Infermiere, la consapevolezza e l’orgoglio

Testimonianze Aspiranti Infermieri

Mio figlio, 19 anni, una vita davanti da vivere e tanta consapevolezza per scegliere chi diventare, vuole essere, non fare, infermiere. Quand'ero bambino non capivo che mestiere facevi. So che te ne andavi in ospedale, un posto pieno di dottori, e stavi via tanto. Mi dicevi che lavoravi in Pronto Soccorso ed io mi immaginavo tante ambulanze che ti portavano tanta gente che stava male. Ma non riuscivo a pensare a cosa fa un infermiere, se non è un medico, mi confessa mio figlio qualche sera fa, dopo avermi confermato la sua determinazione a iscriversi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia il prossimo anno accademico.

Gli infermieri dal punto di vista di un diciannovenne

Ho imparato a conoscerti e a capirti come infermiera soltanto due anni fa, quando è scoppiata la pandemia. Gli infermieri li avevo già visti lungo le corsie dell'ospedale quando mi ci portavi, mi avevi anche presentato qualche collega. Vi avevo ascoltati parlare tra voi, senza capire i vostri problemi. Mi sono reso conto per la prima volta chi sono gli infermieri e cosa fanno guardando le immagini della pandemia, vissuta nelle terapie intensive, e ascoltando le storie che ti portavi a casa dopo i turni ai Centri Tamponi e agli Hub vaccinali. Tutti parlavano di voi come eroi. Da bambino non ho mai pensato agli infermieri come eroi, gli eroi sono altri per un bambino, credo nessun adulto abbia mai pensato questo di voi prima. Ti ho sentito spaventata all'inizio e ti ho visto esausta alla fine ma sempre determinata ed orgogliosa, come se quello che di incredibile stavate facendo fosse del tutto normale. Come se non fosse soltanto un dovere, ma una responsabilità che vi veniva spontanea. Vi ho visto fare la vostra parte, sacrificando affetti e tempo, il benessere del corpo e quello della mente. Per noi. Mi sono chiesto se vale la pena fare una vita così e perdere vita e salute per gli altri. Ora vi vedo maltrattati, insultati, picchiati, sottopagati. Come sempre, forse peggio, come capitava anche prima della pandemia. Leggendo molti commenti in calce agli articoli su Nurse24, percepisco che molti di voi sono arrabbiati e delusi per il mancato riconoscimento professionale e per il trattamento economico non adeguato. Gli stipendi degli infermieri italiani sono i più bassi che altrove a fronte di una grande professionalità, ampiamente riconosciuta in tutto il mondo. Mi rattrista leggere infermieri che sconsigliano ai giovani di iscriversi ad Infermieristica. È scoraggiante il loro scoraggiamento verso se stessi, prima che verso di noi che vorremmo essere come loro.

Mi sorprendo, divertita. Mi commuovo, poi mi rattristo. Mi sento improvvisamente fragile, dopo tanta forza in questi ultimi due anni della mia professione. Sono stati intensi, forti. E non sono ancora finiti. So che è la fine del primo tempo. Un periodo di tregua, in cui depongo la rabbia, l'orgoglio e la ragione e accetto di occuparmi di altro, per un po’. Trovo intelligente e veritiera questa interpretazione, molti di noi hanno perso per strada l'entusiasmo, l'energia, il profilo che ci contraddistingue. Che ci rende unici. La dignità che chiediamo, sotto forma di denari e immagine sociale, parte da noi. Penso che lamentarsi sia umano ma gli infermieri dovrebbero andare oltre al lamento, non siamo infermi. E non stiamo fermi perché abbiamo fatto un patto con le persone. Siamo, semplicemente e umilmente, infermieri. Forse, talvolta, fin troppo umili.

L’infermiere sta dalla parte del paziente

Negli ultimi giorni, dopo due anni passati in pandemia, mi sono chiesto se voglio davvero essere un infermiere come mia madre. Non ho avuto più alcun dubbio dopo aver letto il Codice Deontologico degli Infermieri. Lì ho trovato tutto quello che cercavo, il mio futuro. Ho ritrovato i miei ideali di bambino che, crescendo, mi indirizzavano verso una professione d'aiuto ma non sapevo bene quale. Mi incanta l'entusiasmo di mio figlio, qualcosa nel suo sguardo e nella sua voce mi ricorda com’ero alla sua età. Mi fa venire un brivido sentirmi enunciare gli articoli del Codice, mai dimenticati, soltanto interiorizzati e fatti naturalmente miei nel corso dell'esercizio della professione. Gli consiglio di leggere anche il Profilo. Lo ha già fatto.

Il medico fa diagnosi e prescrive la cura, l'infermiere fa tutto il resto. Potrei studiare medicina, certamente, ma scelgo infermieristica perché il significato della professione sta nel significato etimologico della parola. Dentro l'infermiere ci sta l'infermo, nel senso che non è soltanto una derivazione grammaticale ma ci sta proprio dentro, nella persona che si prende cura a 360° di un’altra persona. Per questo mi sembra poco quello che fa un medico, anche se fa tanto, e mi sembra tanto quel che fa un infermiere, anche se l'immaginario collettivo pensa che faccia poco. Le persone pensano che l'infermiere sia niente solo perché non vi conoscono davvero. Voglio essere infermiere perché l'approccio alla malattia è diverso. E perché prima del male viene il paziente. Il medico poi sta dall'altra parte del letto del malato, sta in piedi. L'infermiere invece sta dalla parte del paziente, accanto al suo letto, pur essendo dalla stessa parte del medico. Questa visione è straordinaria. Esiste mestiere più bello di quello che si interessa a salvare la vita di qualcuno in questo modo?.

È doveroso il riconoscimento della professionalità infermieristica

Trovo che questa riflessione sia un bel modo per ricordare la seconda Giornata Nazionale del personale sanitario e sociosanitario, del personale socio assistenziale e del volontariato, che si è celebrata il 20 febbraio. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha colto questa occasione per sottolineare ancora una volta il ruolo cruciale svolto da tutto il personale del comparto sanità e del volontariato nella tutela della salute collettiva. Il Presidente ha inoltre ricordato che da quando il nostro Paese è stato duramente colpito dall'insorgere repentino ed inatteso di un'emergenza sanitaria di così vasta portata, gli operatori sanitari di tali categorie si sono trovati all'improvviso in prima linea a fronteggiare un nemico per molti versi sconosciuto. È grazie alla loro preparazione professionale e al loro spirito di sacrificio che è stato possibile arginare il rischio di perdite ancora più ingenti di quelle, già dolorosissime che abbiamo dovuto patire.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha ribadito inoltre che si deve onorare ogni giorno il lavoro, l'impegno e la professionalità dei tanti sanitari in prima linea nel corso della pandemia. Il loro sacrificio quotidiano ha curato sinora oltre 12 milioni di cittadini positivi al Covid-19 e le loro lacrime hanno ricomposto oltre 150.000 salme. Il loro sacrificio è stata una strage anche per loro. Tra i sanitari il Covid-19 ha fatto 500 vittime, 370 erano medici e odontoiatri. Di questi 216 erano medici di famiglia, medici del 118, guardie mediche, specialisti ambulatoriali, liberi professionisti. 30 gli odontoiatri. Il resto della drammatica conta sono 90 infermieri, 3 ostetriche e 32 farmacisti. È doveroso il finanziamento di 15 milioni di euro del fondo pe gli indennizzi ai familiari dei sanitari morti per Covid.

È doveroso anche il riconoscimento di una professionalità infermieristica troppe volte dimenticata e una dignità troppe volte calpestata. Ma, come mi ricorda un diciannovenne pieno di entusiasmo che ci vede con la luce negli occhi, dobbiamo essere i primi a ricordarci di brillare. Sempre e comunque, anche senza un grazie delle autorità e della società. Eravamo tutti come i giovani che oggi vogliono essere come noi. Pertanto, ricordiamoci chi siamo. Il riconoscimento passa prima attraverso la personale consapevolezza di come siamo per come lo facciamo.

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