È davvero una questione di tempo? Veramente mentre siamo presi da terapie e burocrazie non abbiamo 5 o 4 o 3 minuti di tempo per riflettere sull’importanza della relazione tra paziente e professione sanitaria?
Anche le competenze relazionali dovrebbero essere professionalizzanti
Nella relazione tra sanitario e paziente è la qualità del tempo che conta
Rogers definisce la relazione d’aiuto una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato . E se provassimo a “relazionarci” con il paziente, invece che considerare il sig. Rossi lo scompenso cardiaco a cui corrispondono una serie di tecniche infermieristiche e di segni da attenzionare durante il nostro turno?
Cosa ricordano i pazienti quando, alla dimissione, ricevono la lettera con le raccomandazioni e la terapia da assumere a domicilio? Il medico più simpatico, l’infermiera più gentile, l’oss che la mattina gli chiedeva come sta? Di sicuro non verrà loro in mente chi ha fatto più velocemente il prelievo o quello più bravo a capire per primo il sintomo che ha permesso di intervenire immediatamente per risolvere un problema, competenze senza dubbio altrettanto importanti.
Durante questo periodo di emergenza in cui i ricoverati erano veramente soli, alcuni di noi hanno vissuto la riconoscenza negli sguardi dei pazienti anche solo per averli presi per mano in un momento di sconforto o per aver passato loro una videochiamata con il tablet donato da qualche benefattore.
In quello sguardo c’era una richiesta: non mi abbandonare, stai con me, sei il mio punto di riferimento
Quale meccanismo scatta quando un soggetto viene ricoverato? Ci abbiamo mai pensato? Potremmo forse considerare l’ipotesi che ogni individuo che si ricovera possa essere in una fase di bisogno anche di relazione oltre che clinico-assistenziale e comprendere quindi come la relazione d’aiuto sia una competenza da sfruttare ogni giorno affinché faccia parte del prendersi cura della persona.
Se le competenze relazionali facessero parte del pacchetto delle competenze professionalizzanti anziché di quelle trasversali potremmo “trovare il tempo” per utilizzarle con pari importanza rispetto a quelle tecniche. Questo farebbe la differenza tra un bravo operatore sanitario e uno empatico, tra il curare e il prendersi cura.
Patrizia Marchetti - Infermiera
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