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Rischio clinico e seconde vittime in sanità

di Mauro Salvato

In Sanità in caso di errore la prima vittima resta comunque il paziente che ha subito il danno, il quale ha l’assoluta priorità assistenziale per l’organizzazione sanitaria. La seconda vittima è stata definita come un operatore sanitario che è stato coinvolto in un evento imprevisto e negativo per il paziente, che diviene vittima in quanto traumatizzato dal proprio errore e/o dalle lesioni causate al paziente. Il termine "seconda vittima" è stato coniato nel 2000 dal Dr. Albert Wu, professore di politica e gestione della salute presso la Johns Hopkins School of Public Health. Le seconde vittime si sentono personalmente responsabili per i danni ai pazienti e sentono di avere fallito, giudicando negativamente le proprie competenze.

Errore in Sanità

Ogni giorno, in media, prendiamo 35.000 decisioni ed è ormai ampiamente risaputo che l’errore è una componente inevitabile della realtà umana. L’errore in Sanità si pone come argomento di rilevante severità che interessa vari settori della sanità e ha un forte impatto sociale.

Il rischio clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi “danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte” (Kohn, IOM 1999).

Nell’ambito delle varie teorie che sono state sviluppate per lo studio dell’errore in medicina, quella dell’errore umano suggerisce una classificazione del comportamento dell’uomo in tre diverse tipologie (Rasmussen, 1987):

  1. Skill-based behaviour: sono comportamenti automatici ad una data situazione. Alla persona si propone uno stimolo cui reagisce meccanicamente senza porsi problemi d’interpretazione della situazione stessa. Tale abilità si sviluppa dopo che lo stimolo si è ripetuto per più volte, sempre allo stesso modo. È un tipo di comportamento riscontrabile in situazioni di routine
  2. Ruled-based behaviour: si mettono in atto dei comportamenti stabiliti da regole ben definite (ritenute più idonee da applicare in una particolare circostanza). Il problema che si pone alla persona è di identificare la giusta norma per ogni specifica situazione attenendosi ad un modello mentale di tipo causale
  3. Knowledge-based behaviour: si tratta di comportamenti messi in atto quando ci si trova davanti ad una situazione sconosciuta e si deve attuare un piano per superarla. È la situazione che richiede il maggior impiego di conoscenza e l’attivazione di una serie di processi mentali per riuscire ad elaborare un piano col fine di raggiungere gli obiettivi.

I tre tipi di comportamento si acquisiscono in sequenza: non esistono comportamenti skill-based innati, ma questi derivano dalla pratica in situazioni che all’inizio richiedevano impiego della conoscenza e capacità di risolvere problemi. Quindi, ogni comportamento basato sulla pratica è stato, prima di diventare automatico, di tipo ruled-based e prima ancora knowledge-based.

Cause di errore in sanità

L’errore può nascere ad ogni livello di comportamento, ma diverse sono le cause:

  • Interpretazione errata dello stimolo a livello skill-based
  • Scelta di una norma non adeguata per i comportamenti ruled-based
  • Pianificazione di una strategia non adatta a raggiungere gli obiettivi specifici della situazione a livello knowledge-based.

Tipologie di errore in sanità

Sulla base del modello proposto da Rasmussen, James Reason distingue tre diverse tipologie d’errore (Reason, 1990):

  1. Errori d’esecuzione che si verificano a livello d’abilità (slips). In questo gruppo vengono classificate tutte quelle azioni che vengono attuate in modo diverso da come pianificato, cioè il soggetto conosce come dovrebbe eseguire un compito, ma non lo fa, oppure inavvertitamente lo esegue in maniera non corretta.
  2. Errori d’esecuzione provocati da un fallimento della memoria (lapses). In questo caso l’azione ha un risultato diverso da quello atteso a causa di un fallimento della memoria. A differenza degli slips, i lapses non sono direttamente osservabili.
  3. Errori non commessi durante l’esecuzione pratica dell’azione (mistakes). Si tratta d’errori pregressi che si sviluppano durante i processi di pianificazione di strategie: l’obiettivo non viene raggiunto perché le tattiche ed i mezzi attuati per raggiungerlo non lo permettono.

Possono essere di due tipi:

  • Ruled-based: si è scelto di applicare una regola o una procedura, che non permette il conseguimento di quel determinato obiettivo
  • Knowledge-based: sono errori che riguardano la conoscenza, a volte troppo scarsa, che porta ad ideare percorsi d’azione che non permettono di raggiungere l’obiettivo prefissato. In questo caso è il piano stesso ad essere sbagliato, nonostante le azioni compiute siano eseguite in modo corretto.

Chi sono le seconde vittime in sanità

Reason, però, si spinge anche al di là della teoria dell’errore umano abbracciando quello che possiamo definire approccio sistemico allo studio degli errori, la teoria degli errori latenti (Reason, 2000, 2001).

Il presupposto di base in questo approccio, che si è sviluppato dopo i primi anni ’70, risiede nella convinzione che gli incidenti siano solo la punta dell’iceberg, che per un incidente che ha avuto luogo ce ne siano stati molti altri che non sono avvenuti solo perché l’operatore, un controllo, ha impedito che accadesse, i cosiddetti near miss events (Nashef, 2003). Da questa visione sistemica, nasce l’idea che il verificarsi di un incidente sia frutto di una concatenazione d’eventi che hanno superato tutte le difese che erano state messe in atto.

In questo contesto si inserisce il punto di vista dell’operatore sanitario responsabile dell’errore in medicina che viene denominata “seconda vittima”; la prima vittima resta comunque il paziente che ha subito il danno, il quale ha l’assoluta priorità assistenziale per l’organizzazione sanitaria.

La seconda vittima è stata definita come un operatore sanitario che è stato coinvolto in un evento imprevisto e negativo per il paziente, che diviene vittima in quanto traumatizzato dal proprio errore e/o dalle lesioni causate al paziente.

Le seconde vittime si sentono personalmente responsabili per i danni ai pazienti e sentono di avere fallito, giudicando negativamente le proprie competenze. Il termine "seconda vittima" è stato coniato nel 2000 dal Dr. Albert Wu, professore di politica e gestione della salute presso la Johns Hopkins School of Public Health.

La prevalenza delle seconde vittime è stimata, in diversi studi, dal 10% al 40% circa mentre la probabilità di diventare seconda vittima è pari al 70% circa.

Le seconde vittime riportano una serie di sintomi comuni, simili a quelli che caratterizzano il disturbo post traumatico da stress. I sintomi comportano:

  • insonnia
  • riduzione della soddisfazione sul lavoro
  • senso di colpa
  • ansia (inclusa la paura di litigi sul luogo di lavoro o la perdita del posto di lavoro). Per alcuni i ricordi ricorrenti dell'evento contribuiscono al burnout, alla depressione e all'ideazione suicidaria.

È stata dimostrata l’importanza del supporto psicologico che influisce non solo sulle percezioni dei singoli operatori sanitari, ma anche su quella degli altri professionisti dell’équipe di lavoro.

Seconde vittime: fasi di risposta all’evento

Fase 1 L’operatore riconosce l’errore, chiede aiuto e cerca di stabilizzare il paziente. Talvolta l’operatore non è in grado di continuare nell’assistenza al paziente e appare distratto. Le domande ricorrenti sono: perché è successo? Com’è successo?
Fase 2 Compaiono le riflessioni intrusive in cui l’operatore tende ad isolarsi, a dubitare di sé stesso e rivaluta più volte la situazione chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse agito diversamente.
Le domande ricorrenti sono: avrei potuto impedirlo? Cosa mi sono perso?
Fase 3 L’operatore cerca sostegno in altre persone, in genere colleghi o il diretto superiore; in questa fase il pettegolezzo e la cultura organizzativa sono cruciali per l’evolvere della situazione, infatti la seconda vittima teme di perdere la fiducia dei propri colleghi, soprattutto se i colleghi non si mostrano solidali sin da subito. Le domande ricorrenti sono: cosa penseranno gli altri? Riuscirò ad ottenere di nuovo la loro fiducia? Come supererò il problema? Il paziente o i parenti riusciranno a capire? Come mai non riesco a concentrarmi?
Fase 4 La seconda vittima inizia a prendere coscienza di quanto accaduto e pensa alle ripercussioni che la vicenda avrà sia a livello di sicurezza nel suo operato futuro sia a livello legale. Cerca di interagire con i colleghi e superiori, si chiede cosa e come dire sia ai parenti del paziente sia ai propri parenti. In questa fase si riflette sul livello di gravità che ha l’evento. Le domande ricorrenti sono: cosa succederà? Potrò ancora lavorare? Con chi posso parlare? Cosa dirò? In che modo potrò difendermi?
Fase 5 La seconda vittima cerca un supporto emotivo più consistente, ma non sa bene a chi e come chiedere; non sa se c’è la possibilità di rivolgersi ad un esperto (psicologo o altro), comunque il supporto fornito è spesso di breve durata e inefficace. Le domande ricorrenti sono: a chi posso chiedere aiuto? Di cosa ho bisogno davvero? C’è qualcosa di sbagliato in me o è normale che io reagisca così? Perché non riesco a comportarmi diversamente?
Fase 6 Si evidenziano 3 ipotesi di reazione finale all’evento:
  1. Abbandonare, quindi cambiare lavoro o posto di lavoro (le domande frequenti sono: posso gestire questo lavoro? È questa la professione giusta per me?)
  2. Sopravvivere, lasciandosi l’accaduto alle spalle, senza però dimenticarlo e superarlo del tutto (le domande frequenti sono: perché sto ancora male per l’accaduto? Posso ancora superare quello che è accaduto o mi ha segnato per sempre? Come avrei potuto evitare che ciò accadesse?)
  3. Andare avanti/crescere, lasciandosi l’evento alle spalle e imparando da questo (le domande frequenti sono: come posso migliorare la sicurezza dei pazienti? Cosa ho imparato dall’accaduto? Cosa posso fare per migliorare?)
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