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Editoriale

1 maggio 2023

di Giordano Cotichelli

Non basta più andare a fare la spesa all’hard discount, dove una volta prendevi molte cose a poco prezzo. Adesso a poco prezzo c’è solo il tuo lavoro. Non basta più vestirsi con indumenti fatti con il petrolio che, quando fa freddo, riescono a farti sudare come se fosse ferragosto, senza scaldarti. Non basta più non avere niente, perché anche il niente costa troppo caro per chi non esiste. Ecco come stiamo: non basta più! Ieri sono stato mezz’ora a guardare la ricetta per capire se gli esami del sangue li dovevo fare tutti o qualcuno lo potevo evitare. L’ho chiesto pure ripetutamente al medico e lui ogni volta ha risposto che quelli sono e quelli devo fare. La risonanza ancora non me l’hanno prenotata. Non c’è posto. Ho sentito il centro di diagnosi privato che me la fa domani, ma il costo è insostenibile. Alla fine degli integratori ne ho presa solo una scatola. Con quello che costano ci faccio spesa una settimana all’hard discount.

La quotidianità per milioni di italiani alle porte del 1° maggio 2023

1 maggio | Festa dei lavoratori

Questa è la sintesi della quotidianità di vita per diversi milioni di italiani alle porte del 1° maggio 2023. E non è destinata a migliorare.

Il governo di destra in carica, dallo scorso autunno, ha mostrato tutta la sua schietta genuinità politica contro le fasce più deboli della popolazione.

Le stesse da cui ha preso una discreta quota di voti, e verso le quali si prepara, con un Consiglio dei ministri in agenda proprio nella giornata di festa dei lavoratori, a varare l’ennesimo provvedimento contro i poveri e contro i lavoratori, invece di prendersela contro la povertà e aumentare il lavoro.

I sindacati, pare, siano stati convocati solo la sera prima. Se la sono presa, a ragione. Chissà se capiranno che per i diritti sociali e dei lavoratori i concerti non bastano più.

In generale, la prospettiva è quella di una maggiore precarizzazione, un allargamento dell’arbitrarietà di pagare e sfruttare i dipendenti come ciascun imprenditore riterrà meglio. In definitiva sarà considerata più importante la friggitrice del McDonald che non colui che se ne serve.

La prima può andare avanti per molte ore di seguito, non si lamenta mai e produce molto con pochissima spesa. Peccato quando si rompe. L’altro, cerca di prendersi una pausa ogni volta che può, si lamenta che l’odore di olio fritto che gli rimane sui vestiti ed osa dire che il cibo che prepara è l’espressione della stessa qualità del lavoro di chi lo ha preparato. Inoltre, quando si ammala, non riesci mai ad aggiustarlo come si deve. A quel punto è meglio buttarlo appena possibile.

Un contratto a termine, totalmente deregolamentato serve anche a questo: dopo 12, 24 o 36 mesi, in una condizione di precariato cronico che crea solo schiavitù e rassegnazione. Un precario non fa sciopero, non ti rompe i c……i ed abbozza quando non gli paghi una festività. Difficile, in queste condizioni, per i più giovani, farsi una famiglia. Molto più facile perderla, la famiglia, tanto la friggitrice verrà sempre preferita al friggitore.

Così, di miseria in miseria, la società italiana si prepara a trasformare sempre di più la giustizia sociale in giustizia liberista: la povertà come una condanna, la disoccupazione come una colpa, il lavoro precario come una malattia incurabile, e l’essere un immigrato l’espressione di un reato, come direbbe Totò, “a prescindere”.

Eppure doveva essere ben altra cosa l’Italia che si immaginava il Principe della risata quando tuonava, in senso sarcastico e provocatorio: “Siamo uomini o caporali!”. Si rivolgeva agli ultimi arroganti della gerarchia militare e a quelli presenti nei cantieri dei palazzinari dell’Italia del “boom”. I servi di sempre guardiani degli schiavi.

Di noi tutti schiavi di questo tempo in cui la miseria è paradigmatica di questa società che la genera e la riproduce; si diffonde e insozza ovunque, veicolata da ansie e paure opportunamente alimentate e distribuite a piene mani a chi… non merita nulla in quanto povero, malato, immigrato, disoccupato.

E c’è poi chi continua ad affermare che il lavoro nobilita

Chi, cosa o come ciò dovrebbe essere, non è dato sapere in questa Italia che risulta essere uno dei paesi europei con i salari più bassi. Ad alzarsi restano solo le precarie condizioni occupazionali, le industrie periodicamente dismesse e delocalizzate fuori dai confini della patria, in un tempo dove ogni sorta di ammortizzatore sociale viene a mancare: trasporti pubblici e previdenza, sanità e istruzione, coesione e reti sociali; in un quadro riassuntivo in cui il numero di infortuni e morti sul lavoro denuncia ulteriormente la gravità della situazione.

Sono ormai passati tre anni da quel primo maggio della pandemia in cui ci si ripeteva che tutto sarebbe andato bene. Poi però così non è stato. In molte fabbriche sono arrivate centinaia, migliaia di lettere di licenziamento. C’è chi ha perso tempo e testa a lottare contro il green pass e poi si è ritrovato con un paese ancora più povero. Nelle corsie qualche speranza si era accesa quando si chiedeva più personale e tutti promettevano ai Quattroventi che mai più ci si sarebbe ridotti ad un precariato diffuso come quello presente fino ad allora. La speranza di molti durò lo spazio di un mattino. Anche meno.

In corsia e nei servizi, sul territorio e nelle residenze, ed in ogni luogo di lavoro c’è sempre più una popolazione difforme sul piano contrattuale che vede il precario lavorare con il boomer a tempo indeterminato, a fianco poi del lavoratore di una cooperativa di un qualche appalto volante, cui si può aggiungere la partita IVA che presta occasionalmente la sua opera da libero professionista. Molto professionista, ma sempre meno libero, in balia continua delle leggi del profitto e dei soliti profittatori.

Nei campi poi, dove qualche ministro vorrebbe rieducare le giovani generazioni, i caporali presenti non fanno ridere nemmeno il Principe della risata, colpevoli delle angherie e delle cattiverie cui è costretto quotidianamente chi resta curvo sotto il sole, la pioggia, o il clima brutto di ogni dannato giorno di schiavitù. Per non parlare di quelli della logistica e dei rider, degli stagisti e di tutti quelli che continuano a sentirsi ripetere: “Domani ti pago!”.

Se qualcuno sapesse che il 1° maggio è una festa nata per la garanzia delle otto ore lavorative, per un salario dignitoso, contro il lavoro minorile, a favore di un’istruzione quale risorsa per la salute e la sicurezza per i lavoratori, penserebbe che il tempo delle utopie è passato senza mai realizzarsi e che oggi non resta che il rancore e la disperazione; in un primo maggio al suo secondo anno di guerra.

L’Italia che l’attuale classe politica ha saccheggiato in questi anni e che il governo della Premier sta plasmando, nello sterco e nel fiele del disprezzo per i più deboli, sarà sempre più un brutto paese. Molti ricchi diventeranno più ricchi e, per questo, tanti poveri, troppi, precipiteranno ancora di più in basso, mentre i signori della poltrona sicura, quelli che non hanno lavorato mai un giorno in vita loro, saranno i caporali di una società imbruttita e stupida.

Almeno fin quando non si sarà recuperato il senso della solidarietà di classe, della dignità lavorativa, dell’umanità degli umili e degli ultimi. Tutti quei valori insomma fondanti la lotta e la memoria del primo maggio come pasqua di emancipazione della classe operaia.

È vero, con le belle parole non si riempie il carrello della spesa, ma possono aiutare fin da subito ad alzare il capo reso schiavo, a guardare in alto e avanti, alla ricerca di nuovi orizzonti di vita e libertà, e rivendicarli per sé e per gli altri.

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Commenti (1)

MaxGen76

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40 commenti

Giusto! Abituato da sempre a belle parole!

#1

Sono anni che noi infermieri siamo sfruttati, demansionati, sottopagati. Eppure dal 1985 ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti e molti governi si sono alternati! Ha proprio ragione, con le parole non si riempiono i carrelli…soprattutto i nostri che pur essendo dottori, laureati, avendo responsabilità civile e penale, godendo di autonomia lavorativa e professionale per legge, quindi sulla carta, di fatto schiavi di tutti, percepiamo meno di un metalmeccanico (con tutto il massimo rispetto)!!! Allora forse è il caso che queste parole comincino ad arrivare alla FNOPI, alla politica ed ai sindacati tutti nessuno escluso! Ovvero tutti coloro che pur sapendo non muovono un dito…ma pretendono assai…tasse, iscrizioni, ecc…ma non da oggi e nemmeno da sei mesi…!