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COVID-19

Gestione territoriale e misure di contenimento del contagio

di Redazione

Le misure di gestione dei pazienti al loro domicilio e le strategie adottate al contenimento del contagio da COVID-19 derivano tutte dalle istruzioni impartite dall’Istituto Superiore di Sanità, alle quali sono state (ove possibile) affiancati i protocolli aziendali già in essere. Tuttavia, seguendo il contagio una crescita di tipo esponenziale, la velocità dei cambiamenti era tale da giustificare un adattamento al contesto e una condivisione continua di tali misure. Il progetto in questione è applicato nel contesto lavorativo dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) Fano-Mondolfo (provincia di Pesaro-Urbino). Il territorio si estende dall’ingresso Sud del ponte del fiume Metauro all’ingresso Nord del ponte del fiume Cesano; internamente, si estende sino ai comuni di Monte Porzio, Mondolfo e Cerasa di San Costanzo (provincia dichiarata zona Rossa sabato 7 marzo). La gestione è affidata a 6 infermieri (4 donne e 2 uomini) di cui uno impegnato nel contestuale prelievo di tamponi, non gestito dal servizio ADI.

Gestione domiciliare di un paziente Covid, l'esperienza ADI Fano-Mondolfo

Sono stati monitorati costantemente i dati pubblicati su ISS, sono state condivise le procedure di protezione, sono state assimilate le misure restrittive messe in atto dal governo centrale; non meno importante è stato il confronto con altre comunità infermieristiche i cui professionisti, portando la propria esperienza ospedaliera, hanno fatto in modo che potessimo fare previsioni su cosa sarebbe successo presto sul territorio.

Dal 5 al 13 marzo avevamo dislocati sul territorio 18 pazienti con tampone positivo 2 dei quali successivamente ricoverati e deceduti in ospedale. La direzione distrettuale ci informa costantemente sui casi diagnosticati.

Primo paziente Covid+ da gestire a domicilio

13 marzo, primo paziente Covid+ da gestire al domicilio; vengo chiamato dal coordinatore la mattina per effettuare accesso nel pomeriggio. Mi viene illustrato il caso: uomo, 64 aa ospedalizzato una settimana prima per polmonite interstiziale poi dimesso per miglioramento delle condizioni, presenta ferita chirurgica perianale da medicare.

Organizzo il giro dei pazienti in modo che il paziente positivo rimanga l’ultimo da visitare per quella giornata, ripasso le procedure di vestizione/svestizione insieme al mio coordinatore; anche se adotto il protocollo aziendale previsto, noto che differisce non di poco da quello dell’azienda Ospedali Riuniti Ancona, la cosa non mi lascia poi così perplesso poiché penso che la velocità di propagazione degli eventi abbia investito anche chi è incaricato della emanazione dei protocolli, dunque giustifico questa difformità di intervento con l’urgenza/emergenza di avere strumenti.

Trovo sul web un tutorial praticamente identico alle nostre procedure: poter rivedere la sequenza poco prima di effettuare l’accesso è stato molto utile, tutto questo sempre grazie al confronto con la comunità dei miei compagni di corso. Prima dell’accesso chiamo telefonicamente il paziente, reperisco informazioni su dove si trovi la casa e cerco di capire come sono organizzati gli spazi (il tema delle architetture è centrale nella gestione domiciliare).

Chiedo poi quali siano i sintomi in corso: il paziente mi riferisce febbricola 37.2, non tosse, non dolori articolari, non dispnea. Stessi sintomi denuncia la convivente risultata anch’essa positiva al tampone.

Informo sull’ora del mio arrivo e dò disposizione di areare la stanza renderla luminosa e indossare le mascherine chirurgiche prima del mio ingresso. Predispongo tutto il materiale in una scatola organizzato in modo da utilizzarlo in base alla sequenza che ho in mente di adottare, predispongo l’auto nella quale dovrò trasportare anche bidone contenente rifiuti biologici.

La casa è ampia, ottimo il livello di igiene, ottima l’illuminazione e il ricircolo d’aria, effettuo accesso, mi presento e cerco di abbattere (umanamente) la barriera dei DPI che si frappone tra me e l’assistito.

Valuto la ferita, effettuo la medicazione e dispongo altro accesso al lunedì successivo, esco di casa mi svesto e smaltisco i DPI nei bidoni che avevo precedentemente preparato fuori dalla porta; spogliandomi di certo commetto qualche errore dovuto alla ancora poca dimestichezza con la procedura.

Un aspetto che fino a quel momento non avevo considerato è stato che sul territorio, oltre alla questione architettonica degli spazi, la vestizione/svestizione è effettuata in totale autonomia dall’operatore, quindi viene meno l’aspetto di mutuo aiuto psicologico degli operatori che si affiancano in ospedale; per tale motivo è stato ancora una volta fondamentale il confronto con i compagni.

Misure successive

Il giorno successivo condivido l’esperienza con i colleghi e disponiamo immediatamente misure che possano aiutarci. Il nostro ufficio è situato in un piano in cui attualmente gli altri servizi non operano, per cui trasformiamo il bagno/spogliatoio in una sorta di zona filtro in cui è possibile effettuare la sanificazione dei DPI riutilizzabili e custodire sottochiave i restanti preziosi presidi. Condividiamo insieme al gruppo di tracciare i consumi dei DPI in modo da ottimizzare l’approvvigionamento sperando di non rimanerne mai sprovvisti.

Gli accessi ai domicili sono stati notevolmente diminuiti; per esempio i controlli settimanali sui valori di INR laddove il trend era stabile ormai da un mese sono stati scalati ad una frequenza bisettimanale in accodo con i MMG, molti pazienti hanno chiamato spontaneamente per interrompere o ridurre i controlli di emocromo.

Gli accessi per medicazioni sono stati ridotti laddove era presente un caregiver compliante su cui fare riferimento. Le collaboratrici domestiche giocano anche in questa situazione, un ruolo centrale nel mantenimento del welfare del paese. La popolazione ha risposto molto bene alle misure adottate e si è dimostrata solidale e comprensiva se informata adeguatamente senza creare paura o timore.

Ci siamo riuniti mantenendo le distanze di sicurezza e indossando le mascherine chirurgiche per ripassare insieme le procedure di vestizione/svestizione, in questo caso il collega più esperto ha condotto l’incontro.

Abbiamo ripassato insieme i protocolli per la disinfezione degli strumenti di lavoro e abbiamo approntato soluzioni ragionate sulla gestione delle automobili e la loro sanificazione dopo gli accessi.

La collaborazione da parte di tutti è stata totale, anche se non sono mancati momenti di tensione e duro confronto, soprattutto derivanti dalla difficoltà di approvvigionamento dei DPI; anche in questo caso la popolazione locale si è adoperata per dare un contributo in tal senso, ad ogni modo ad oggi abbiamo sempre effettuato accessi in sicurezza.

Aspetti da migliorare

Le dimissioni ospedaliere devono essere assolutamente meglio gestite; abbiamo bisogno di essere informati preventivamente sulle diagnosi dei pazienti che sono stati ospedalizzati, non in una sola occasione ci siamo trovati ad effettuare accessi su pazienti dimessi per polmonite sintomatici, ma ai quali non è stato effettuato tampone e quindi non diagnosticati come positivi.

Anche se da ora chiamiamo sempre telefonicamente per sincerarci delle condizioni prima del nostro accesso, sarebbe auspicabile che venissimo avvertiti sempre anche dai famigliari di ogni eventuale cambiamento.

La collaborazione con i MMG risulta non sempre trasparente, in quanto ci giungono impegnative di pazienti a cui somministrare terapie reidratanti, senza che questi vengano prima visitati. In un altro caso è pervenuta una impegnativa per iniezioni intramuscolari di voltaren e muscoril per una lombosciatalgia; in tutti e due i casi ho chiamato i medici prescriventi, che credo difficilmente ripeteranno questa condotta.

Sta crescendo il numero dei pazienti oncologici da gestire, perché tali pazienti vengono allontanati quanto più possibile dagli ospedali; di norma la gestione domiciliare è affidata ad una associazione competente con la quale siamo costantemente in contatto composta da medici, psicologi, infermieri e oss preparati in materia.

Anche questa associazione, però, dati gli ultimi numeri sta facendo fatica ad assorbire tutte queste persone, pertanto ci troviamo a dover tamponare la situazione non avendo però gli strumenti professionali più idonei per farlo; da qui, la necessità di più formazione in tal senso.

I pazienti positivi asintomatici sono un problema e dal momento che noi stessi operatori finché asintomatici, non abbiamo disposizione ad effettuare tampone, pur adottando ogni misura di sicurezza per noi e per i pazienti, potremmo essere noi stessi a veicolare il virus, distruggendo il prezioso lavoro di isolamento che la popolazione porta avanti scrupolosamente. Da questa consapevolezza nasce un fastidioso dubbio etico col quale per il momento dobbiamo convivere.

  • Tommaso Rondina - Infermiere ADI Fano-Mondolfo

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