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Cure palliative, quando l’arte ne diffonde la cultura

di Redazione

Due italiani su tre ignorano la legge che garantisce il diritto di accesso a cure palliative e terapia del dolore, ma molti passi in avanti sono stati fatti dal 2010 ad oggi. Da qui l’idea di voler creare, in ambito territoriale, un’associazione che integri al suo interno non soltanto professionisti della salute, ma professionisti con valori ed esperienze indipendenti dal concetto di malattia e sofferenza, che possano offrire le loro competenze come strumento per il conseguimento di un benessere soggettivo. Nasce così l’associazione ZeroK.

Associazione ZeroK, ecco come cambia l’approccio alle cure palliative

Il desiderio – spiega il presidente dell’associazione ZeroK Massimiliano Cruciani - è quello di voler portare luce, in un mondo che spesso è oscurato da paure e tabù come quello delle cure palliative, mettendo in risalto la vita e le persone. L’intento è quello di utilizzare un linguaggio diverso da quello statico e codificato dei professionisti sanitari, che spesso nascondono le loro paure dietro sigle o diciture incomprensibili o ancora peggio utilizzando il silenzio come modalità di risposta. L’arte al contrario non può e non sa tacere, sa esprimere concetti o emozioni lasciando all’altro lo spazio emotivo per farlo proprio, sentirlo dentro e permettere di elaborarlo, nei modi e nei tempi che ognuno di noi ritiene più opportuno.

Le cure palliative sono vita

Scopo dell’associazione ZeroK è proprio quello di diffondere la cultura delle cure palliative attraverso tutte le forme delle arti, dalla fotografia al cinema, passando per la scrittura, la musica e la pittura. L’associazione nasce il 15 marzo scorso nasce a Carpi (MO).Tutto ciò per provare a trasferire la filosofia di approccio alla vita delle cure palliative nel nostro quotidiano – dice ancora il presidente -, dove valori desideri ed emozioni vengono sempre più oscurati dal dover fare e dove il domani ha più valore dell’oggi. Nulla è impossibile, bisogna imparare a scorgere la realtà da ciò che agli occhi scettici appare solo come una fantasia assurda. Le cure palliative vanno vissute da protagonisti e non da spettatori, qualunque sia il proprio ruolo, perché le cure palliative sono vita e non un’idea da copiare o frasi da raccontare. Può diventare una scuola di vita, da diffondere e coltivare.

Da destra Federico Baracchi, regista, Massimiliano Cruciani, presidente, Luca Panaro, critico d'arte (foto Valeria Cammarota)

Questo nuovo modo di intendere le cure palliative è un processo irreversibile – spiega ancora Cruciani -, dove i primi storici palliativisti hanno tracciato per decenni il sentiero e dove il nostro ruolo oggi sarà quello di accogliere, ascoltare e accompagnare per poi lasciar andare.

Numerose le attività promosse dall’associazione. Si va dalle attività culturali, come convegni, seminari, incontri, proiezioni di film e documenti, concerti, lezioni, a quelle puramente formative con corsi di aggiornamento teorico/pratici per professionisti sanitari e non. Ma l’associazione si occupa anche di coworking e pubblica studi e ricerche.

L'assistenza è un'arte – conclude Cruciani - e se deve essere realizzata come un'arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore - diceva Florence Nightingale, madre dell'assistenza infermieristica a livello globale - con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio. È una delle belle arti. anzi, la più bella delle arti belle.

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