni due lustri con una puntualità scientifica.
Anzi no. Marcia indietro, cari infermieri scioperanti, non mi sento troppo bene. Ditemi che, se faccio un salto al pronto soccorso, ci siete anche oggi. Comunque! Per me e per tutti gli altri che vorranno raccontare le loro belle storie di ipocondria e di buona (anche un po’ comica) sanità
(Fonte: http://giornimoderni.donnamoderna.com/)
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?