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Sentenza

Condannato medico che non ascoltò segnalazioni infermieri

di Redazione Roma

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Sì alla condanna del medico per rifiuto di atti d’ufficio se questi non procede subito a visitare il ricoverato, quando a sollecitarlo sono gli infermieri. Secondo la Cassazione (sentenza 12806), infatti, l’infermiere è una figura professionale tecnicamente qualificata e il medico non può ignorare la situazione.

Ignorò gli infermieri, medico condannato per rifiuto di atti d'ufficio

È stato condannato per rifiuto di atti d’ufficio un medico che alla segnalazione di tre infermieri (prima uno, poi gli altri due) – sulla necessità di visitare un paziente 87enne ricoverato al reparto di cardiologia invasiva (l’anziano, successivamente, è deceduto) – ha replicato negando le competenze dell’infermiere sul caso specifico. Secondo i giudici della Corte di Cassazione (sentenza 12806/2021), invece, l’infermiere possiede le competenze in materia e il medico non può ignorare la situazione.

Ritenuto il fatto, per il tramite del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Firenze del 25 febbraio 2020, che ha confermato quella emessa dal Tribunale di Firenze il 13 aprile 2018, che l’ha dichiarato colpevole del diritto di rifiuto di atti d’ufficio, per avere, nella sua qualità di medico in servizio presso il reparto di cardiologia invasiva di un ospedale di quella città, omesso di visitare un paziente ivi ricoverato, nonostante le richieste in tal senso formulategli da alcuni infermieri, spiega la sentenza.

Ma in che modo si è arrivati a tale conclusione?

Il tema in discussione è che, se nelle condizioni date, il ricorrente – ovvero il medico in servizio presso una struttura ospedaliera – avesse oppure no il dovere di visitare il paziente con una sindrome respiratoria acuta in atto, con un quadro clinico generale fortemente compromesso e, perciò, ad elevato rischio esiziale, peraltro in brevissimo tempo concretizzatosi.

I giudici della Corte di Cassazione hanno sottolineato che, in linea generale, non esistono dubbi in merito al fatto che il professionista sanitario, a fronte di una richiesta di controllo, conservi un margine di discrezionalità nel decidere sull’improrogabile urgenza del suo intervento (si badi bene: una discrezionalità di tipo tecnico, delimitata dalle regole della scienza medica e dall’eventuale presenza di discipline specifiche, anche di rango secondario – protocolli operativi, ma anche altre disposizioni di natura amministrativa –, nonché consentita nei limiti della ragionevolezza).

Ma la Cassazione le ritiene enunciazioni di principio, poiché il medico non può ignorare la segnalazione dell’infermiere, assolutamente competente in materia (riferendosi alle condizioni di un paziente) con la motivazione che l’infermiere non ha le competenze per valutare la situazione.

Di fatto, quando a richiedere l’intervento del medico sono gli infermierifigure professionali tecnicamente qualificate – sul primo grava un preciso obbligo di procedere immediatamente a visitare il paziente, con conseguente sussistenza del delitto di rifiuto di atti d’ufficio, qualora questo non accada, riporta la sentenza.

E ancora, anche quando la patologia sia stata valutata come non grave ad un primo screening del personale paramedico e, per una valutazione più completa, sia necessario attendere ulteriori esami. Secondo la Cassazione, ad escludere il reato poi non può essere il fatto che il paziente sia assistito dal personale infermieristico – incaricato di monitorarne le condizioni – e la valutazione del medico sia basata su dati clinici e strumentali.

Unica giustificazione, per quest’ultimo, è il risultare impegnato in un’assistenza altrettanto urgente. Ma la Cassazione non ha rilevato tale evenienza in nessun atto processuale, considerando l’atteggiamento del medico nulla più di un generico interessamento, e ancora non sorretto da illustrate e valide ragioni scientifiche; non indifferibile, al punto, cioè, che l’eventuale visita, a fronte del vantaggio costituito dalla diretta verifica della situazione clinica del malato, avrebbe però comportato la perdita di tempo prezioso per l’apprestamento di cure per lui salvifiche o, per lo meno, migliorative del suo stato di salute.

Del resto, conclude la sentenza, sintomatici di quale sia stato l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nella complessiva vicenda si rivelano due suoi comportamenti, descritti in sentenza e non smentiti: la risposta resa all’infermiere in occasione della nuova sollecitazione ed il fatto che, solo quando la situazione si è aggravata – ed altro sanitario, al quale gli infermieri si sono rivolti – ha disposto il trasferimento del malato in terapia intensiva coronarica, egli si è presentato. Il reato, pertanto, sussiste e l’imputato ne è colpevole.

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