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Emorragia post partum, l'assistenza alla puerpera

di Margherita Antonelli

Le conseguenze dell’emorragia post partum - oltre a quelle prettamente cliniche dell'emergenza - riguardano la dieta della puerpera, che dovrà correggere l'anemia, l'allattamento al seno, poiché lattazione e montata lattea possono avvenire in tempi più lunghi rispetto al normale e il vissuto emotivo, che cambia da donna a donna, ma è comunque molto impattante sulla neomamma.

La dieta della puerpera dopo un’emorragia post-partum

L’assunzione di ferro comporta alcuni disturbi come mal di stomaco o stipsi. In questi casi si consiglia di dividere la somministrazione in più parti della giornata e assumere la dose a 1 h dai pasti, magari prima di andare a dormire.

La dieta di una donna anemica dovrebbe prevedere l’assunzione di carne rossa o cibi ad alto contenuto di ferro, integrando alimenti che contengono vitamina C che ne aumentano l’assorbimento.

Da ridurre o evitare i cibi ricchi di tannini, come caffè o tè e i prodotti caseari (il calcio di derivazione casearia potrebbe interferire con l’assorbimento del ferro).

L’ideale è l’interazione con i dietisti ospedalieri per studiare dei piani alimentari da proporre alle pazienti anemiche e in allattamento durante la degenza e da consigliare a casa. È opportuno consigliare un buon stato di idratazione (almeno 1,5 l di acqua al giorno) da aumentare dopo l’insorgenza della montata lattea.

Emorragia post partum e allattamento

Superata l'emergenza dell'emorragia post partum è importante riunire madre e bambino non appena possibile

Da uno studio di coorte multicentrico pubblicato da Thompson et al. nel 2010 si evince che il tasso di allattamento al seno esclusivo nelle donne che hanno subito un’emorragia post partum maggiore è significativamente ridotto e diminuisce ulteriormente nelle donne con emorragie più gravi (>3000cc)

Le cause principali del fenomeno sono state individuate nella difficoltà di avviare e sostenere un allattamento precoce, nella carenza di supporto, nelle sequele emotive.

Alcune di queste cause sono attribuibili a necessità assistenziali: la separazione dal bambino durante le manovre d’emergenza per trattare l’emorragia o per eventuali cure rianimatorie neonatali spesso posticipano il contatto skin to skin e l’attaccamento precoce al seno ben oltre l’ora raccomandata.

Ma è importante segnalare il miglioramento nel successo dell’allattamento se la prima suzione avviene entro due ore dalla nascita, un tempo più ragionevole e fattibile se le condizioni cliniche di madre e bambino lo consentono.

È importante riunire madre e bambino non appena possibile, promuovendo l’allattamento al seno spiegando che non comporta nessun peggioramento delle condizioni cliniche materne.

Evitare di separare madre e bambino durante la degenza, cercare strategie assistenziali per aiutare la mamma nella gestione del neonato (stanze più comode, con il bagno in camera, possibilità di far stare una persona di fiducia oltre l’orario consentito, culle side-to-bed).

Gli operatori che si occupano dell’allattamento devono supportare con attenzione queste donne, nelle quali lattazione e montata lattea possono avvenire in tempi più lunghi rispetto al normale: l’ipotensione nelle emorragie post partum maggiori può danneggiare transitoriamente l’ipofisi, inficiando la normale cascata ormonale del secondo stadio della lattogenesi, causando cioè un ritardo nel rilascio della prolattina.

Quello che una donna può vivere come un fallimento o un’incapacità è in realtà solo un ritardo causato dall’emorragia, temporaneo e correggibile.

La sindrome di Sheehan e le ischemie/necrosi pituitarie si manifestano inizialmente con ipoprolattinemia e scarsa lattazione. Inoltre la stanchezza e i sintomi correlabili alle complicanze dell’epp rendono la mamma meno “performante” e più soggetta a stanchezza e frustrazione.

L’astenia si prolunga anche dopo la degenza, spesso fino a 6 settimane dal parto, per cui nelle donne che hanno vissuto un’emorragia maggiore soprattutto con bruschi cali dell’emoglobina si dovrebbe pianificare un’assistenza domiciliare per il sostegno dell’allattamento ove previsto e indagare sulla presenza di un sostegno familiare a domicilio.

In altri studi è dimostrato che nei centri più virtuosi nel sostegno dell’allattamento, il tasso del passaggio all’alimentazione mista o artificiale è ridotto; questo significa che l’impegno dei professionisti può fare la differenza.

Alcune donne dopo l’evento acuto emorragico vengono trasferite in terapia intensiva, dove ovviamente non è possibile il rooming-in. In Italia ci sono realtà nelle quali viene offerta la possibilità di stimolare il seno con un tiralatte portatile, con il sostegno e l’aiuto di ostetriche o personale formato, ottenendo dei buoni risultati sia nella lattazione che come percezione di qualità delle cure nella donna.

Si tratta di un intervento poco costoso, di facile attuazione e permette alla donna di mantenere il suo status di neomamma in un ambiente estraniante come la terapia intensiva.

Il vissuto emotivo di un’emorragia post partum

Il problema delle sequele psicologiche in una donna che ha vissuto un’emorragia post partum non ha un vasto riscontro in letteratura; i lavori maggiori sono revisioni sistematiche che prendono in considerazione sia i danni fisici che quelli emotivi.

Dai risultati non si registra un maggior tasso di depressione post partum, ma rispetto ai gruppi di controllo si parla di un’incidenza significativa (circa il 5%) di Sindrome da stress post traumatico.

Tali segnali si riscontrano anche nei partner o i familiari presenti al parto, soprattutto quando sono stati allontanati dalla sala parto durante le manovre di assistenza.

Tutti gli studi presi in considerazione specificano la necessità di approfondire l’argomento. Lo stato emotivo non è “conteggiabile” ed è influenzato da elementi soggettivi ed intrinseci a persona a persona.

Ciò che possiamo fare è dedurre delle conclusioni: l’epp è un evento di per sé traumatico per le caratteristiche emergenziali e per l’aggressività di intervento necessaria, inoltre la debilitazione fisica che ne consegue pone la donna in uno stato psicologico penalizzato rispetto ad una mamma clinicamente compensata.

Dagli interessanti report di “Listetning to mothers” - un movimento promosso dalla Chilbirth accordation in cui si raccolgono le opinioni e i pareri delle donne americane rispetto al percorso nascita vissuto - emerge che una delle situazioni vissute peggio dalle neo mamme è la separazione dal bambino, sia alla nascita che durante la degenza e la scarsità di informazioni ricevute durante la gravidanza e il parto.

Traslando queste informazioni nel contesto di un’emorragia post partum non possiamo che aspettarci un vissuto frustrante e poco positivo. La necessità di avere più informazioni e la sensazione di non essere coinvolte o rispettate è ricorrente negli studi che hanno indagato il vissuto emotivo delle donne che hanno subito un’epp e anche nei loro partner.

Ovviamente durante la gestione dell’emergenza non si hanno i tempi per spiegare ogni passaggio o raccogliere consensi informati - e solo in una situazione ideale un operatore può dedicarsi all’informazione alla coppia di ogni intervento durante un’emorragia - ma il solo essere a conoscenza di quanto sia importante per loro la comunicazione durante quei momenti può farci riflettere o modificare per quanto possibile il nostro atteggiamento.

Una soluzione potrebbe essere un debriefing dell’équipe, o di almeno un operatore coinvolto, con la coppia per spiegare e rielaborare l’accaduto.

Se le donne vengono trasferite in unità intensive non si dovrebbe perdere la continuità assitenziale ostetrica visitando la paziente, valutando il post partum e consigliandola sull’allattamento.

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