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Testimonianze

L’inamissibilità dell’eutanasia in Italia

di Redazione

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Esiste una sottilissima linea che divide la sedazione palliativa e l'eutanasia attiva. Talmente sottile che spesso anche molti addetti ai lavori non si rendono conto di oltrepassarla.

Sedazione palliativa ed eutanasia attiva, la sottile linea che divide

La sedazione palliativa, legale in Italia (L 38/2010), consiste nell'alleviare o eliminare la sofferenza attraverso il controllo dei sintomi refrattari fino all'abolizione della coscienza. In pratica, significa che una volta titolati i farmaci sedativi e analgesici e raggiunto l'obiettivo terapeutico, questi vengono mantenuti inalterati fino al sopraggiungere "naturale" della morte.

L’eutanasia attiva, "inammissibile" in Italia, consiste nell'alleviare o eliminare la sofferenza, attraverso il controllo dei sintomi refrattari fino all'abolizione della coscienza, e provocare la morte.

La sedazione palliativa è applicabile solo in caso di prognosi infausta e imminente, l’eutanasia attiva potrebbe essere scelta anche da chi, in condizioni di incurabilità, volesse porre fine alle proprie inevitabili sofferenze e anticipare la propria morte (cioè scegliere una migliore qualità di vita invece di una maggiore quantità).

Ora, tralasciamo i discorsi morali, che secondo me sarebbero comunque molto semplici: se la vita è sacra va tutelata la qualità di essa, in primo luogo, e non per forza la durata a tutti i costi. Ma c'è una cosa molto più assurda in questo paese così rigoroso: ogni giorno, anche se avviene in modo un po' omertoso o "senza farsi notare", la sedazione palliativa si trasforma già in eutanasia attiva, alla faccia dei referendum e della Corte Costituzionale!

Dal controllo della sofferenza alla morte anticipata

Sì, perché ogni volta che qualcuno preme il tasto "purge" sulla pompa della morfina, o che aumenta la velocità del Fentanyl appena prima di far entrare i parenti in terapia intensiva, nonostante il paziente sia già sedato molto profondamente, sta di fatto puntando ad abbreviare il periodo di agonia, sta spostando l'obiettivo dal controllo della sofferenza alla morte anticipata. Perché se i sintomi sono già ben controllati, quello che si cerca è l'ipotensione o la depressione del drive respiratorio. Questo avviene quotidianamente, senza battere ciglio, e non ho mai visto nessuno in disaccordo.

Mi ricordo benissimo le lezioni di Medical Humanities nel castello di Bellinzona, in cui gli esperti di etica clinica svizzeri ci spiegavano queste differenze in modo quasi compassionevole. Mentre tornavo in Italia, in bicicletta, rimasi colpito da quanto sono vicini geograficamente e lontani eticamente la Lombardia e il Canton Ticino. Pochi chilometri di strade di montagna separano il paese in cui è sempre legale il suicidio assistito e il paese in cui facciamo finta di essere sorpresi se il paziente muore giusto giusto dieci minuti dopo l'estrema unzione.

E mi ricordo benissimo anche tutte le volte in cui mi sono sentito dire raddoppiamo la concentrazione, così non aumentiamo la velocità e i parenti non se ne accorgono. E allora non sarebbe anche il momento di smetterla di fingere e uscire allo scoperto? Ammettere che siamo ipocriti ad approfittare dell'inefficienza legislativa italiana salvo poi contestare le proposte di referendum?

Forse significherebbe costituirsi in massa, ma se tutti insieme dicessimo

Signori della corte, siamo tutti colpevoli. Ogni giorno pratichiamo l'eutanasia, per il bene del paziente e dei congiunti!

Forse, i valorosi uomini della Corte Costituzionale, si sentirebbero un po' più stupidi a giudicare inammissibile il quesito referendario sull'eutanasia.

  • Pietro Isotti

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