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Management

Coordinamento e dirigenza nell'evoluzione della professione

di Bruno Cavaliere

La standardizzazione delle capacità

Ad ogni professionista viene attribuito un considerevole controllo sul proprio lavoro. Per questi motivi i professionisti presentano mansioni molto specializzate nella dimensione orizzontale - che in precedenza abbiamo chiamato “competenza” - e contemporaneamente possiedono anche una “allargata” dimensione “verticale” che si manifesta nella “responsabilità” dell’intero processo.

Questo consente un notevole controllo sul proprio lavoro anche dal punto di vista “verticale”, gestendo la programmazione delle attività: pianificazione, progettazione, esecuzione dell’intervento. (…) I professionisti operano in modo relativamente indipendente dai propri colleghi, ma in stretto contatto con il cliente che servono (Mintzberg).

Le capacità e le conoscenze sono standardizzate quando viene specificato il tipo di formazione richiesto per eseguire le attività proprie della professione prese in esame. Nelle organizzazioni sanitarie il principale obiettivo è rappresentato dall’interiorizzazione dello standard che riguarda il cliente e che coordina l’attività professionale. In altri termini, il coordinamento delle attività, siano esse pubbliche o private, di gruppi e/o di singoli professionisti, viene raggiunto attraverso standard che predeterminano ciò che deve essere fatto. Di conseguenza, questo tipo di organizzazione pone l’accento sull’autorità di natura professionale ovvero il potere della competenza.

Uno dei maggiori problemi riscontrabili è caratterizzato dalla necessità del professionista, da un lato, di operare con soluzioni che tengano conto degli standard disciplinari e, dall’altro, di dover subire le imposizioni della struttura organizzativa che li accoglie. Questa situazione negli ultimi anni ha prodotto lo sviluppo di sistemi di controllo sempre più evoluti (controllo di gestione) e orientati al controllo della produzione dal punto di vista clinico ed economico.

La produzione sanitaria oggi pone l’accento sugli aspetti di appropriatezza quantitativa e qualitativa con forti vincoli di risorsa finita (concetto di scarsità della risorsa), che rendono ancora più complesso lo sviluppo di nuove competenze.

In questa situazione si generano contrapposizioni di potere da parte dei professionisti: l’autorità orizzontale o di competenza, la struttura, l’autorità verticale e la gerarchica generata dai vincoli di bilancio e dagli obiettivi della struttura stessa, che è ulteriormente aggravata dai problemi di coordinamento tra diversi gruppi di professionisti.

Le burocrazie professionali non sono entità integrate, ma, piuttosto, insiemi di individui che si riuniscono per utilizzare risorse e “servizi di supporto” comuni e che per tutti gli altri aspetti desiderano invece potere lavorare da soli. Finché il processo di standardizzazione opera in modo efficace, questa indipendenza è possibile, ma tale processo non è mai così perfetto da impedire che alcuni clienti cadano negli interstizi di due programmi standard (Cologna). La lettura fatta rende evidente che la grande autonomia del professionista presenta un aspetto critico in merito alla discrezionalità.

Come enunciato in precedenza, il professionista tende ad assumere degli standard condivisi dal gruppo professionale, ma la sua applicazione è spesso mutevole tra professionista e professionista. In questa lettura è ovvio e conseguente sottolineare la strategicità del team e di conseguenza i ruoli ad esso associati come leader di differenti dimensioni.

I dirigenti nella dimensione complessiva di una struttura sanitaria, i coordinatori (che io identifico come naturali dirigenti non riconosciuti) leader delle realtà operative e i professionisti, leader dei processi di cura rivolti agli assistiti. In questo scenario il team si qualifica soprattutto per la capacità di “governance” della complessità assistenziale.

Il concetto di “complessità assistenziale” pur essendo molto dibattuto rimane confuso e non definito nelle sue caratteristiche essenziali (Cologna). Tale affermazione è ampiamente condivisa e in effetti, sia a livello Nazionale che Internazionale, non vi è una definizione comune e condivisa.

In generale gli approcci che si trovano in bibliografia affrontano questo tema per Nursing work, termine che descrive il lavoro infermieristico. Per lavoro infermieristico si intende la definizione adottata dall’international council of nurses (ICN), che definisce il lavoro infermieristico come:

L’assistenza effettuata in modo autonomo o in collaborazione a persone di tutte le età, famiglie, gruppi o comunità, in salute o malattia in tutti i contesti assistenziali. Il nursing include la promozione della salute, la prevenzione delle malattie e la ricerca e si occupa di attività educativa e manageriale. In sintesi per nursing work si intendono tutte le attività dirette e indirette.

Altro approccio trovato in bibliografia parla di Nursing workload, termine fortemente condizionato dalla visione degli autori che lo hanno affrontato, ma tutti lo hanno utilizzato per definire le risorse necessarie ad assistere pazienti. C’è chi parla di “necessità di perfomance” da svolgere in un certo tempo, Arthur e James parlano di volume di attività o livello di lavoro. Altri si esprimono in tanti altri modi, ma non correlando l’assistito alle attività realizzate dall’infermiere.

Quindi sembrerebbe che il nursing work sia direttamente correlato all’assistito, mentre il nursing workload definisca il lavoro complessivo di una struttura organizzativa e quindi non in grado di correlarsi ad un singolo assistito.

Pur condividendo e confermando i differenti approcci, ritengo che sia opportuno precisare che oggi per “complessità assistenziale” si debba pensare sia al “nursing work” che al “nursing workload”, ma anche al livello di competenza posseduto dai professionisti che erogano la perfomance e alla dimensione manageriale della struttura nella quale vengono realizzate le performance.

Manzoni indica la complessità come paradigma dentro il quale si deve leggere la situazione dei nostri tempi; “c’è complessità quando sono inseparabili le diverse componenti che costituiscono un tutto”.

Il tutto nell’ambito della complessità sanitaria indaga l’insieme di almeno tre dimensioni:

  • la gravità del malato/criticità del processo – associabile al nursing work;
  • il livello di competenza del professionista – associabile al concetto quali-quantitativo del Nursing workload, che comprende però anche le conoscenze, le esperienze finalizzate e le abilità;
  • le criticità della struttura – il luogo in cui viene svolta l’attività, inteso come management, logistica, tecnologia e processo.

Per gravità dell’assistito bisogna intendere la tipologia del problema assistenziale e quindi la “domanda assistenziale”, mentre per quanto attiene il professionista la competenza la si esprime con i livelli della conoscenza (la formazione); l’expertise, che non è la semplice anzianità di servizio, ma piuttosto la documentata e dimostrata capacità di risoluzione dei problemi, ed infine per la struttura, il numero di processi organizzativi necessari, le tecnologie impiegate e la logistica coinvolta.

Quest’ultimo aspetto spesso trascurato è determinante nella moderna organizzazione, perché rappresenta una delle maggiori criticità riferite dalle realtà operative.

La complessità assistenziale è da intendersi come l’insieme dei problemi che devono essere risolti in un determinato tempo nei confronti di un assistito da parte di un team di professionisti (multidisciplinare) e uno staff di supporto definito all’interno di una specifica organizzazione sanitaria (intendendo il livello nazionale e i relativi vincoli normativi), che opera attraverso processi di lavoro impiegando tecnologie (presidi sanitari) all’interno di strutture (ospedali, ambulatori, distretti ecc..) con caratteristiche specifiche che ne definiscono i limiti impliciti.

Con questa definizione si vuole sottolineare che il concetto di complessità inteso è un indicatore fortemente variabile e dipendete dalla capacità di risoluzione del problema, che è il vero soggetto della complessità. La risoluzione del problema è influenzata da elementi in connessione tra loro mediante interazioni. Maggiori sono gli elementi in connessione tra loro attraverso interazioni e maggiore è la “complessità Assistenziale”.

In effetti se ci troviamo di fronte ad un problema mai affrontato e quindi inedito ed originale, la “complessità” relativa per quel gruppo di professionisti sarà effettivamente importante, ma è anche vero che lo stesso tipo di problema affrontato all’interno della stessa struttura, ma da un gruppo di professionisti differente potrebbe risultare meno complesso.

Come d'altro canto lo stesso tipo di problema potrebbe mutare il suo livello di “outcome” a parità di luogo organizzativo e di gruppo di professionisti, semplicemente perché l’assistito non è lo stesso e la sua risposta è diversa dal precedente malato che per quel problema aveva previsto delle azioni che si erano dimostrate efficaci.

Accogliere la complessità significa infatti rendere intero ed ottenere un risultato che è maggiore e diverso della somma dei risultati dei singoli elementi che compongono l’intero medesimo (Manzoni E.).

Editorialista
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