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COVID-19

La percezione del tempo durante la pandemia

di Lucia Teresa Benetti

Prima era un tempo superficiale che si credeva un tempo impegnato. Un tempo di false illusioni. Di incapacità mascherate da atteggiamenti di irruente maleducazione. Di discorsi muti, privi di sostanza. Poi, di colpo, è arrivato lui: il Covid-19 ed è stato il tempo della confusione. Della derisione. Del negare che eravamo impreparati. Incapaci anche di essere prudenti. E quel tempo è subito diventato un tempo di dolore infinito. Di morte, di sofferenza, di rabbia. Tempo di accusa. Ma anche tempo di solidarietà. Di generosità. Di abnegazione. Ed ecco che l’uomo della strada ha dovuto aprire gli occhi anche su un mondo fatto di persone che ha quasi sempre snobbato: medici, infermieri, tutto il personale sanitario, sono là. In prima linea. A combattere per noi e per i nostri cari. A donare la loro Vita che è un tempo prezioso e irripetibile. Sottratto ad altri cari che piangono esattamente come stiamo facendo noi.

Era un tempo superficiale che si credeva un tempo impegnato

Covid-19: il tempo del dolore infinito, della morte, della sofferenza, della rabbia

Quello che in questi giorni stiamo vivendo è qualcosa di nuovo, di impensabile, quasi di irreale. Sono passati poco meno di due mesi da quando “ufficialmente” ci siamo ritrovati come dentro a questo brutto sogno e già ci sembra un’eternità. Ci sembra, quasi, che il mondo di prima non sia mai esistito, se non in un tempo lontano.

Eravamo abituati ad assistere sempre e solo come spettatori alle grandi tragedie epidemiologiche che avvenivano in Africa, in Asia, in Terre, comunque, lontane da noi. Si commentava, si seguivano gli andamenti, ma con la semplice curiosità di chi si vuole sempre sentire informato sulle cose “del mondo”.

Agli esperti serviva per compilare statistiche e costruire proiezioni per il futuro. Ci eravamo abituati ad essere lontani da tutto questo e non solo fisicamente. Eravamo avvezzi (perché dalla fine della seconda Guerra Mondiale è sempre stato così) a sentirci al sicuro nelle nostre belle case, nei nostri tranquilli paesi, nei nostri giorni e nelle nostre notti. Tutto ruotava intorno agli incontri con amici, al lavoro, al guadagno, al divertimento, ai viaggi, alla fatica di rinunciare a qualcosa. Anche la più piccola.

Alimentavamo il nostro “io” che si sentiva sempre più forte, invincibile, onnipotente. Invece era un castello dentro di noi fatto di carta velina. Di false illusioni. Di incapacità mascherate da atteggiamenti di irruente maleducazione. Di discorsi muti, privi di sostanza. Era un tempo superficiale che si credeva un tempo impegnato.

Si continuava a “viaggiare” per le strade della Vita concentrandosi solo sul nostro orticello, sul nostro star bene, sul nostro misero egoismo. Davamo degli “illusi” a tutti quelli che cercavano di frenare, di rompere falsi specchi capaci solo di riflettere quello che ognuno di noi, in quel momento, voleva vedere.

Avevamo perso il senso dell’indignazione. Il valore del rispetto. L’umiltà del prendere consapevolezza dei nostri limiti.

Poi, di colpo, è arrivato lui: il Covid19

Dalla lontana Cina ci ha travolto. Ci ha buttato a terra. Ci ha messi di fronte alle nostre pochezze. Ai nostri limiti. Alle nostre sciocche verità fatte di bugie costruite ad hoc. Ci ha e ci sta massacrando senza guardare in faccia nessuno.

Perché lui, come le malattie e la morte, è democratico: colpisce tutti. Senza esclusione di colpi. È arrivato calmo, senza clamori. Con il suo tempo fatto di persone in viaggio di piacere o di lavoro. Fatto di silenzi e di situazioni impensabili o negate.

È stato il tempo della confusione. Della derisione. Del negare che eravamo impreparati. Incapaci anche di essere prudenti. E quel tempo è subito diventato un tempo di dolore infinito. Di morte, di sofferenza, di rabbia. Tempo di accusa. Ma anche tempo di solidarietà. Di generosità. Di abnegazione. Di incredulità.

Già, incredulità. Perché nessuno pensa mai che una tragedia possa abbattersi su di lui o sulla sua famiglia. E allora inizialmente nega anche l’evidenza. Soprattutto se questa evidenza fa paura. Abbiamo, hanno fatto come gli struzzi. La testa sottoterra credendo di trovare riparo. Così nessuno mi trova…

È iniziato il tempo della tragedia

È stato il tempo della stupidità. Tempo che ha regalato dell’altro tempo a lui, al SARS-CoV2, per portarlo velocemente al trionfo in mezzo a gente impaurita, a chiacchere e a notizie che pian piano hanno dovuto cercare di perdere la superfluidità del nulla. Che cercano ancora di perderla.

Ed è iniziato il tempo della tragedia. Il tempo non ha più avuto lunghezza. Minuti, ore, lancette, tic-tac, sono spariti. Non ci sono stati più quadranti da consultare. C’è stata, c’è solo una velocità da rispettare. È la velocità che è propria del valore della Vita.

Una velocità fatta di amore, di un tempo proprio dove l’uomo è tornato un uomo ancora fragile. Un uomo che ha bisogno del suo simile per riagguantare la Vita. Ed è un tempo senza tempo. Un tempo più che sospeso. Un tempo di solitudine immensa.

Perché il Covid-19, come tutte le malattie gravi, ti regala da subito la paura, ma anche la solitudine. Che qui è da subito tangibile. Perché nessuno sa cosa può succedere. Nessuno conosce protocolli. Non ci sono medicine giuste o terapie appropriate. C’è solo la corsa verso il tempo della speranza. Verso i tentativi, la ricerca di una piccola soluzione.

Ed ecco che l’uomo della strada ha dovuto aprire gli occhi anche su un mondo fatto di persone che ha quasi sempre snobbato. Alle quali ha sempre chiesto senza mai fermarsi e valutare il tempo che ci donavano. Ci siamo (si sono) dovuti rendere conto di cosa stavano offrendoci.

Non era solo il tempo del loro lavoro, era il tempo della loro Vita

Perché se i nostri cari stanno morendo da soli, in fredde camere blindate, loro - medici, infermieri, tutto il personale sanitario - sono là. In prima linea. A combattere per noi e per i nostri cari. A donare la loro Vita che è un tempo prezioso e irripetibile. Sottratto ad altri cari che piangono esattamente come stiamo facendo noi.

Che vivono un tempo esausto. Di infinita sofferenza. Che chiedono aiuto. Che ci chiedono un tempo di maturità, perché non ce la fanno più

Perché si ammalano e muoiono anche loro per stare vicino ai nostri cari più sfortunati. Perché sono là a stringere la loro mano per non farli sentire soli, quando stanno soffocando.

Per ancora sorridere con gli occhi dietro a occhiali e mascherine e fare sentire la loro vicinanza a chi sicuramente sa che il suo tempo è finito. Per continuare a regalare un tempo di vicinanza a chi è lontano da tutti.

Il tempo…

Questo è un tempo di solidarietà. Di estremo amore. Certo, un tempo di dovere. Che deve, però, investire tutti. Non possiamo chiedere e non dare. Dobbiamo smetterla di essere sempre dall’altra parte della barricata. Ora è arrivato il tempo dello stare insieme. Di lottare insieme.

Di pretendere armi giuste per chi è là, infagottato dentro a tute spaziali, con maschere da sub, occhiali che sembrano visiere, ferite su mani e visi stravolti da una fatica indicibile e pure ignorata pur di continuare a combattere ancora per noi. Per non farci troppo sentire in un tempo di solitudine e di dolore.

Dobbiamo smetterla di pensare che è cosa di altri. È un tempo che dobbiamo vivere tutti insieme. Che ci deve fare riflettere, crescere, maturare. Lasciamo cadere il nostro “IO” effimero. Prendiamoci, riprendiamoci il tempo della consapevolezza, ritroveremo il tempo della speranza e del rispetto.

Ammettiamo la nostra fragilità e diamo un calcio alla nostra sciocca onnipotenza. Saremo, sicuramente, fisicamente lontani, come ora e chissà per quanto tempo ancora, ma incredibilmente tutti vicini. Perché le anime lo saranno. Perché ci saremo ricordati anche noi, uomini della strada, che non siamo i soli al centro del mondo, ma c’è l’umanità. Tutta.

Anche quelli che oggi chiamiamo eroi. Che non sono gli eroi del momento. Sono medici, infermieri, personale tutto sanitario che, come prima di questa buriana, fanno il loro dovere. Sottraendo tempo sereno alla loro vita. Caricandosi tempo di dolore sui loro cuori. Esattamente come prima.

Quando erano trasparenti ai “sani”. Quando erano oggetto di accuse. Quando nessun Covid-19 era all’orizzonte. Erano, esattamente come ora, persone che cercavano di farci sentire meno soli nelle tragedie delle malattie. Persone. Esattamente come noi

Persone che ora, più di ieri, a causa della nostra indifferenza, quando la spesa sanitaria veniva continuamente tagliata, fanno quei miracoli di umanità che vanno ben oltre alle competenze tecniche e ai pochi mezzi. E ci regalano un tempo che non è più solo un tempo di malattia orribile, ma un tempo di fratellanza e di vicinanza come mai era successo.

Un tempo che comincia ad avere quella velocità giusta. La velocità del valore della Vita. Ma che ci sarà, ancora, solo ad un patto: se ci ricorderemo, anche domani, di tutto quello che sta succedendo. E allora sarà un tempo non più scordato. Sarà, semplicemente, un Tempo Nuovo.

Editorialista

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