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Editoriale

Un saluto a Quino, il papà di Mafalda

di Giordano Cotichelli

C’è una vecchia striscia a fumetti dove è ritratto un gruppo di bambini in un ambulatorio di vaccinazioni. Una bambina del gruppo, un po’ paffutella e con una folta chioma nera, si rivolge ad un’infermiera chiedendole: Venimos por la vacuna contra el dispotismo, por favor. In tempo di pandemia, terrapiattisti ed antivaccinisti, è una vignetta di un’attualità enorme. Eppure, è stata disegnata quasi mezzo secolo fa e la bambina si chiama Mafalda; è di nazionalità argentina, perché nata a Buenos Aires nel 1964, ma in realtà è la figlia di tutte le coscienze sensibili e libere di questo mondo, ed ha ispirato e fatto arrabbiare, irretito e fatto ridere milioni di persone; in pratica tre generazioni di appassionati.

Addio al papà di Mafalda, la bimba che voleva curare il mondo

Se ne parla in queste righe per rendere omaggio al disegnatore che l’ha creata: Joaquìn Salvador Lavado, in arte Quino. Se n’è andato all’età di 88 anni dopo essere ritornato nella sua natia Mendoza, lasciandosi alle spalle il lungo periodo trascorso a Buenos Aires.

Parlare di Quino e di Mafalda non è immediatamente la stessa cosa. Il primo ha creato uno dei personaggi più amati e famosi al mondo, l’altra ha fatto assurgere agli onori internazionali un disegnatore che ha saputo liberarsi della sua creatura, continuando a tratteggiare con pennelli e matite personaggi ironici e caustici di una satira matura di mezzo secolo, ma carica di una denuncia politica di sempre pregnante attualità.

I temi che in poco più di dieci anni sono stati presi in considerazione dalla bambina ribelle hanno toccato questioni quali: i diritti delle donne e delle minoranze, le questioni sociali ed economiche viste dai più deboli, le guerre e l’inquinamento, la libertà e la violenza dello stato. Le domande che ad ogni striscia Mafalda faceva ai suoi genitori, o all’adulto di turno, chiedevano spiegazioni delle ingiustizie del mondo e chiedevano giustizia dell’inspiegabile mondo.

Quino, figlio di genitori andalusi emigrati in Argentina – che probabilmente non avevano trovato i porti chiusi – smette di disegnare sistematicamente il personaggio di Mafalda nel 1973, per dedicarsi all’arte fumettistica e satirica realizzando vignette e disegni per lo più senza parole, ma carichi di ironia e forza contestatrice. In questo Quino e Mafalda rappresentano l’anima nobile e libera di un paese, e di un continente – quello Latinoamericano – che hanno sperato in un futuro diverso, in un benessere da cogliere, dopo averlo costruito per secoli.

Un benessere che era lì, negli anni ’60, quasi a portata di mano. Ma non è stato così e lo stesso anno che Quino lascia andare le strisce di Mafalda in Cile c’è il colpo di stato dei militari contro il presidente Allende seguito, tre anni dopo, dalla stessa Argentina e da buona parte dei paesi latinoamericani. Se Mafalda nel 1964 aveva già sei anni al momento della sua nascita, sarebbe stata una delle tante ventenni “desaparecidas”, vittima della dittatura militare.

Ecco, credo che per ricordare il genio di Quino, la bellezza di Mafalda e dei tanti suoi personaggi, questo può essere un ideale omaggio, un abbraccio narrativo che comprenda l’Argentina tutta e i suoi tanti sogni spezzati

In questo Mafalda con le sue vignette, di libri nascosti, persi e ritrovati, ha tenuto viva la speranza di tanti uomini e tante donne che non avevano più la forza neanche di sperare, ingabbiati in una spirale di orrore e disperazione.

Ma l’arte ironica della bambina porteña (questo il soprannome degli abitanti di Buenos Aires) non può mettere in ombra tutto il contesto narrativo in cui il personaggio si muove, in continuo confronto con il mondo adulto, che riverbera nello stesso gruppo di bambini che l’accompagnano nelle sue avventure, ognuno con le sue caratteristiche sociali e culturali, e ancor più rappresentative delle umane debolezze.

C’è Susanita, bionda e florida bambina, un po’ arrogante e desiderosa solo di assolvere il suo ruolo di donna e di madre. La stessa verve caratterizza Manolito, rispetto a quello che è il denaro e il profitto. Bambino-commesso-ragioniere nella drogheria del padre, crede nel libero mercato e nella concorrenza, ma soprattutto in tutto ciò che può essere trasformato in guadagno sicuro, anche passando sopra, un po’ troppo spesso, ai sentimenti di amicizia e di solidarietà.

Segue Nando, il fratellino alter ego di Mafalda, e gli amici di sempre: Felipe e Miguelito, il primo eterno imbranato pronto a combinare disastri e ad affidarsi alla saggezza dell’amica, l’altro rivoluzionario militante, impreparato però a sopportare i sistematici fallimenti delle sue azioni.

Insomma, un mondo di piccoli eroi molto più buoni e meno meschini dei loro corrispettivi adulti, e molto più reali di quelli che vanno di moda adesso. Verrebbe da chiedere a chi conosce (e a chi non lo conosce) il mondo di Mafalda di abbinare ad ognuno dei personaggi una figura professionale a lui vicina che crede gli somigli di più: il capo, il direttore, il coordinatore, il collega, il neofita, il veterano, quello che salta i riposi e quello che ti manda la malattia il giorno di Natale.

Facile esercizio, a dimostrazione del genio artistico e politico (involontario forse), ma soprattutto umano, di Quino. Se poi ci si vuole calare nella realtà di Mafalda, di Quino e dell’Argentina, allora è d’obbligo tracciare un piccolo tour ideale per capire meglio.

Ecco, ci si trova a Buenos Aires, presa la Subte in direzione sud della città si scende alla stazione di Indipendencia, si prosegue per qualche decina di metri in direzione di Puerto Madero e poi si entra all’interno del quartiere di San Telmo, dove c’è il vecchio mercato della città, un po’ in stile liberty.

Qui vale la pena di perdersi fra i chioschi, sia quelli che ancora vendono prodotti alimentari, sia fra i tanti zeppi di ogni sorta di vecchie cose del mondo, tutte che raccontano la storia dei decenni passati del paese. Montagne di riviste e libri dimenticati chiamano ad un sapere perduto.

Una volta usciti dal Mercado di San Telmo, poco distante, c’è Plaza Dorrego, un angolo di verde in cui altre bancarelle mostrano gli anni perduti, assieme a musicisti di strada e ballerini di tango. Prendere un caffè da queste parti può essere un’esperienza lunga una vita. In cammino verso il centro della città si arriva a quella che possiamo considerare la tappa intermedia di questo mini tour: il monumento a Mafalda.

All’incrocio di due vie è stata realizzata una panchina in cui al centro sta seduta la nostra protagonista, con ai lati Manolito e Susanita. In mezzo alle statue c’è lo spazio necessario per far sedere turisti e curiosi per le foto di rito.

Poco distante, bancarelle e negozi vari traboccano di merchandising dedicato al personaggio di Quino. Con pazienza si continua a risalire verso Nord, lungo Calle Defensa per arrivare in Plaza de Mayo, tappa finale della passeggiata. E qui si può rendere omaggio a Mafalda e alle tante strisce a fumetti che hanno fatto sognare e pensare, e ai loro disegnatori.

Ma ancor più si può rendere omaggio al personaggio della mamma di Mafalda, con in testa lo steso casco di capelli, ma non più nerissimi, come è stata raffigurata in tante strisce. La figura è più anziana, incurvata e la testa, ormai canuta, è coperta da un fazzoletto bianco allacciato sotto il mento. La mamma di Mafalda è lì, a Plaza de Mayo, assieme a tante altre mamme con il fazzoletto bianco in testa. Vogliono sapere dove sono finiti i loro figli, i loro cari, numeri disprezzati fra i 30.000 desaparecidos argentini; vite rubate ad un futuro migliore.

Ecco, credo che per ricordare il genio di Quino, la bellezza di Mafalda e dei tanti suoi personaggi, questo può essere un ideale omaggio, un abbraccio narrativo che comprenda l’Argentina tutta e i suoi tanti sogni spezzati

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