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COVID-19

Quando tutto sarà finito non dimenticatevi del nostro sacrificio

di Davide Mori

Marinai alla deriva, medici, infermieri, professionisti della salute, tutti sulla stessa barca, il natante di sempre. Quanti mari abbiamo solcato insieme, mentre fuori tutto si trasforma qui in quest'angolo di mondo il nostro impegno e la nostra abnegazione non hanno subito modifiche. Giriamo con i nomi scritti a pennarello su queste divise che non lasciano scorgere nemmeno il nostro viso, ma siamo sempre noi, ci riconosciamo dal modo di camminare. Adesso la gente si è accorta di noi, ci considera degli eroi, ci elogia e ci ringrazia, eppure siamo sempre noi, gli stessi di sempre. Noi ci siamo e ci saremo sempre, ma per favore: quando tutto sarà finito, non dimenticatevi del nostro sacrificio.

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"Fa caldo sotto questo camice e questi guanti, fa caldo anche in questo fresco fine inverno"

Il sudore scorre copiosamente sul viso; se ci fai attenzione puoi apprezzarne lo scivolio di ogni goccia partire dalla tempia, passare sotto la stanghetta della visiera e conficcarsi lì, sotto la mascherina che indossi.

Fa caldo sotto questo camice e questi guanti, fa caldo anche in questo fresco fine inverno. Come moderni templari indossiamo dei cilici per proteggerci e implorare l'aiuto divino con la penitenza. Fanno male, ma sono l'unica àncora di salvezza, speranza insieme alla ragione che prova a governare la paura, unico mezzo salvifico che a fine turno ti porterà ad abbracciare nuovamente i tuoi cari.

Ti rifugi, lo fai nei tuoi pensieri, nelle tue azioni, assapori il presente, ti dimentichi del passato e del futuro. Senti fluire l'ora e l'adesso, lo vivi. Assisti un fiume di persone terrorizzate, nel frattempo cerchi di non pensare che fuori Roma, come tutto il resto d'Italia, è deserta.

Eppure tutto è rimasto lì, come 20 giorni fa. Il Colosseo, i sanpietrini, l'Ara Pacis, la terrazza del Gianicolo, tutto è rimasto immobile e imperturbabile. Non li hanno scalfiti millenni di intemperie figuriamoci se sarà il SARS-CoV-2 a deturparli.

Nonostante questo, la città non è più la stessa e lo si percepisce facilmente. Per le strade le serrande sono tutte abbassate, quelle poche persone che passano se ne vanno spedite a testa bassa, sospettose di chiunque trovino sul loro cammino. Persino le automobili sono silenziose. Le poche auto che circolano lo fanno velocemente, quasi di nascosto, con un tragitto deciso e senza soste, senza suonare il clacson!

È così spettrale, intimamente lacerante. È bastato un esserino milioni di volte più piccolo di un granello di sabbia per fermare tutto.

Ti chiedi allora se sia più doloroso il fermaglio di metallo della maschera facciale che sta solcando il tuo naso, o quel senso di impotenza che scorgi negli occhi dei tuoi colleghi e che smorza il tuo respiro

Marinai alla deriva, medici, infermieri, professionisti della salute, tutti sulla stessa barca, il natante di sempre. Quanti mari abbiamo solcato insieme, mentre fuori tutto si trasforma qui in quest'angolo di mondo il nostro impegno e la nostra abnegazione non hanno subito modifiche.

Giriamo con i nomi scritti a pennarello su queste divise che non lasciano scorgere nemmeno il nostro viso, ma siamo sempre noi, ci riconosciamo dal modo di camminare. Adesso la gente si è accorta di noi, ci considera degli eroi, ci elogia e ci ringrazia, eppure siamo sempre noi, gli stessi di sempre.

Siamo quelli che fino ad un mese fa accoglievano chiunque nel momento di sconforto e lo sostenevano nel momento del bisogno. Siamo gli stessi aggrediti, insultati e derisi. Gli stessi vessati e denigrati.

Siamo parte di quel sistema silenzioso che vive giorno e notte senza rallentamenti, quelli che escono di casa prima di cena e vi ci tornano la mattina. Quelli che non sanno cosa voglia dire il Natale, la Pasqua o il Ferragosto. Quelli che non conoscono la colazione della domenica mattina. Quelli che si perdono il bacio della buonanotte dei propri figli, quelli che a Capodanno brindano con l'acqua in corsia.

Siamo sempre noi. Sebbene oggi ci troviamo a solcare un mare più infuriato, tagliamo le onde con il vento in poppa. Lo facciamo perché crediamo nel nostro lavoro, crediamo nella nostra gente.

Abbiamo paura? Sì che ne abbiamo. Ma la paura è figlia dell'amore per la vita. La vita di tutti noi, del bimbo che gioca nel parco, della donna che spinge la carrozzina, del carabiniere in strada sotto la pioggia e quella dei nostri amati nonni.

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