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Ucraina

La guerra dei bambini

di Monica Vaccaretti

Dopo dicianove giorni, la guerra non si ferma. Peggiora, come fanno i grandi conflitti internazionali. E ad ogni minuto che passa questa aggressione criminale distrugge una terra, devasta un popolo, annienta la pace mondiale. Stiamo vivendo una pagina di storia. Un'altra. “I hope the Russians love their childern too”, spero che anche i Russi amino i loro bambini. Sting è tornato a cantare Russians, il brano composto nel 1985. Erano gli anni della Guerra Fredda ed il mondo era ancora spaventato dalla bomba atomica. Oggi la canzone, drammaticamente attuale con i timori della Terza Guerra Mondiale e la nuova contrapposizione tra Occidente ed Oriente, vuole essere un appello dell'artista alla nostra comune umanità “perché tutti noi amiamo i nostri figli”.

Ci sono bambini ovunque

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Penso ai coraggiosi ucraini che stanno resistendo all'invasione russa con la forza dello spirito, con quel coraggio che infiamma soltanto gli uomini che hanno tutto da perdere: la libertà che li nobilita e il sangue dei figli che li onora. Penso ai russi, che manifestano nelle piazze il loro dissenso alla guerra e vengono arrestati a migliaia. Ai russi che non sanno la verità dal campo di battaglia perché censura e propaganda oscurano siti, social media, televisione, giornali e realtà. Ai russi che combattono in Ucraina, spesso giovanissimi soldati di leva che la guerra non l'hanno mai fatta, si arrendono e vengono fatti prigionieri. Ai russi che sparano sui civili e compiono tutte le cose orribili che i soldati fanno in guerra, dai massacri agli stupri sino alle bombe su scuole ed ospedali. Penso a tutti noi, che abbiamo dei figli sotto questo cielo, mentre guardiamo impotenti e spaventati al telegiornale l'evolversi degli eventi. Penso a tutte le madri, che hanno un figlio al fronte o un bambino tra le braccia in Ucraina. Penso ai nostri bambini, che la guerra l'hanno solo studiata a scuola. Penso ai bambini del mondo, al quale bisogna spiegare quel che sta capitando.

Quando si è bambini non si capiscono i grandi fatti della storia e la geopolitica. Si ha in mente ad essere bambini. È soltanto quando si diventa madri e padri che la guerra fa davvero paura, specialmente se non l'abbiamo mai vissuta e ci siamo abituati ad un trentennio di pace, dimenticando le tensioni che c'erano tra le due superpotenze dal Dopoguerra agli anni Novanta. Poiché abbiamo data per scontata la pace, ci ritroviamo attoniti. Siamo spaventati soprattutto per le creature che nel frattempo abbiamo messo al mondo, pensando fosse sempre una bambagia. Ci siamo svegliati il 24 febbraio realizzando che invece può diventare un inferno, d'improvviso, con le ragioni della guerra.

Tre cose ci sono rimaste del Paradiso, scriveva Dante: le stelle, i fiori e i bambini. Le stelle ucraine non brillano da quando il cielo è illuminato a giorno dai 600 missili lanciati dall'inizio dell'invasione, secondo il conteggio del Pentagono. Un numero spropositato che dà un'idea delle proporzioni del conflitto. La gente non vede le stelle quando è sottoterra, nelle metropolitane trasformate in bunker e nelle cantine delle case, come si faceva sotto i bombardamenti delle Seconda Guerra Mondiale. Ma non ci sono rifugi antiarei nei piccoli borghi in periferia, c'è solo il terrore a cielo scoperto, raccontano i profughi alla frontiera polacca. È quasi primavera ma i fiori tra le macerie sono tutti inceneriti dalle fiamme e rasi al suolo dai cingolati. La terra ucraina dell'inverno 2022, sotto le bombe, è una distesa di voragini di asfalto e neve. Cenere e fango. Pietre e sangue. I fiori sono evaporati come le persone, se davvero i russi hanno usato le bombe termobariche, armi non convenzionali, contro i civili. In Ucraina, terra del grano e del cielo, agli Ucraini restano solo i bambini. Per questo ai confini dell'Europa stanno arrivando in massa, insieme alle mamme e alle nonne. Gli inviati di guerra raccontano di centomila bambini orfani messi sui treni verso la salvezza in Europa.

Straziano i bambini che oltrepassano il confine con Polonia, Moldavia e Romania. Tengono in spalla lo zaino di scuola, con poco del mondo che hanno lasciato indietro e tutto quello che potevano portarsi dietro nella fuga precipitosa. Sono ben vestiti, infagottati per proteggersi dal freddo, ma hanno addosso gli stessi indumenti che avevano quando sono fuggiti. Tengono stretta la mano delle mamme; altri camminano davanti, già piccoli uomini, con un buon passo dopo centinaia di chilometri nei piedi, spaventati ma fieri di qualcosa più grande di loro. Sono bambini stremati e terrorizzati ma la maggior parte, stranamente, non piange. Non ancora, il trauma probabilmente arriverà dopo, quando saranno al caldo e protetti, rifugiati e lontani. Piangeranno quando diventeranno grandi. Per colpa dei grandi.

Ci sono bambini dentro carozzine, sollevate a braccia dai soldati ucraini, che attraversano binari e salite impantanate. Ci sono bambini che vengono cullati alla frontiera, dopo la lunga marcia, il passeggino avanti e indietro, come fanno tutte le mamme del mondo, per farli addormentare. O per farli smettere di piangere, come fa quella giovane donna che si asciuga le lacrime con la sciarpa bianca mentre guarda il suo bambino. O erano soltanto i fiochi di neve che le cadevano sul viso? Ci sono bambini sulle banchine delle stazioni che aspettano un treno verso occidente, tra le urla dei soldati e la calca della gente. Ci sono bambini ai finestrini dei pulman, disegnano cuori sul vetro appannato dal freddo per chi, pur amandoli, resta a terra. Sono i padri, che dopo averli messi a bordo per salvarli, tornano indietro ad arruolarsi. Ci sono bambini sotto ponti e cavalcavia distrutti, sono indistinti e piccoli dentro una massa umana, disumana. Aspettano che il fuoco incrociato smetta, che ci sia una tregua, che ci sia un corridoio umanitario. Ci sono già tanti bambini morti, sotto le bombe, nelle case e sui cigli delle strade. A che serve contarli? Ne basterebbe uno per urlare. Non si sa quanti siano quelli che non mangiano da due settimane. Luce, acqua, gas, cibo. Manca tutto, non funziona più niente. Come sopravvive un bambino a tutto questo? Nell'inferno ucraino ci sono bambini che nascono ancora: nei sottorrenei degli ospedali, trasformati in reparti con materassi a terra, e nelle metropolitane usate come rifugi antiaerei. Un bambino, quando è il momento, non si cura di nascere sotto le bombe e le sirene di allarme. Nasce e basta, quando vuole, sempre con un pianto e una mamma accanto.

Nonostante siano passati già dicianove giorni di guerra, in Moldavia, Romania e Polonia i soccorsi umanitari non sono ancora organizzati dall'Uhcnr, l'Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite che certamente sta raccogliendo fondi ma dove sono le tende e il personale dell'Onu? Le centinaia di migliaia di persone che escono ogni giorno dall'Ucraina sono in mano intanto al buon cuore delle associazioni di volontariato locali e alla carità della gente del posto che porta cibo, bevande calde, abiti, beni di prima necessità, tende da campo e farmaci. Arrivano persino pulman da alcuni paesi europei, portano aiuti al confine e poi tornano indietro carichi di persone da portare in salvo. Alcuni autisti danno un passaggio gratuito, altri si fanno pagare cento euro. Soltanto la Croce Rossa Internazionale sta operando sul posto. Il soccorso è immane. È drammatico il ritardo dell'Onu nella gestione della più grave crisi umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale. Dov'è l'Unione Europea? Perché la più grande catastrofe umanitaria, con la fuga di 1 milione e settecentomila tra donne e bambini, non è ancora gestita a livello di Governo Centrale Europeo, e bene come Dio comanda?

Secondo le stime di Save the Children, sono 7,5 milioni i bambini ucraini vittime di danni fisici, disagi psicologici e sfollamenti. Quelli che vivono nell'area più a rischio dell'Ucraina, nella regione orientale, sono almeno 400 mila. L'uso di armi esplosive nelle aree popolate colpisce la popolazione inerme e, tra i civili, i bambini sono certamente la parte più fragile e vulnerabile. È in pericolo la vita e la salute mentale di un popolo ma quella dei bambini ha un valore maggiore perché alla sacralità della vita di ogni persona si deve aggiungere l'innocenza, la voglia di crescere, i sogni e la speranza. Far perdere all'umanità questo valore immenso – che si vede anche in quel bambino che ancora riesce a giocare con una automobilina sul pavimento di una stazione ferroviaria polacca mentre tutto attorno è disperazione e follia – sotto i colpi di mortaio, le mitragliatrici e i missili non è soltanto un crimine di guerra da giudicare al tribunale dell'Aja. È il più infame dei delitti, che soltanto l'uomo fa sui cuccioli d'uomo, pertanto anche la massima pena inflitta dal giudizio internazionale non toglie la pena nel cuore dei padri e della madri del mondo difronte a questo orrore. I bambini non sono, delle bombe, effetti collaterali qualsiasi. Sia che perdano la vita o che sopravvivano alla guerra, l'umanità che diventeremo, dopo Kiev; chiederà conto alla nostra umanità di oggi del dolore immenso che abbiamo inflitto ai bambini. Perché ogni guerra lascia il segno, cambia la società e la morale, inaridisce qualcosa che ci muore dentro, quando si toccano i bambini del mondo.

Mentre i bambini ucraini soffrono, scappano e muoiono, la Russia sta usando un cartone animato di propaganda per spiegare ai bambini russi la guerra contro l'Ucraina e consapevolizzarli sul conflitto “tra due paesi amici da tanto tempo”. I protagonisti sono due compagni di classe e di banco, un russo, Vanya, e un ucraino, Kolya. Sono simili, come fratelli di sangue, distinguibili soltanto dalla bandierina che hanno stampata sul maglione. Kolya, nonostante la lunga amicizia, decide di separarsi dall'amico russo, cambia classe e nome. Si fa nuovi amici, anche gli Stati Uniti, ed inizia a colpire con un bastone gli ex compagni di classe, la Repubblica Popolare di Lugansk e la Repubblica Popolare di Doneck. Il bambino russo allora interviene cercando di fermare l'amico di una volta spezzandogli il bastone ma gli Stati Uniti e l'Occidente, rappresentati come altri bambini, si schierano dalla parte del bambino ucraino. In meno di tre minuti la propaganda di Mosca presenta la sua visione ai suoi bambini, distorcendo i fatti in corso sulla falsariga della dichiarazione di guerra di Putin andata in onda per gli adulti nella notte del 24 febbraio. Si spiega quindi con efficacia ai bambini russi che non si tratta di una guerra ma di un tentativo di disarmamento dell'Ucraina per riportare la pace, sempre che il popolo ucraino lo voglia.

Anche Rainew24 ha realizzato per Rai Ragazzi un video in cui spiega ai bambini italiani, in maniera semplice e protetta, l'orrore della guerra. Si tratta di un racconto, che partendo dalla mappa geografica con il nome delle città ucraine, spiega l'invasione da parte della Russia per capire ciò a cui stiamo assistendo. “Accanto al conflitto c'è l'emergenza umanitaria. Ci sono colonne di automobili e centinaia di migliaia di donne e bambini in fuga da un paese in guerra verso la Polonia, la Romania, la Moldavia per raggiungere l'Europa. Lasciano tutto, per non rischiare di morire sotto le bombe”. Il video spiega quali sono le forze in campo: “Ad invadere l'Ucraina è stata la Russia di Valdimir Putin che ha l'appoggio della Bielorussia ed il sostegno indiretto della Cina. Dalla parte dell'Ucraina c'è invece l'Occidente, l'America di Joe Biden, l'Europa, la Gran Bretagna”. Andando indietro di cent'anni, si spiega che nel 1929 l'Ucraina entrava a far parte dell'Unione Sovietica, sotto il suo regime ma indipendente dalla Russia. Kiev e Mosca si dividono 70 anni dopo, negli anni Novanta, quando l'Unione Sovietica crolla e le nazioni che la componevano, diventano indipendenti. “Anche l'Ucraina dove però rimane una minoranza russa. Si racconta ai ragazzi che l'Ucraina aveva molte armi nucleari, era il terzo arsenale al mondo dopo Stati Uniti e Russia. E sono stati proprio gli Stati uniti a chiedere a Kiev di smantellare le proprie testate, in cambio si fanno garanti dell'indipendenza e dell'unità dell'ucraina e lo fanno proprio insieme alla Russia”. Il racconto continua con la guerra di otto anni fa, nel 2014, in Crimea e i conflitti nella regione del Donbass che, sentendosi politicamente vicina a Mosca, chiede l'indipendenza. E poi spiega ai bambini le ragioni delle sanzioni, dei danni economici che accompagnano ogni guerra, dei rincari di gas e petrolio, del costo del pane e del grano perché l'Ucraina è il terzo granaio del mondo e la Russia il primo. Spiega che l'Europa, dopo i tanti conflitti che l'hanno dilaniata, rifiuta la guerra come mezzo per risolvere le dispute tra gli Stati. Il video termina con l'articolo 11 della nostra Costituzione.

Certamente i russi amano i loro figli tanto quanto li amiamo noi. Sono padri, sono madri. Anche gli uomini di potere che stravolgono miliardi di vite hanno un cuore quando amano i loro bambini. Tuttavia ci sono due modi di raccontare una guerra, con la verità storica oppure con la propaganda che distorce la realtà. Ai bambini non si parla con l'inganno, non li si protegge raccontando una storia accomodante. I bambini poi credono sempre a quel che viene loro detto, soprattutto se a dirlo sono mamma e papà. Da una parte e dall'altra della storia che gli adulti raccontano, i bambini non hanno strumenti di comprensione e di analisi, di resilienza e di resistenza. Che siano rimasti intrappolati dentro un Paese in fiamme, che siano in cammino sotto le bombe verso l'Europa o che siano al sicuro oltre il confine russo, tuttavia i bambini ci osservano. Cercano risposte. Dicono: Perché? In ogni angolo del mondo i bambini vogliono soltanto essere protetti, salvati, amati. E in tutti i modi possibili, di essere bambini. Perché si diventa grandi, come i grandi, troppo presto.

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