Negli ultimi anni la tecnologia in ambito sanitario ha fatto passi da gigante. Sensori, dispositivi indossabili, app mediche: tutto concorre a promettere una sanità più accessibile, efficiente, personalizzata. Ma quando la tecnologia incontra la comunicazione, il risultato può essere meno virtuoso di quanto si pensi. O almeno, è ciò che ho pensato leggendo il titolo di una recente recensione online: Withings BeamO, un infermiere nel taschino
L'infermiere non è un sensore, non è un'interfaccia
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Il dispositivo in questione è un prodotto di home health monitoring che misura febbre , frequenza cardiaca , saturazione , frequenza respiratoria . Un oggetto sicuramente utile, che può contribuire a una migliore autogestione della salute.
Ma definirlo un infermiere – per di più nel taschino – non è solo una metafora infelice. È una semplificazione che sminuisce profondamente il ruolo, la competenza e il valore degli infermieri nella relazione di cura.
L’infermiere non è un sensore. Non è un’interfaccia. Non è uno strumento da tenere in borsa e tirare fuori alla prima linea di febbre.
L’infermiere è un professionista che costruisce una relazione , che osserva il paziente nel suo insieme, che ascolta, che accompagna, che si prende carico di sofferenze fisiche e fragilità emotive. È presenza, è attenzione, è decisione clinica quotidiana.
Ridurre tutto questo a un dispositivo, per quanto avanzato, è offensivo. E lo è doppiamente se si considera che la categoria infermieristica continua a lottare ogni giorno per il riconoscimento pieno delle proprie competenze e responsabilità.
Parole che feriscono: la stomia non è un errore
Quasi in parallelo, su un’altra testata, ho letto un secondo titolo che ha attirato la mia attenzione – ma per ragioni ben più gravi: Tumori di retto e ano in aumento fra i giovani. Nuovi studi indicano come evitare i danni permanenti della chirurgia
Il riferimento è, anche, alla stomia . Un intervento che, nella narrazione dell’articolo, appare come un danno permanente , da cui tenersi alla larga. Ma per chi rappresenta i pazienti stomizzati, questo linguaggio è difficile da accettare.
La stomia non è un errore , non è una sconfitta, e non è un danno. È una soluzione medica salvavita . È ciò che consente a persone con patologie oncologiche, infiammatorie o traumatiche di vivere, lavorare, viaggiare, essere genitori, praticare sport. Descriverla come qualcosa da evitare a ogni costo significa contribuire allo stigma, all’isolamento, al silenzio.
E spesso, questo silenzio è ciò che ferisce di più i pazienti: più ancora della diagnosi, più della fatica della riabilitazione, più della convivenza con un presidio permanente.
Le parole contano: rispetto per professionisti e pazienti
Chi lavora nella comunicazione sanitaria ha una responsabilità enorme. Le parole che scegliamo raccontano la salute, ma soprattutto raccontano le persone che vivono la salute e la malattia.
Titolare un articolo in modo accattivante può aumentare i click. Ma quando questo avviene al prezzo della dignità di una professione o del vissuto dei pazienti, il danno non è più solo linguistico: è etico, è culturale, è umano.
Come associazione di pazienti, chiediamo più attenzione. Come cittadino, mi auguro più consapevolezza. Ci sembra il minimo.
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