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Operatore Socio Sanitario

Burnout dietro l'angolo, ma il paziente prima di tutto

di Paola Botte

Non guardarli con aria di insofferenza, per poi pensar ma sì, è il mio lavoro, pazienza. Un pensiero per i suoi pazienti, un'esortazione per chi fa questo lavoro a metterci il cuore o semplicemente un modo per ricordare a se stesso cosa lo spinge ogni mattina ad alzarsi dal letto per "illuminare una stanza buia e piena di ragnatele ma con ricordi vivi e presenti". Per Giuseppe Vacanti, Oss di origini siciliane trasferitosi al nord, quello dell'Operatore socio sanitario è un lavoro dove l'umanità è al primo posto. Queste parole, estrapolate da una poesia scritta da lui stesso, lo dimostrano. E ancora di più, lo dimostra la sua esperienza caratterizzata da una profonda sensibilità.

Giuseppe, Oss: Amo il mio lavoro, anche se vedo il lato triste della vita

Giuseppe Vacanti, Operatore socio sanitario

Sono venuto a conoscenza del corso per diventare Oss mentre vivevo in Veneto, a fine 2009, prima ero in Valle d'Aosta - racconta - Ho scelto questo percorso per il semplice fatto che faccio assistenza da quando ero piccolo, con mia madre che faceva mille mestieri per tirarmi su. Lì ho imparato ad apprezzare le piccole cose della vita ed anche se ero solo un bambino riconoscevo un sorriso sincero, nato dopo aver donato una carezza o una semplice attenzione.

Sin da ragazzino ho desiderato lavorare nel sociale, sognando varie strade che però economicamente non potevo permettermi. Quando mi sono trasferito al nord e ho scoperto questo percorso formativo ho pensato che questa mansione potesse essere una sorta di conciliazione tra ciò che volevo fare e non ho potuto e ciò che ho sempre amato fare. Nel 2011 a Padova ho conseguito il titolo di Oss.

Poi è arrivato il suo primo lavoro come Oss nella stessa casa di riposo dove aveva svolto una parte del tirocinio.

In seguito ho svolto il ruolo di coordinatore Oss presso una residenza protetta, affiancando, formando e cercando di trasmettere il senso di professionalità ed umanità - racconta - Ho svolto questa mansione insieme ad un team di lavoro eccezionale ed unico per quattro anni, sacrificando la mia vita sociale anche per 14/15 ore di lavoro al giorno, raggiungendo picchi di 200 ore mensili.

Tutto ciò per 1.200 euro e tante promesse. Se questo non è amore per il proprio lavoro non so cosa sia, ma allo sfruttamento si può sempre dire basta, alzando la testa e rimettendosi in gioco. È dura lo so, ma io l'ho fatto. Così dopo essermene andato strappando un contratto indeterminato, ho ricominciato da dove ero partito, facendo l'Oss altrove

Quando gli chiedo cosa gli piace di questo lavoro, lui risponde: Semplicemente non lo vivo come un lavoro. È mentalmente massacrante certo, ed è super esposto al burnout se non si trovano le giuste contromisure, ma quelle le trovi solo dentro di te.  Sono le motivazioni - continua - che ti spingono ogni mattina ad aprire le tende di una camera a quella persona che da sola non può farlo ed esordire con un: "Buongiorno signore, dormito bene?", accompagnato da un sorriso ed un po' di gentilezza che è gratis.

L'Oss infatti trova più difficoltoso il rapporto con i colleghi a causa di chiacchiere e invidie che l'approccio alla persona in difficoltà.

Consiglierei di fare il corso Oss a chi lo vuole davvero, perché non è una scelta facile - Conclude - Si vedono morte, lacrime, grida e sofferenza e anche tanta cacca, diciamocelo pure. Si vede il lato più triste della vita e la cosa peggiore è che non si può fare nulla per cambiare certi eventi, ma si possono rendere più caldi, più amorevoli, più umani. Con il tempo magari possiamo vedere, per esempio, la signora Carmela che piangeva sempre, finalmente sorridere perché ci vede arrivare in turno. O accorgerci che la signora Marisa quando ci riconosce si fa imboccare volentieri, perché sa che il pranzo diventerà una chiacchierata piacevole tra un cucchiaio e l'altro

Nessun dubbio quindi. Per Giuseppe il paziente viene prima di tutto. Essere professionali, diligenti e sensibili è ciò che conta, per dare l'adeguato decoro ad una divisa troppo spesso bistrattata.

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