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Covid-19 riconosciuta malattia professionale

di Redazione Roma

I governi europei, i lavoratori e i datori di lavoro del Comitato consultivo Ue per la sicurezza e la salute sul lavoro hanno raggiunto un accordo sulla necessità di riconoscere il Covid-19 come malattia professionale nei settori dell’assistenza sanitaria e domiciliare, dei servizi sociali, e a rischio avvalorato di infezione. L’intesa dovrebbe condurre a una serie di normative nazionali. Intanto la Commissione aggiornerà la sua raccomandazione sulle malattie professionali.

Raggiunto l’accordo per aggiornamento elenco UE malattie professionali

Se il Covid-19 è riconosciuto quale malattia professionale può essere riconosciuto il diritto all'indennizzo.

Il Covid-19 diventa malattia professionale nei settori dell’assistenza socio-sanitaria e a domicilio (nonché, in un contesto di pandemia, all’interno dei settori non sanitari nei quali, però, sono maggiori le attività con un rischio assodato di infettarsi).

Questo l’accordo che è stato raggiunto tra gli Stati membri, i lavoratori e i datori di lavoro in sede di Comitato consultivo dell’Ue per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (Ccss). Intesa trovata anche in merito all’aggiornamento dell’elenco dell’Unione europea delle malattie professionali.

Lo stesso organismo riporta nel testo: Mentre è chiaro che il Covid-19 ha sollevato problemi di salute in generale, è anche chiaro che questa malattia può essere contratta sul posto di lavoro. Quindi viene puntualizzato che questo è in generale il caso in cui i lavoratori assistono le persone che hanno contratto la malattia, come nel settore sanitario e sociale.

L’accordo raggiunto, ad ogni modo, rappresenta un segnale politico forte per quanto riguarda il riconoscimento dell’impatto del Covid-19 sui lavoratori nonché del contributo fondamentale del personale socio-sanitario e degli altri lavoratori esposti ad un rischio maggiore di contrarre la malattia, le parole del commissario per il lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit.

L’intesa raggiunta rappresenta uno step tutt’altro che irrilevante per mettere in pratica il quadro strategico dell’Ue in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 (tra i suoi obiettivi fondamentali trasversali c’è quello di migliorare la preparazione a potenziali crisi sanitarie future) adottato dalla Commissione lo scorso giugno, che aggiornerà entro la fine del 2022 la sua raccomandazione sulle malattie professionali per includere il Covid-19. Cosicché gli Stati membri adeguino le rispettive legislazioni nazionali in conformità alla raccomandazione aggiornata.

Ne consegue, pertanto, che se il Covid-19 è riconosciuto quale malattia professionale all’interno di uno Stato membro, ai lavoratori dei settori pertinenti che hanno contratto la malattia sul luogo di lavoro possono essere riconosciuti diritti specifici in riferimento alle normative nazionali (come il diritto all’indennizzo). Ad ogni modo, fermo restando che in Europa la crisi sanitaria collegata alla pandemia Covid-19 è migliorata – e gli Stati membri stanno progressivamente eliminando le misure restrittive, la situazione epidemiologica resta complessa.

Il 12 maggio scorso il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), agenzia dell’Ue volta a rafforzare le difese del vecchio continente contro le malattie infettive, ha classificato alcune sottovarianti di Omicron – all’interno della variante Omicron si distinguono cinque differenti lineage (BA.1, BA.2, BA.3, BA.4 e BA.5) e relativi sub-lineages – come «varianti che destano preoccupazione». Ciò giustifica un rafforzamento della protezione dei lavoratori in proiezione di eventuali (e inauspicate) future ondate di Covid-19.

Giornalista

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