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editoriale

Professione infermieristica, nuovi percorsi di sviluppo di carriera

di Felice Marra

Carriera Infermieristica

La necessità di costruire nuovi percorsi di carriera per le professioni sanitarie con un nuovo percorso contrattuale, prevedendo una linea che parta dalla base e possa raggiungere il livello specialistico professionale.

Oggi si pone la necessità di costruire nuovi percorsi di carriera per le professioni sanitarie, soprattutto quelle appartenenti all’area del personale del comparto che sono soggetti a blocchi totali non solo dal punto di vista degli adeguamenti contrattuali ma anche su quelli di progressione di carriera.

Partendo da una considerazione tecnica-contrattuale: le categorie professionali, costituite con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 7 aprile 1999 e basate sull’ordinamento professionale delle categorie A, B, BS, C, D, DS, sono ormai anacronistiche e hanno esaurito i loro effetti: si pensi al fatto che tutto il personale infermieristico è già nelle categorie D e DS e non esistendo ulteriori categorie contrattuali dove dovrebbe progredire? Tale fenomeno, unito al fatto che sono state abrogate, peraltro, le progressioni verticali interne ad una Azienda Sanitaria, per effetto della sbagliata concezione delle riforma Brunetta (decreto legislativo n. 150/2009) per cui si deve passare solo attraverso il concorso pubblico - anche per le progressioni interne del personale già in servizio e alla faccia dei principi meritocratici tanto conclamati - ha di fatto generato l’unico sbocco possibile per il personale infermieristico: quale le funzioni di coordinamento o l’incarico di posizione organizzativa, che sono di natura incarichi organizzativi e di management e poco hanno a che fare con le funzioni di linea ordinaria e specialistica. Tale situazione, a mio avviso, ha anche comportato un ulteriore fenomeno di non poco impatto, perché per ogni incarico per funzioni di coordinamento si toglieva una risorsa di linea produttiva.

È necessario a questo punto ricordare che la Legge 1° febbraio 2006 n. 43 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione” prevede all’articolo 6 una articolazione delle professioni sanitarie come di seguito riportato:

  1. Professionisti ordinari: in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente all’attivazione dei corsi di laurea o di diploma a esso equipollente ai sensi dell’articolo 4 della Legge 26 febbraio 1992 n. 42;
  2. Professionisti coordinatori: in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dalle Università;
  3. Professionisti specialisti: in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rilasciato dalle Università;
  4. Professionisti dirigenti; in possesso della Laurea specialistica di cui al decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica del 2 aprile 2001, e che abbiano esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 7 della Legge 10 agosto n. 251/2000;


Di questa Legge, ricordiamolo, non è stata applicata proprio la linea di sbocco professionale e cioè la previsione di cui alla lettera C) che prevedeva, appunto, i professionisti specialisti come figure a cui è possibile trasferire alcune competenze anche mediche, in relazione alla evoluzione delle necessità di risposta dei servizi assistenziali, soprattutto nei contesti di emergenza.

senato

senato

Il recente comma 566 della Legge di stabilità, a nostro avviso, va dunque in questa direzione, ribadendo che ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici, sono ridefiniti i ruoli, le competenze e le relazioni professionali delle professioni sanitarie. A ciò si aggiunge quanto previsto dal Patto per la Salute 2014/2016 quando prevede che per un efficientamento del settore delle cure primarie, si conviene che è importante una ridefinizione dei ruoli, delle competenze e delle relazioni professionali con una visione che assegna a ogni professionista responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi, abbandonando una logica gerarchica per perseguire una logica di governance responsabile dei professionisti coinvolti prevedendo sia azioni normativo/contrattuali che percorsi formativi a sostegno di tale obiettivo.

Vista la situazione, iniziamo a fare due considerazioni   -   Il fenomeno cui stiamo assistendo con sempre meno risorse economiche da destinare alla sanità pubblica e sempre maggiore domanda per effetto del progressivo invecchiamento della popolazione italiana, ci spinge a trovare altri modelli e soluzioni e, soprattutto, a non dover più ragionare secondo gli schemi classici di ripartizione netta tra le competenze . Il contesto attuale ci spinge, per il vero, a dover ridisegnare le funzioni e ottimizzare le risorse umane per rispondere alle sfide che ci attendono. Si attende (e già la avvertiamo) una grande pressione sulla sanità pubblica per effetto di una domanda molto più complessa e la tenuta del sistema dipenderà dalla nostra capacità di lavorare concretamente sul versante delle risorse umane, creando valore, motivazione, entusiasmo. Non possiamo più permetterci di ragionare con visioni miopi e settoriali del tipo “questo non si tocca” ma dobbiamo integrare le forze e le risorse.

See and Treat

See and Treat

Ho visitato, un giorno, un ospedale londinese, e ho avuto modo di prendere conoscenza diretta del modello “See and Treat”. Entrando nella grande sala d’attesa, sono rimasto impressionato dal numero di persone che attendevano. Eppure il flusso era costante e nel giro di un’ora, poco più, le persone venivano visitate. Ho potuto notare, a livello logistico-strutturale, che dietro la grande sala di attesa vi era un primo corridoio semi-circolare dove erano posizionati numerosi studi con all’interno una sola unità infermieristica. Alle spalle di questo primo corridoio ne esisteva un altro più ridotto dove invece erano posizionati gli studi dei medici per i casi più complessi e più gravi.

È evidente che le professioni sanitarie infermieristiche, con questo modello, passano da un apporto collaborativo a una fase operativa autonoma, duplicando in tal modo le potenzialità dei punti di prestazione, così da incrementare la capacità di risposta e migliorare il flusso dei cittadini che si recano al pronto soccorso. Ricordiamoci, a tale proposito, che sono le patologie meno gravi i casi più frequenti di accesso che provocano affollamento nei pronto soccorso.

Non possiamo, pertanto, più ragionare insistendo sulle tradizioni professionali, quando la società è già cambiata e nuovi bisogni sono emersi. La questione relazionale medico-infermiere si risolve con un confronto aperto e trasparente, con il riconoscimento reciproco e la costruzione integrata e flessibile di nuovi perimetri professionali. Qui non è in gioco la difesa estenuante di una classe professionale, qui è in gioco la tenuta del sistema sanitario pubblico di fronte alle nuove sfide che sono già presenti.

Ulteriore considerazione importante è che alle norme di legge deve assolutamente accompagnarsi un nuovo percorso contrattuale sulle carriere, prevedendo una linea professionale che parta dalla base e possa raggiungere il livello specialistico professionale. Con ciò voglio dire che le categorie D e DS non sono più idonee e che sopprimere la possibilità delle progressioni verticali interne da parte di una azienda sanitarie è stato un errore grossolano, perché mina proprio la meritocrazia e la produttività. Il passaggio saliente, dunque, è riuscire a far ripartire una nuova tornata contrattuale collettiva nazionale di lavoro che ridisegni i percorsi di carriere delle professioni sanitarie, individuando ruoli, funzioni, responsabilità e prevedendo linee di carriere più ampie cui corrispondono diversi livelli economici in relazione al grado di complessità della funzione professionale.

Editorialista

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