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Partogramma, lo screening del travaglio di parto

di Sara Visconti

Il partogramma è la descrizione grafica dell’andamento del travaglio di parto ed è uno strumento che consente di sorvegliare il travaglio di parto nella sua complessità, prendendo in esame ogni elemento utile alla diagnosi di benessere materno e fetale e all’osservazione dei fenomeni dinamici e meccanici che compongono il processo. Le attuali evidenze scientifiche portano a non considerare più il partogramma un test diagnostico - come avveniva in passato - ma un test di screening, poiché il rallentamento/arresto della dilatazione non è una diagnosi, ma solo un segnale d’allarme che necessita il riconoscimento delle cause materne e/o fetali e un trattamento individualizzato, non uguale sempre per tutte le donne.

Cos’è il partogramma e quali informazioni fornisce

Il partogramma ha la finalità di standardizzare criteri espliciti per:

  • La diagnosi di travaglio attivo
  • Il monitoraggio dell’attività uterina
  • Il monitoraggio della dilatazione cervicale
  • La diagnosi di impegno e il monitoraggio della progressione della parte presentata
  • La sorveglianza delle condizioni materne
  • Il monitoraggio del benessere fetale
  • La registrazione di ogni procedura-intervento che agisca sul travaglio e sul parto e/o ne condizioni l’assistenza
Vantaggi del partogramma Criticità del partogramma
- Monitoraggio costante delle condizioni in travaglio
- Diagnosi precoce delle anomalie del travaglio
- Tracciabilità degli interventi professionali e codifica del passaggio delle informazioni
- Raccolta dati sistematica e omogenea
- Orienta nell’uso dell’atto terapeutico
- Complessità della compilazione (per essere utilizzato nella pratica quotidiana, il partogramma deve essere di facile e veloce compilazione)
- Rischio di over-diagnosi di distocia e conseguente over-utilizzo di atti terapeutici e accelerazione del travaglio
- Riduttivo nei contenuti

Partogramma, un’analisi storica

Il partogramma è stato originariamente sviluppato dal medico inglese E. Friedman nel 1954 che, in un periodo storico durante il quale si assiste sempre più all’espletamento del parto in ospedale per prevenire o risolvere le distocie del travaglio, per primo capisce che occorre una “regola” che sia utile per definire la “normalità” di un travaglio e quindi un criterio per identificare la patologia del travaglio e la necessità di intervento e di più, riconosce l’importanza della visione grafica dell’andamento del travaglio.

I dati del travaglio venivano registrati su fogli di carta a quadretti costruendo un grafico semplice, ma efficace in cui l’ordinata rappresentava la dilatazione, l’ascissa la durata del travaglio e la pendenza di ogni riga è stata determinata in termini di centimetri di dilatazione all'ora.

Quanto dovrebbe durare un travaglio

Friedman, come conclusione dei suoi studi sulla velocità di progressione della dilatazione cervicale in travaglio, ha pubblicato il tempo medio del travaglio, definendo numericamente il tempo di quanto dovrebbe durare un travaglio.

Dai suoi studi e, quindi, dalla realizzazione della sua curva cervimetrica, è emersa poi la “regola” che la cervice si dovrebbe dilatare di 1 cm per ogni ora. La standardizzazione di normalità di Friedman è stata ed è ancora criticata e messa in discussione, perché si basa sull’osservazione di un piccolo ed eterogeneo gruppo di donne diverse dalle donne di oggi.

Nel tempo, ricercatori hanno rilevato che la rappresentazione grafica della dilatazione cervicale segue una forma di iperbole e non a “S”, come ipotizzato da Friedman. Sulla base di queste nuove rilevazioni sono state costruite numerose curve cervimetriche: per le donne sottoposte a partoanalgesia, per le primipare giapponesi, per le donne obese e per etnie diverse.

Tuttavia, qualsiasi curva cervimetrica noi scegliamo tra le tante proposte in letteratura, avremo la descrizione macroscopica di un fenomeno biologico, non il termine di paragone assoluto per quella determinata donna, in quel determinato momento del suo travaglio, anche perché moderni studi che utilizzano l’analisi dei polimorfismi del DNA, dimostrano che la velocità del travaglio è insita nel codice genetico personale, che ogni donna porta con sé.

Successivamente agli studi di Friedman, negli anni ’70 Philipott e Castle (1972), lavorando in un ospedale della Rhodesia e dovendo pianificare il trasferimento delle donne da aree remote ad aree assistite, hanno sviluppato il concetto di rapporto tra velocità di dilatazione e azione terapeutica, introducendo la grafica del partogramma con due linee: linea d’allerta in presenza di una velocità di dilatazione di 1 cm/ora, linea d’azione in presenza di un rallentamento a distanza di 2 ore da quest’ultima.

La linea di allerta rappresentava l’inizio di una osservazione attenta, quella d’azione la necessità di trasferimento in un ospedale più attrezzato per effettuare amnioressi e usare ossitocina.

Nel 1994, l’Oms, nel programma “Safe Motherhood”, adotta in parte la grafica di Philipott e Castle, ma sposta la linea d’azione ad una distanza di 4 ore da quella di allerta.

Inoltre arricchisce il partogramma con la registrazione dei seguenti parametri:

Condizioni dell'utero - Frequenza e durata delle contrazioni
- Dilatazione cervicale
Condizioni fetali - Livello P.P.
- Mobilità P.P.
- Stato membrane
- Caratteristiche liquido amniotico
- Frequenza cardiaca
Condizioni materne - F.C.
- P.A.
- Temperatura corporea
Uso di farmaci
Infusione di liquidi

L’OMS originariamente non aveva raccomandato l’uso del partogramma per i paesi sviluppati, ma solo nei paesi poveri per avere una guida all’azione e poter trasferire tempestivamente le partorienti in luoghi più garantiti.

Il partogramma tra presente e futuro

Attualmente, la revisione Cochrane condotta da Levander et al. ha analizzato l’uso del partogramma in generale e l’uso di partogramma con linee di azione prestampate.

Dalle conclusioni degli autori è emerso che non si può raccomandare l’uso di routine del partogramma con linee di azione prestampate come parte dell’assistenza al travaglio; queste ultime, infatti, aumentano la probabilità di uso di ossitocina, di parto operativo vaginale e di taglio cesareo.

In questi decenni, il partogramma ha pesantemente influenzato, in tutto il mondo, la modalità di assistenza del parto ed ha nascosto o sminuito i tanti fattori che portano ad un travaglio più lento; occorre quindi, al fine di orientare una giusta diagnosi di distocia, riqualificare l’uso del partogramma seguendo le attuali evidenze scientifiche.

Quando iniziare a compilare il partogramma

Oltre alle linee di intervento, quello che oggi viene messo anche in discussione è la diagnosi di travaglio attivo e quindi il momento in cui far partire un’osservazione più attenta tramite il partogramma.

Friedman aveva individuato questo momento quando la dilatazione cervicale raggiungeva i 3-4 cm; le attuali evidenze sul trattamento della distocia, invece, raccomandano di considerare in travaglio attivo una donna al raggiungimento dei 6 cm di dilatazione.

Tuttavia, la dilatazione è solo uno dei determinanti della diagnosi di travaglio; nell’effettuare una diagnosi si dovrebbe tener conto anche dell’appianamento della cervice, dell’intensificarsi del dolore percepito e della riduzione dell’intervallo di tempo tra le contrazioni.

È esperienza quotidiana che molte donne vengano ammesse in sala parto perché considerate in fase attiva prima che questa sia realmente iniziata, inducendo un’aspettativa di progressione della dilatazione che contribuisce a sovradiagnosticare un rallentamento del travaglio, ad abusare di procedure correttive, quali amnioressi e infusione di ossitocina e ad aumentare in modo significativo il ricorso al taglio cesareo.

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