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editoriale

La sofferenza di una professione

di Giordano Cotichelli

Il Codice Deontologico degli infermieri dell’anno 2019 ha la peculiarità di testimoniare, al pari delle precedenti edizioni, un momento di transizione del contesto socio-economico italiano, in misura maggiore di quanto si possa pretendere da un codice ed in questo, strettamente correlato alla professione infermieristica, espressione immediata e fedele da sempre della realtà sociale in cui è immersa, delle tensioni e delle questioni presenti, prima ancora che non dei problemi di salute e di assistenza.

Nuovo codice deontologico: l'infermiere come indicatore sociale

Significativa in questo l’assenza di qualsiasi riferimento diretto al Servizio Sanitario Nazionale, che nelle due precedenti edizioni veniva preso in considerazione. In particolare nella versione di dieci anni fa veniva riportato: Capo VI, Articolo 47 - L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.

L’unico riferimento che un po’ si avvicina è quello dell’articolo 30 dove il concetto di equità compare in relazione all’allocazione delle risorse e successivamente, al compenso del professionista (art.39), mentre non viene citato rispetto al sistema di cura, esprimendo il concetto di prestare attenzione all’equità nell’accesso alle prestazioni sanitarie, elemento centrale rispetto alle disuguaglianze nella salute che, questa nuova versione del CD afferma di voler semplicemente ridurre, più che eliminare.

Ritorna poi il termine “etnico”, il cui portato discriminatorio è palese. Se qualcuno nutrisse dubbi può sempre rispondere alla seguente domanda: Quali sono le caratteristiche etniche di un italiano?

In questo i medici battono un colpo a loro favore, affermando nel loro codice deontologico, al comma tre del giuramento del codice di deontologia professionale: “di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute”. In fondo bastava copiarlo.

E poi di quale sicurezza e decoro parla questo codice in riferimento ad un paese che ha tre morti sul lavoro al giorno e circa 2000 infortuni?

Forse questa è la chiave interpretativa maggiormente utile che si può dare del nuovo codice deontologico.

Soffermarsi sulla validità del suo impianto, sulla sua costruzione forzata o meno, sulla ridondanza di alcuni articoli, può essere appagante per alcuni, ma rischia di essere fuorviante in relazione ad un ampio orizzonte valutativo di riferimento.

La chiave di lettura è che il Codice Deontologico 2019, come tutte le precedenti versioni, è un documento degli infermieri che si fa testimonianza della società stessa in cui si sta vivendo

Un atto di corrispondenza stretta fra corpo professionale, portato etico e scientifico e mondo reale. E questo nei termini di una società che sta cambiando, lasciandosi indietro le certezze del passato e proiettandosi verso un mondo totalmente liberalizzato - iperliberista secondo molti economisti - in cui il sistema di cure, il campo di azione e retribuzione dei professionisti, di formazione ed aggiornamento è lasciato in mano all’azione regolamentatrice dell’invisibile mano del mercato; il cui egualitarismo è ben conosciuto da 4/5 dell’umanità che vive in condizioni estreme.

L’autorità centrale, intesa come Stato, come ente regolatore, sfuma rispetto poi ad un servizio sanitario sempre meno pubblico (in termini di tutela della salute collettiva) e sempre più indirizzato al profitto, al pareggio di bilancio, al risparmio (e ai tagli); lungo un percorso involutivo da SSN alla regionalizzazione e alle puntate di autonomia locale con una copertura delle cure a macchia di leopardo nel paese che peggiora le disparità sociali.

In tutto ciò, che rappresenta l’oggi e che si proietta in termini peggiori verso il futuro, l’infermiere e la professione, il sistema di cure e la capacità di esservi soggetto attivo, non solo in termini di lavoratore, ma anche di paziente, caregiver, cittadino e persona, si perdono e restituiscono un quadro di una profonda confusione, una percezione di inadeguatezza ed una sensazione di fragilità estrema.

La reazione prima, a tutto questo, diventa così l’arroccarsi in difesa e il farsi forte di competenze e gerarchie quando la relazione e la pratica non riescono a rispondere alla quotidianità.

L’infermiere, insomma, come un fragile legno in balia delle onde, senza più le certezze di un CCNL, sempre meno garantista e sempre più aziendalistico, se non costruito su misura variabile da professionista a professionista.

La certezza della fabbrica fordista dell’ospedale del passato, con i suoi primari e i suoi direttori, pur rimanendo in molte strutturazioni assistenziali, viene meno e ci si perde in un continuo rimpallo di responsabilità e carenze di ogni tipo, mentre rassegnazione e fatalismo diventano sempre più gli strumenti di interpretazione della quotidianità.

Ci si ritrova così da soli di fronte a dilemmi etici per cui non ci si sente preparati, né nelle conoscenze, né tantomeno nell’elasticità di apprenderle ed ancor meno nella visione multiculturale che dovrebbe caratterizzare chi si occupa dell’essere umano.

L’infermiere liberale che prende il via con questo codice non è ancora in grado di affrontare tutto ciò, perché per farlo - in un contesto liberale vero - non dovrebbe essere condizionato né da gerarchie sanitarie di sorta, né dal mercato o dalle politiche sanitarie e sociali.

Se l’accenno alla divisione dalla politica sottolineato nel comunicato della Federazione significa questo, ha un valore solo se l’infermiere si fa a sua volta - come singolo e come corpo professionale, come cittadino e come attivista - militante di rivendicazioni sociali e non semplice portatore di cahiers de doléances verso il sovrano, lamentandosi dei suoi problemi e disinteressandosi di tutto il resto.

Altrimenti si approfondisce il solco all’interno stesso della professione, stratificata e segmentata. In un contesto di libera professione la valorizzazione delle capacità e delle esperienze, delle competenze e delle conoscenze, è una buona cosa se si dà un afflato di sistema, altrimenti la competitività individualistica restituisce unicamente un quadro della professione frazionato – come già il nuovo CCNL prevede – in figure che hanno incarichi di funzione e quelli che non li hanno.

I primi divisi fra quelli che hanno incarichi di organizzazione, apicali o da infermiere senior (il vecchio caposala, poi coordinatore) e di professione, esperti e specialistici.

Per molti può rappresentare un passo avanti ed un riconoscimento, nel lungo periodo però rappresenterà solo un ulteriore motivo di separazione ed isolamento. E non basterà ad alleviare le miserie quotidiane neanche più, per assurdo, la semplice sensazione negativa, ma consolatoria, dell’essere demansionati.

L’ansia per il futuro

Il nuovo CD lascia trasparire un senso generale di ansia verso il futuro, composta da un misto di attenzione al cambiamento e di tensione del cambiamento. Lo scarso interesse della stampa nazionale per il codice di quasi mezzo milione di lavoratori e i rappresentanti di una professione centrale del sistema sanitario, è una spia della situazione culturale e sociale di questo paese.

Il cercare, articolo per articolo, di correre dietro ad una legislazione sanitaria che il sistema salute e i suoi professionisti – non solo gli infermieri, quindi – hanno subito negli ultimi venti anni è un tentativo quasi meritorio prima ancora che fallimentare: dalla Legge Gelli al fine vita, dal dolore e alla palliazione, dalla gerarchizzazione nei confronti degli operatori di supporto a questa dannata contenzione che non riesce ad essere eliminata, mentre Francesco Mastrogiovanni resta lì, assieme a molti altri, come una macchia professionale indelebile.

Questo codice deontologico riuscirà dunque a rispondere ai tanti quesiti che si porrà l’infermiere singolo in una piccola residenza sanitaria quando dovrà affrontare una criticità di pazienti cronici che si riacutizzano, pazienti dementi che si strappano sonde e cateteri, personale che si assenta e che manda la malattia, etc.? Inutile rispondere.

È vero ciò che dice Ivan Cavicchi. Questo CD ha messo in evidenza una questione professionale, ma essa non esiste da oggi: è insita nell’infermieristica nel momento in cui la sua identità sociale e scientifica, umana e relazionale, non riesce più a distinguere i punti cui riferirsi.

L’infermiere come professione, prima ancora che essere una questione, è un indicatore sociale dello stato di salute della società in cui vive e l’articolazione difficoltosa di questo codice deontologico lo rivela in tutta la sua composizione.

Si può imputare a chi ha contribuito a realizzarlo, emendarlo, stravolgerlo o trasformarlo, fino a votarlo, tutto e il suo contrario, ma questo ci farebbe fermare solo sulla soglia di un’analisi che deve farsi più profonda, che deve leggere in tutto ciò le sofferenze della professione e dei suoi rappresentanti.

Prendere in considerazione i presidenti che hanno votato questo codice ci dice che c’è un problema di rappresentanza di genere all’interno della professione, di metodologia democratica e di cultura generazionale. Nella sostanza, lo specchio della società in cui si sta vivendo.

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