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COVID-19

Quello di eroi non è il profilo adatto a noi

di Redazione

Fermiamoci. Respiriamo. Facciamo il punto della situazione: quante volte ce lo diciamo durante il nostro turno? Quante volte ci guardiamo negli occhi e attraverso le mascherine, riflettendo sul nostro operato? L’emergenza sanitaria legata al COVID-19 occupa le nostre menti, ci segue a casa, ci richiede sforzi sempre maggiori ed anche sacrifici; nel bene e nel male ci ha costretti infatti a fare un passo oltre la routine del reparto di appartenenza, sovvertendo le abitudini per poter affrontare una sfida sconosciuta, un bisogno immediato di cura.

Infermieri, il nostro profilo migliore

Abbiamo prontamente risposto facendo il miglior gioco di squadra, rispolverando conoscenze necessarie e applicando nuove tecniche, costantemente al passo con le evidenze scientifiche. Certo, a volte anche ritrovando l'arte (tutta italiana) dell'arrangiarsi.

Troviamo insieme un piccolo spazio per riflettere sul valore della nostra professionalità, racchiuso nel nostro Codice deontologico 2019, mai stato così vivo prima, del tutto tangibile.

Siamo sostenuti da un insieme di valori e di saperi scientifici e ci poniamo come agenti attivi nel contesto sociale a cui apparteniamo e in cui esercitiamo, promuovendo la cultura del prendersi cura e della sicurezza.

Il concetto di cultura della sicurezza è letteralmente nelle mani dell’équipe, se pensiamo ad esempio al rischio infettivo: l'infermiere acquisisce, anche tramite percorsi specialistici, competenze utili alla prevenzione e al controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) e del rischio biologico, condividendole e calandole nella propria realtà lavorativa.

Stabiliamo relazioni di cura, siamo spesso “ponti” tra il paziente e la sua famiglia con le tecnologie disponibili, ma utilizzando anche l’ascolto e il dialogo: l'infermiere si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura.

Il tempo: quanto ne resta? Quanto ce ne concediamo, prima di decidere? Noi ci poniamo come parte attiva per l’analisi dei dilemmi etici e contribuiamo al loro approfondimento e alla loro discussione.

Ci siamo trovati uniti nelle nostre diversità, favorendo un clima di adattamento anche organizzativo, in cui aree a bassa/media complessità assistenziale si sono trasformate in pochissimo tempo in unità intensive e semintensive. Tanti colleghi si sono conosciuti per la prima volta, ognuno col proprio bagaglio di esperienze e si sono impegnati nell’inserimento dei nuovi colleghi e nel chiedere supervisione, laddove vi siano attività nuove o sulle quali si abbia limitata casistica e comunque ogni qualvolta ne ravvisi la necessità.

Risulta nostra cura far germogliare l’adattamento fino a far sbocciare un clima di lavoro sicuro e positivo, adottando comportamenti leali e collaborativi con i colleghi e gli altri operatori.

Una delle risorse più preziose nella professione è la capacità di valutare: le condizioni di un paziente, ad esempio, i suoi parametri, i suoi bisogni, le sue parole. Valutiamo anche il contesto organizzativo in cui si trova la persona assistita per tutelarla. E soprattutto comunichiamo le rilevazioni al fine di migliorare il contesto stesso.

Siamo la “spina dorsale” dei sistemi sanitari, ha affermato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Forse quello di eroi non è il profilo adatto a noi: abbiamo già una personalissima costituzione, un insieme di valori che formano la nostra colonna vertebrale, proteggono il midollo della nostra professione e, per quanto la situazione sia dura, ci aiutano non solo a stare in piedi, ma anche a testa alta

  • Deborah Maselli, Infermiera

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