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Editoriale

100 anni fa: squadristi e infermieri

di Giordano Cotichelli

Qualcuno potrebbe dire che questo pezzo di storia è di parte, ma non è vero. L’articolo che state leggendo è scritto in maniera “partigiana”, la storia, quella dei fatti raccontati, delle prove e delle testimonianze, delle fonti cui attingere e della memoria, quella storia lì è una sola. Può essere interpretata, riscritta, distorta e negata, ma i fatti restano tali. A Cogoleto c’è una via dedicata a Luigi Parenti ma, oltre il nome dell’infermiere ucciso, la targa non indica nulla. E ciò non favorisce la conservazione e la diffusione della memoria. Delle tante memorie perdute e dimenticate, negate o, molto spesso assopite. E, come è noto, il sonno della ragione genera mostri.

Un pezzo di storia dimenticata

Non è dato sapere quanti infermieri, e infermiere, subirono le violenze dello squadrismo fascista.

Nella notte fra il 3 e il 4 settembre 1922 una squadraccia composta all’incirca da una sessantina di fascisti irrompe all’interno dei reparti del manicomio di Cogoleto (GE) con il pretesto di cercare la bandiera rossa della lega degli infermieri locali. Gli squadristi provocano violenze e disordini1.

Nei corridoi e fra i viali dei padiglioni è il caos: maltrattamenti di infermieri, colpi di pistola sparati, perquisizioni nei reparti. È l’ennesimo episodio che segna il montare della violenza fascista all’indomani della Marcia su Roma (28 ottobre).

Già due mesi prima un infermiere dello stesso ospedale, durante un’aggressione in strada, viene ferito a morte. Il suo nome era Luigi Parenti, di anni 37, originario di Arezzo. Un pezzo di storia dimenticata, che qualcuno considera “divisiva”, che riporta la memoria ad una guerra fra poveri funzionale a mantenere inalterato lo stato di miseria esistente e a dare forza all’instaurazione della dittatura in un paese prostrato dalla guerra e dalla pandemia di influenza spagnola.

L’avvenimento è significativo e ricorda non solo la violenza politica di allora, ma sottolinea indirettamente l’impegno, sul fronte delle organizzazioni professionali e sindacali proprio degli infermieri, specie di quelli in servizio negli ospedali psichiatrici.

L’episodio di Cogoleto, per assurdo, verrà ulteriormente ricordato dallo stesso regime, ma al contrario. Il regista Alessandro Blasetti ambienterà la trama del suo film elegiaco verso lo squadrismo – Vecchia guardia, 1934 - proprio in un ospedale psichiatrico in preda al caos conseguente allo sciopero degli infermieri e dove l’ordine verrà riportato dall’intervento degli squadristi.

Sembra quasi di trovarsi ai giorni nostri, dove la verità può essere negata, rovesciata, messa in discussione da chi urla di più. Da chi ha più risorse per pagare profumatamente i media ad ogni livello. L’ex-presidente degli Usa, Donald Trump, è un perfetto esempio in tal senso (ma non solo lui); in cui la strategia da portare avanti nell’affermazione di una tesi – specie se falsa – e quella di attaccare forsennatamente l’avversario fino a quando non sarà annichilito.

Il dibattito politico, il confronto pubblico, lo scambio di opinioni viene appiattito quindi sulla menzogna ripetuta, rafforzata, esasperata e violenta fino a quando riesce a prevalere. Il terreno della razionalità è rovesciato ad arte, manipolato, negato, con una proiezione in avanti dove i violenti, i bugiardi, e gli arroganti saranno dunque coloro che cercano di riportare il confronto entro i confini, appunto, della ragione. Non solo. Più si affanneranno nel loro tentativo della ricerca della verità scientifica, logica, condivisa, più saranno destinati a perdere e a portare acqua all’altrui mulino.

I fatti di Cogoleto sono un pezzo di storia di cento anni fa ma, lungo una prospettiva di lungo respiro, come direbbe lo storico francese Ferdinand Braudel, sono molto più prossimi all’oggi di quanto non si creda.

Non è dato sapere quanti infermieri, e infermiere, subirono le violenze dello squadrismo fascista. Un altro tragico avvenimento arriva dagli scontri che insanguinarono Ferrara in quegli anni e che videro, fra le tante vittime, un altro infermiere, Giovanni Mirella, ucciso il 20 novembre 1920 in uno scontro fra socialisti e squadristi fascisti2. L’episodio è riportato in un bel libro, di poco tempo fa, scritto dallo storico Mimmo Franzinelli.

Nel testo si ricorda in particolare quanto costò in termini di vite umane la violenza fascista ai danni di case del popolo, e camere del lavoro, sedi di cooperative e società di mutuo soccorso, sindacati operai, biblioteche, scuole e circoli popolari, giornali e tipografie, in quello che venne definito il Biennio nero (1921–1922) e che causò un numero imprecisato di vittime, comprese fra le cinquecento e le tremila. Anni da cui si originarono poi lutti ancora maggiori e conseguenze sociali ed economiche devastanti.

Basti pensare, per rimanere in tema di protezione della salute, che in un quindicennio, fra il 1926 e il 1941, il numero degli internati negli ospedali psichiatrici aumentò da 60.127 (152,6 ricoverati ogni 100.000 abitanti) a 96.423 (218,9 ricoverati ogni 100.000 abitanti)3 con un crescita dei pazienti affetti da “devianze” (sembra che oggi si usi dire così) del 60,3%, a sottolineare, nei fatti non solo l’esistenza di un sistema sanitario inefficiente ed inefficace, ma come il peggioramento delle condizioni sociali ed economiche in un paese siano esse, realmente, alla base delle “devianze” psichiatriche, e di qualsiasi altra malattia come tali, che invece qualcuno vorrebbe rimandarle alla dimensione individuale delle persone, assolvendo il sistema, ed i suoi signori, da qualsiasi responsabilità, in tema di peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

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