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Editoriale

Il nostro primo social-virus

di Giacomo Sebastiano Canova

Da qualche settimana tutti noi siamo stati travolti da quella che può definirsi la prima vera e propria pandemia “social”, dove chiunque, in qualsiasi posto del pianeta si trovi, può accedere ad aggiornamenti e notizie in tempo reale su quella parola che ormai è nella bocca di tutti: Coronavirus.

Infermieri, aiutiamo la scienza a riemergere

Si sa, l’utente medio dei social network possiede un difetto: conosce tutto, ma non è esperto di nulla. E allora via con catene di messaggi, fake news, consigli sulla gestione delle frontiere o dei posti letto in rianimazione. Da qualche ora sono perfino tutti esperti di pronazione e ventilazione in terapia intensiva.

Viviamo ormai in un mondo dove non conta più chi esponga un concetto, quale sia la sua autorevolezza e la sua conoscenza in materia. Conta solo dire la propria opinione, che sia al bar o in un commento di qualche pagina “social”; poco importa se si sa poco o nulla di ciò di cui si sta parlando.

Chi scrive, fino a qualche tempo fa combatteva fermamente questa informazione 3.0; eppure, tutto quello che sta succedendo ha portato con sé una riflessione.

Se tutto il mondo sta cambiando, anche noi professionisti dobbiamo cambiare 

Ciò non significa arrendersi dando ragione al cliente del bar che, tra un prosecco e l’altro, esprime le sue opinioni più o meno sensate. Significa cambiare la modalità di approccio comunicativo alla popolazione, tornando ad essere punti di riferimento in ambito sanitario.

D’altronde, anche il nostro codice deontologico ha dovuto adattarsi al cambiamento dei tempi: L’Infermiere, anche attraverso l’utilizzo dei mezzi informatici e dei social media, comunica in modo scientifico ed etico, ricercando il dialogo e il confronto al fine di contribuire a un dibattito costruttivo.

I cittadini, al giorno d’oggi, si trovano travolti da una quantità di informazioni spaventosa. Attenzione, però: quantità non è mai stato sinonimo di qualità. Ed è proprio qui che dobbiamo entrare in campo noi, aiutando in ogni dove gli utenti a comprendere cosa sia vero e cosa sia falso, cosa sia reale e cosa sia fantasia.

Non c’è nulla di cui stupirsi: nel 2020 c’è gente che crede che la terra sia piatta o che le vaccinazioni causino l’autismo. E, forse, se c’è gente che crede a queste favole, la colpa è anche nostra. Anzi, soprattutto nostra. Riflettiamoci.

E aiutiamo la scienza, materia sulla quale trova le sue solide fondamenta la nostra professione, a riemergere in tutto il suo processo. Che è sì fatto di dubbi, ma che servono a costruire le certezze che guidano la nostra pratica di ogni giorno.

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