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Sentenza

Morte Mastrogiovanni, condanne ridotte per medici e infermieri

di Giordano Cotichelli

Dopo un processo durato quasi nove anni la vicenda della morte di Francesco Mastrogiovanni arriva la sentenza della Cassazione che riduce la condanna per medici e infermieri coinvolti nel caso. La Corte ha ritenuto responsabili i medici e gli infermieri del reparto psichiatrico del “San Luca” di Vallo della Lucania per il sequestro di persona, mentre ha annullato la sentenza d’appello per il reato di omicidio.

Mastrogiovanni, ridotta in Cassazione la condanna per infermieri e medici

contenzione francesco mastrogiovanni

La Cassazione ha ridotto le condanne per infermieri e medici coinvolti nella morte di Francesco Mastrogiovanni

Dopo un processo durato quasi nove anni, alla fine è arrivata la sentenza della Corte di cassazione che ha condannato medici e infermieri in relazione alla morte di Francesco Mastrogiovanni, avvenuta nella notte del 4 agosto, dopo più di 80 ore di contenzione chimica e meccanica, a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), presso l’Spdc dell’Ospedale di San Luca di Vallo della Lucania (SA).

La morte fu provocata da una crisi di EPA (edema polmonare acuto). Le condanne che riguardano i medici ne vede due (Raffaele Basso e Rocco Barone) condannati ad un anno e tre mesi di reclusione, altri due (Anna Angela Ruberto e Amerigo Mazza) a dieci mesi, mentre è stata confermata la pena a 13 mesi per Michele Della Pepa.

Gli infermieri sono stati condannati a 8 mesi (Massimo Scarano, Nicola Oricchio, Giuseppe Forino, Alfredo Gaudio), a 7 mesi (Mario D’Agostino Cirillo, Antonio Tardio, Maria Carmela Cortazzo, Antonio De Vita, Raffaele Russo e Massimo Minghetti), mentre è stata annullata la sentenza per Antonio Lungo, causa decesso dell’imputato e annullati per tale evenienza i reati a lui ascritti.

L’impianto globale delle sentenze emanate ad ogni modo vede prevalere il reato di sequestro di persona e decadere quello di omicidio colposo.

Al processo di primo grado gli infermieri non erano stati condannati, mentre in appello erano state ridotte le pene per i medici ed invece condannati anche gli infermieri.

Ora, dopo la Cassazione, la vicenda si chiude, con una sentenza forse ridotta nell’impatto rispetto a quella dove era previsto l’omicidio colposo, ma che non cede a tutta l’opera di demolizione dell’impianto accusatorio fatta in due ore dal Procuratore Generale.

Soddisfatta alfine - se così si può dire, nonostante la morte di un proprio caro – la famiglia di Francesco, il maestro elementare “più alto del mondo”, venuto a mancare dopo una lunga agonia all’età di 59 anni.

Il lato tragico e deviato del contesto sociale

La vicenda, nella sua tragicità, ha il merito di essere riuscita a mettere in luce le gravi questioni legate allo strumento della contenzione e del TSO stesso. Qualcuno potrebbe dire che la sentenza stessa, nella sua dimensione etica e giuridica, è un buon modo per ricordare i 40 anni dalla legge Basaglia. Purtroppo si potrebbe pensare anche il contrario, vista la tragica morte che è seguita all’intervento di TSO fatto nei confronti di Jefferson Tomalà a Genova; un ragazzo di appena vent’anni.

Oppure qualcun altro potrebbe ricordare il caso di Andrea Soldi, di 45 anni, morto a Torino il pomeriggio del 5 agosto del 2015. Anche per questo caso ci sono state delle condanne nei giorni scorsi.

Molte altre potrebbero essere le storie raccontate, ma alla fine resta sullo sfondo un palcoscenico di sofferenza e morte, privazione e negazione, che rischia di far apparire la cura del disagio psichico non molto diversa da come lo era in passato.

Di conseguenza diventa necessario cercare un filo logico, etico, scientifico ed umano che possa dare alcune risposte sia ai professionisti, sia alle persone, utenti e familiari e cittadini di uno stato di diritto.

Personalmente credo che sia molto facile condannare la contenzione, la cattiva assistenza, la riduzione dell’altro da sé, del malato, del diverso a qualcosa che perde la sua dimensione umana e quindi viene vista come patologia, urgenza, terapia, percorso, etc. Credo che non ci sia collega infermiere che non abbia almeno una volta dovuto contenere un paziente per una qualche ragione, giusta o sbagliata.

Una contenzione fatta solo con una stretta decisa o con decine di gocce medicinali, con polsini e cavigliere, o peggio con una traversa sopra l’addome o con un lenzuolo che “infiocchettava” le caviglie ai piedi del letto.

Certo, questo non giustifica la morte di Mastrogiovanni, Tomalà o Soldi, ma mostra il volto della dimensione gerarchica della cura, della sanità, dell’assistenza infermieristica che si esplica all’interno dell’istituzione totale che è l’ospedale, la comunità, il “manicomio”.

Se il disagio diventa esclusione, se la lettura è senza appello alcuno per chi viene fatto oggetto di un intervento riparatore, allora di conseguenza il TSO e la contenzione sono sì scelte gravi, emergenziali, ma che mostrano il lato tragico e deviato non della malattia, ma del contesto sociale presente.

In un sistema in cui il progetto di cura e di assistenza cede continuamente il posto alla riduzione delle risorse, allo stigma del deviante, Rom, straniero, pazzo o che altro, c’è da temere che purtroppo si continueranno a piangere altre perdite causate da interventi direttivi, gerarchici, inappellabili. E si perderà anche un po’ della nostra professionalità che cede alla massimizzazione dei risultati con la limitazione dei costi, dei rischi, delle perdite.

Il mercato offre molti strumenti di facile impiego, ma di discutibile accettazione. Una volta ho visto durante un’Esposizione di materiale sanitario, a Parigi, la presentazione di un letto con biancheria a sacco funzionale a contenere i malati dementi ed agitati; indubbia l’utilità, ma a quel punto l’assistenza, la relazione di fiducia, la prossimità in che maniera si dispiegano?

Più delle sentenze e della tragicità dei fatti, le vittime di un TSO impongono ad ogni professionista della salute di fermarsi a riflettere sul suo ruolo, sulle sue risorse e sul suo portato etico che rischiano di cedere di fronte alla banalità… della contenzione.

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