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COVID-19

La vita tra le mani degli invisibili

di Michele Antonacci

In questa emergenza è come se le ostetriche non fossero mai scese sul campo di battaglia. Come se le ore passate fianco a fianco alle gravide durante le ore di travaglio o il parto o negli stessi reparti, non fossero sufficienti a potersi disgraziatamente infettare. Si elogiano i professionisti sanitari, ma quella dell'ostetrica sembra una professione figlia di un dio minore quando si tratta, ad esempio, di bonus baby-sitter o di fondi di solidarietà. Loro, ostetriche ed ostetrici, sono sempre accanto alle donne, supportandole professionalmente ed emotivamente, in questo momento storico che le strappa dai loro affetti più intimi. Eppure, in questa guerra che ci è caduta addosso senza un motivo, nessuno tristemente ci ha notati e la domanda è semplice, come la vita che ci si ritrova tra le mani sporche di sangue tutti i giorni: perché?

Covid-19, è come se le ostetriche non fossero mai scese in battaglia

Oggi mi sento energico e come ogni giorno vado a lavoro. 60 Km circa, ma con la radio a tutto volume il tempo vola veloce. Arrivato. Checkpoint all’ingresso e temperatura corporea ok.

Indosso la mia nuova mascherina chirurgica, quella “altruista” dicono, perché protegge gli altri e non te stesso, ma tutti i colleghi in reparto la indossano e quindi ci si sente più tranquilli, insomma… quella è in dotazione.

Divisa, consegne e via: sala travaglio e mi presento alla signora. Lei incrocia i miei occhi supplicandomi di poter togliere la sua mascherina; ormai sfinita, non la sopporta più. Io la guardo e lei forse intuisce il mio timido sorriso e l’abbassa, chiedendomi scusa ed io penso ai miei figli che sono a casa ad aspettarmi e spero non sia infetta.

Sala parto: tutti pronti. Solite facce, soliti movimenti, marito assente per le restrizioni sociali. D’istinto guardo fuori dalla finestra sperando che giù, dal parcheggio, riesca almeno a percepire che il suo primo figlio sta per vedere la luce.

Tristezza rotta solo dal pianto del pargolo adagiato sulla pancia della sua mamma. Tutto è andato bene (o almeno spero), ripenso ai miei figli e prego che il malvagio virus non sia in quella donna in forma asintomatica. Squillo del telefono, è il Pronto soccorso che richiede una consulenza nella zona COVID per una gravida con dolori addominali.

Paura! Forse il “maledetto” lo si incontra davvero oggi

Giù per le scale verso il Pronto soccorso. I colleghi infermieri ci aiutano ad indossare il camice lungo, copri scarpe, guanti, occhiali e mascherina con filtro ed io penso che adesso si fa sul serio. Una stretta al petto mi spezza il fiato assieme alla mascherina che preme con forza sul viso. Mi chiedo quanto resisterò sotto questa armatura di carta e plastica.

Fianco a fianco con gli infermieri si conclude il tutto ed io mi sorprendo di essere resistito più di un’ora in quello stato. Era la mia prima volta. La prima di fronte al virus. Con il tempo ci si cerca di far l’abitudine e tutto viene più scorrevole e automatico. La paura rimane, la si sente e la si controlla meglio.

Dopo qualche giorno in tv si parla di noi, noi operatori sanitari, insomma noi tutti, penso. Tristemente capisco che non è così. La figura dell’ostetrica - o più correttamente degli “ostetrici” visto che ormai siamo parecchi noi maschi a farne parte - è come se non esistesse, invisibile come questo maledetto virus.

Penso che, forse, per una questione di sintesi si faccia riferimento solo agli infermieri quando si enunciano parole di elogio o quando si elargiscono bonus baby-sitter per garantire la sorveglianza dei figli dopo l’obbligo della chiusura delle scuole nel decreto Cura Italia. Devo capire.

Infiniti articoli in rete, ma nulla: gli invisibili rimangono tali. Anche la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Ostetrica si accorge di tale mancanza chiedendo la rettifica del decreto.

È come se le ostetriche non fossero mai scese sul campo di battaglia. Come se le ore passate fianco a fianco alle gravide durante le ore di travaglio o il parto o negli stessi reparti, non fossero sufficienti a potersi disgraziatamente infettare.

Insomma, ostetriche senza figli da gestire, senza meriti o forse con molti anticorpi specifici già sviluppati contro il COVID. Indiscutibilmente invisibili per tutti. Ma mai per le donne

Continuamente supportate, professionalmente ed emotivamente, in questo momento storico che le strappa dai loro affetti più intimi.

Invisibili tutte quelle colleghe territoriali che con l’hashtag “non vi lasciamo sole” hanno creato community mettendo a disposizione il loro tempo, oltre quello lavorativo, per consulenze telefoniche o corsi di accompagnamento al parto attraverso le tecnologie più moderne.

O ancora, quelle strappate di forza dal territorio per affiancare le colleghe nei reparti di tutto il paese, sfinite da turni massacranti, dando nuova linfa per la riorganizzazione delle ostetricie in vista di possibili picchi di pandemia, con la costituzione di percorsi COVID fortemente dedicati e sicuri.

Ebbene sì: anche da questo la romantica figura dell’Ostetrica viene estromessa rispetto a tutte le altre. Spesso si è sentito dire, con ammirazione: fai il lavoro più bello del mondo. Vero. Ma, spessissimo, questa professionalità non è riconosciuta e solo una grande passione ti tiene a galla.

La domanda è semplice, come la vita che ci si ritrova tra le mani sporche di sangue tutti i giorni: perché? La risposta non la conosco. Forse semplicemente figli e figlie di un Dio minore.

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