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Assistenza Infermieristica

Ossigenoterapia, i dispositivi per la somministrazione

di Tiziano Garbin

La somministrazione di ossigeno (ossigenoterapia), che - in quanto farmaco a tutti gli effetti - è dotato di effetti terapeutici e potenzialità tossiche, avviene mediante l'utilizzo di differenti dispositivi il cui impiego risponde alle esigenze particolari di un determinato paziente, in base alle sue condizioni cliniche. Per questo si utilizzano dispositivi tramite i quali si possono somministrare flussi di ossigeno bassi (es. occhialini), medi o alti.

Paziente sottoposto ad ossigenoterapia

Presidi di base per ossigenoterapia

Nel campo dell'ossigenoterapia diverse sono le interfacce o dispositivi che si utilizzano per veicolare l’ossigeno dal sistema di distribuzione (bombola o impianto a muro) alle vie respiratorie del paziente. La nostra attenzione si concentrerà sui dispositivi per la somministrazione di ossigeno non invasiva e normobarica in un paziente che inala spontaneamente (e che quindi è in grado di respirare autonomamente la miscela da un dispositivo).

Chiaramente in base al flusso da somministrare i dispositivi presentano caratteristiche ben diverse.

In linea generale la cosa importante è sapere quanto ossigeno somministriamo al paziente.

Ad un paziente ventilato meccanicamente con una protesi come il tubo tracheale o la cannula tracheostomica viene somministrata una FiO2 (frazione inspirata di ossigeno) ben definita dalle impostazioni del ventilatore. Il range chiaramente va dal 21% (aria ambiente) al 100% di ossigeno inspirato, ovvero ossigeno puro.

Nel paziente che respira spontaneamente questo controllo non sempre è preciso.

Di norma ci sono presidi per una somministrazione di bassi flussi di ossigeno, come la cannula nasale (occhialini), la sonda nasale (sondino O2) o la Oxymask e quelli per poter dare gli alti flussi come la maschera con reservoir, la cannula nasale high flow e in parte la maschera di Venturi (che più per alti flussi può dare anche medio alte concentrazioni di Ossigeno).

Maschera di Venturi

Florence Nightingale

La maschera di Venturi o ventimask è il sistema migliore per conoscere approssimativamente la FiO2 somministrata in quanto è una maschera che copre naso e bocca a cui si adatta una valvola colorata che permette di garantire una determinata FiO2.

Cambiando la valvola cambia la quantità erogata. Importante in questo caso è seguire le istruzioni del produttore, che indicano a quanti litri al minuto va regolato il flussimetro per garantire una determinata concentrazione di O2.

Questa maschera è indicata in pazienti in cui è importante conoscere la FiO2 da erogare, come i portatori di BPCO (Broncopneumopatia Cronico-Ostruttiva), ma non è indicata in emergenza in quanto non permette di avere concentrazioni elevate di O2Maschera con reservoir

Florence Nightingale

La maschera da utilizzare in emergenza è per eccellenza la maschera con reservoir. Alla maschera è applicato un serbatoio (tipo sacchetto) che si riempie con l’alto flusso di ossigeno e da cui il paziente respira ossigeno quasi puro (si arriva ad una FiO2 del 90% se la maschera è ben adesa e il flusso è sufficiente a gonfiare bene il reservoir.

Il flusso di O2 da impostare con questa maschera è alto, preferibilmente dai 10l/min in su e comunque sufficiente a far riempire tutto il reservoir. Il concetto di base è che il paziente non respira dal tubo dell’ossigeno, ma dal serbatoio, quindi è indifferente il flusso purché il serbatoio sia bello carico di gas e a patto che la maschera sia posizionata correttamente.

Questa probabilmente è la prima nozione particolare che di solito è misconosciuta in quanto per una credenza errata è consuetudine dare indicazione di un flusso titolabile dai 6 l/min in su. In realtà con questo dispositivo il flusso deve essere elevato.

In ogni caso non va utilizzata sotto i 6 l/min per il pericolo del rebreathing, ovvero quando il flusso dell’ossigeno non è sufficiente a “lavare” via dalla maschera la CO2 che il paziente continua a respirare.

Maschera semplice

Un altro tipo di maschera è quella semplice, senza reservoir e senza sistema venturi. Questa maschera è ormai in disuso e sconsigliata, poiché non si può calcolare la FiO2 erogata e si rischia un aumento della CO2 (anidride carbonica) per via del fenomeno del rebreathing. Se proprio fosse necessario utilizzarla in mancanza di altro è consigliabile utilizzare alti flussi (10 l/min o più).

Oxymask

Florence Nightingale

La tecnologia è venuta in aiuto e questa maschera semplice si è evoluta nella più recente Oxymask. Questo dispositivo permette di erogare anche bassi flussi al minuto di O2 senza il fenomeno del rebreathing in quanto è forata e consente il passaggio dell’aria.

In pratica è solo un telaio leggero di sostegno al tubo dell’ossigeno che viene diffuso davanti alle vie respiratorie del paziente. Anche in questo caso la FiO2 non è nota, ma si può utilizzare in quelle situazioni dove il paziente non tollera la cannula nasale e non necessita di alti flussi.

Cannula nasale o occhialini

Florence Nightingale

La cannula nasale, meglio nota con il nome di occhialini, è un dispositivo molto noto e consiste in un tubo flessibile che termina con due cannucce per le narici in cui viene erogato ossigeno. La premessa è quindi che il paziente respiri con il naso. In mancanza di altri presidi è possibile anche collocare i fori in corrispondenza della bocca invece che del naso qualora il paziente respiri con la bocca aperta (di solito anziani o con deficit cognitivi).

Questo dispositivo eroga come detto precedentemente bassi flussi: da 0,5 a 4-5 l/min. Grazie alla cannula nasale il paziente può parlare, mangiare o bere ed ha di solito un buon confort. Se le estremità che entrano nelle narici fossero troppo fastidiose si può utilizzare l’accorgimento di accorciarle con una forbice migliorandone il confort.

L’aumento di flusso di 1 litro di ossigeno al minuto tramite cannule nasali corrisponde in linea di massima a respirare aria con una concentrazione di ossigeno del 24%; l’aggiunta di 2 litri di ossigeno a una concentrazione del 28%, e così via, aggiungendo il 4% per ogni litro di ossigeno in più alla concentrazione dell’aria ambiente (che è il 21%).

Sondino nasale o sonda ossigeno

Il sondino nasale è molto simile ad un sondino di aspirazione, ma di solito più morbido e flessibile. Serve a somministrare ossigeno a bassi flussi (come gli occhialini) ed è ben tollerato dai pazienti con deficit cognitivi che respirano anche con la bocca.

Va inserito in faringe, in particolare nella rinofaringe. Di norma si prende la misura della lunghezza da inserire nel naso ponendo l’estremità sulla punta del naso arrivando al lobo dell’orecchio.

Questa lunghezza è appropriata per arrivare in faringe e ossigenare direttamente le vie respiratorie superiori bypassando naso e bocca.

È un presidio poco usato in emergenza, ma trova applicazione in strutture residenziali o terapie intensive in fase di post svezzamento del paziente. Chiaramente va fissato alla narice come se fosse una sonda naso gastrica.

Cannula nasale high flow

Florence Nightingale

La cannula nasale high flow è costituita da un apparecchio compressore, da un miscelatore, da un umidificatore attivo, da un circuito riscaldato e dalla parte terminale – di silicone morbido e spesso - che si pone davanti alle narici del paziente.

Lo scopo è erogare ossigeno umidificato e caldo con FiO2 regolabile grazie a flussi fino a 60 l/min. Questa ossigenoterapia ha il beneficio di ridurre gli spazi morti anatomici, fornire una FiO2 costante e regolabile, garantire una buona umidificazione, ma soprattutto dare un effetto PEEP (pressione positiva di fine espirazione che recluta gli alveoli migliorando gli scambi).

Si utilizza spesso in terapia intensiva o sub intensiva, perché consiste in una buona alternativa alla ventilazione non invasiva. Il comfort non è spesso ideale per il paziente, ma i risultati clinici sono ottimi.

Ossigeno e calcolo dell’autonomia delle bombole

È importate calcolare l’autonomia residua delle bombole di ossigeno, qualora non si disponga di impianto centralizzato o sia necessario trasportare il paziente, per evitare ovviamente di ritrovarsi senza ossigeno.

Il calcolo è piuttosto semplice: bisogna moltiplicare il volume in litri della bombola (la sua capienza, che è indicata nella parte superiore) per la pressione in bar letta sul barometro (che indica quanto ossigeno c’è pressato al suo interno).

In questo modo si ottengono i litri di ossigeno che contiene la bombola e a questo punto basta dividere la cifra per i litri al minuto che si stanno erogando e si ottiene la durata in minuti: Autonomia = Volume della bombola*pressione in bar/litri al minuto erogati.

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