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editoriale

Lo stato di salute della nostra sanità

di Fabio Albano

Per poter meglio comprendere, noi infermieri, ma pure noi cittadini, alcune dinamiche relative allo stato di salute della nostra sanità si rende necessario un lungo passo a ritroso, fino al 1978. A quasi 40 anni dalla riforma sanitaria, del 23/12/1978, legge n° 833, qual è lo stato di salute della nostra sanità? E quale percezione ne abbiamo noi infermieri?

La riforma del 1978 e lo stato di salute della nostra sanità

Partiamo dall’inizio: la riforma del 1978 si era resa necessaria per articolare il diritto alla salute a tutti i cittadini. Fino ad allora esistevano le così dette “mutue”, forme di copertura assistenziale definite dall’ambito lavorativo. A Genova una delle casse mutue più importanti era quella relativa ai lavoratori portuali, allora categoria molto importante nell’ambito cittadino e riferimento per la portualità nazionale. Era evidente che più denaro affluiva nelle casse delle varie mutue, maggiore era il loro grado di solvibilità. Diversamente il cittadino che apparteneva a una cassa mutua più povera, vedi gli artigiani, poteva soffrire di un ridotto grado di disponibilità economica. Ancora peggio poteva andare a tutte quelle persone che risultavano disoccupate; tale loro condizione li poneva fuori dalla copertura sanitaria.

Queste erano le condizioni che hanno maturato l’esigenza di rendere pubblico il diritto alla salute. È necessario ricordare che stiamo narrando di un’epoca di grandi lotte sociali, di movimenti ideologici. Un periodo vissuto, nel bene e nel male, sotto il segno dei movimenti di massa, dove l’individualismo veniva compresso a pro della questione sociale.

Venne quindi istituito il Servizio sanitario nazionale. Una conquista voluta dalle forze sociali. Un diritto erga omnes. Tale legge veniva declinata in più articoli, a noi pare sufficiente la recita di parte dei primi due.

L’articolo 1 alla voce “principi” recita:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività. Le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme stabiliti dalla presente legge.

L’articolo 2 alla voce “obiettivi”, tra gli altri, declina:

Il conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo è assicurato mediante:

  1. la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un'adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;
  2. la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro;
  3. la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata;
  4. la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro;
  5. l'igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e avanzi di origine animale per le implicazioni che attengono alla salute dell'uomo, nonché la prevenzione e la difesa sanitaria degli allevamenti animali ed il controllo della loro alimentazione integrata e medicata;
  6. la formazione professionale e permanente nonché l'aggiornamento scientifico culturale del personale del servizio sanitario nazionale.

Il servizio sanitario nazionale nell'ambito delle sue competenze persegue:

  • il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese;
  • la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti ed i servizi necessari;
  • la tutela sanitaria delle attività sportive;
  • la identificazione e la eliminazione delle cause degli inquinamenti dell'atmosfera, delle acque e del suolo.

E qui non andiamo oltre nell’elenco degli articoli, vi è già abbastanza materia di riflessione.

Un’attenta lettura, dei soli primi 2 articoli, ripetiamo, ci fa ben riflettere su quanto solidale fosse quella legge; sanciva un diritto ben preciso che è quello della garanzia delle cure a tutte le persone, di ogni censo e casta, promuovendo in ogni ambito il meglio delle prestazioni da erogare. A oggi questa universalità, sancita ribadiamo dalla legge, si può dire ancora garantita?

Data per acquisita l’importanza di poter scegliere tra strutture pubbliche e strutture private, anche questo un legittimo diritto sancito dalla legge, ciò che non deve essere dismesso è l’universalità del diritto di salute rivolto anche alle persone meno abbienti.

La sanità privata va considerata come un settore parallelo alla sanità pubblica, in quanto alleggerisce il sistema pubblico da una serie di aggravi dei costi che altrimenti renderebbero maggiormente insostenibili gli stessi. Le tempistiche dilatate delle prestazioni del sistema sanitario nazionale fanno il paio, purtroppo sempre più spesso, con lo stato di salute dell’organizzazione sanitaria, ergo: maggiore è la cronicità dello stato di sofferenza dell’Ente pubblico, maggiore è la discrasia nelle prestazioni da erogare. Specie quelle relative alla diagnostica.

Chi ha maggiore disponibilità economica ha il diritto/dovere di rivolgersi a strutture e professionisti a puro carattere privatistico. Ciò che deve essere posto in rilievo è, casomai, l’evidente conflitto di interessi che può scatenare una sanità privata in regime di convenzione. Tale sistema siamo certi non contribuisca all’aumento della spesa pubblica? Il sistema sanitario nazionale regionale viene depauperato del contributo dei professionisti che optano per questo sistema spurio, che garantisce loro introiti economici insostenibili per il nostro Stato e le nostre Regioni. Non solo, l’impoverimento delle strutture pubbliche risulta aggravato dal volano negativo che tale sistema innesca, non solo in termini di professionisti, ma pure di organizzazione.

L’aziendalizzazione delle strutture pubbliche ha condotto a una razionalizzazione verso il basso della qualità delle prestazioni erogate; fatte salve le doverose eccezioni. Ancor peggio se andiamo a valutare quelle piccole aziende private produttrici di salute, o almeno speranzose di farlo. Ebbene è noto che tali strutture, pur essendo convenzionate magari per la sola diagnostica, per poter sopravvivere hanno necessità di sperequare i costi prestazionali. Garantire esami diagnostici ad un prezzo più basso del ticket sanitario può significare risparmiare sui costi del personale o utilizzare macchinari vetusti che ne rendono difficoltosa l’interpretazione. Certo tutto questo l’utente non lo sa, il suo metro di valutazione è solamente quello relativo ai tempi e ai costi.

Risulta quindi evidente che la sanità deve essere divisa in due categorie: pubblica e privata. Altri sistemi, quelli misti, sono proni alla scarsa chiarezza della partita economica e rischiano di indebolire la qualità del servizio all’utente a scapito dell’interesse privato.

L’eccessiva razionalizzazione delle strutture ospedaliere accompagnata dall’indebolimento del territorio ha provocato un vulnus tra le esigenze di salute dei cittadini e quelle delle aziende sanitarie. La gestione delle persone anziane, ad esempio, mal si coniuga con le esigenze di reddito delle famiglie medie italiane, ove quando possibile, entrambi i coniugi sono costretti a lavorare. Pure per poter garantire un minimo di futuro dignitoso ai loro figli. Ne consegue che non potendo nessuno presenziare 24 ore al giorno in casa ci si trovi costretti a rivolgersi a strutture convenzionate ove accompagnare i propri cari non più autosufficienti. Il tutto procura un importante sforzo economico alle famiglie sottraendo loro ulteriori risorse. Ma pure la scelta alternativa di rivolgersi alla figura del badante ha oneri economici insostenibili per quasi tutte le famiglie italiane. In sintesi: si è modificata, per necessità, la convivenza famigliare, ma lo Stato e le Regioni non hanno saputo risultare conseguenziali.

Altra dinamica che va posta in considerazione è quella relativa alle persone affette da patologie croniche, come: diabete o Bpco. Ebbene tali persone hanno necessità di rivolgersi a dei care-givers. Qui si devono affrontare, seppur in maniera rapida, due possibili problemi: il primo riguardante la formazione del care-giver, chi li forma? E chi si fa carico dei relativi costi? Il secondo è quello relativo al territorio. Non si può pensare che chi abita nelle vallate dell’entroterra o comunque decentrato rispetto alla città abbia condizioni di cura ancor più penalizzanti.

È tanta, troppa, la materia di cui si potrebbe trattare in questo articolo, ma è giunto il momento di provare a rispondere alla domanda: il principio di universalità del diritto alla salute si può considerare ancora garantito? Lo stato dell’arte è in condizioni di coma indotto e si regge grazie agli sforzi, mai troppo riconosciuti, di una parte importante dei professionisti del Sistema sanitario nazionale. Ma la vera débâcle è prossima se è vero, come è vero, che la quota di Pil che lo stato italiano intende investire, per la sanità pubblica, sarà sotto la soglia del 6.5%; soglia sotto la quale l’Oms prevede la non garanzia di accesso alle cure e un impoverimento della qualità assistenziale.

Sostanzialmente la fine del diritto sancito dalla legge 833 del 1978.

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