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Infermieri nel Pnrr, un’occasione da non sciupare

di Redazione Roma

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta un’occasione tangibile di trasformazione della professione infermieristica? Esistono realmente spazi e risorse per l’assistenza? La Redazione della rivista scientifica AIR lo ha chiesto ad un gruppo di colleghi – inviando loro una serie di domande o punti di riflessione – che si sono espressi tanto sugli aspetti positivi quanto sulle possibili criticità del Pnrr.

Pnrr, quali spazi e risorse per l'assistenza infermieristica?

Infermieri e Piano nazionale di ripresa e resilienza: ci sono realmente spazi e risorse per l’assistenza? È l’interrogativo che si sono posti – e al quale hanno dato risposta attraverso un corposo articolo sulla rivista scientifica AIR (Assistenza Infermieristica e Ricerca) – alcuni colleghi, ai quali è stato chiesto un commento sugli aspetti positivi e sulle criticità del Piano.

Sono state inviate alcune domande (o punti di riflessione) in rapporto agli aspetti qui circoscritti: la presenza degli infermieri nel Pnrr; se nel Piano emerge un’attenzione concreta alla presa in carico delle persone, fornendo risposte al problema della frammentazione dei servizi socio sanitari alla persona sul territorio; se la missione 6 (Salute) dedica sufficienti attenzioni e finanziamenti all’incremento numerico di professionisti sanitari sul territorio nonché alla loro formazione.

Ma procediamo per gradi, prendendo il là da una considerazione: Covid-19 ha fatto emergere, in modo importante, tutte le crepe del sistema sanitario, con particolare rimando alla carenza/assenza di un’assistenza sul territorio dovuta allo smantellamento progressivo, laddove erano presenti, dei servizi territoriali e al mancato investimento che ne ha ostacolato lo sviluppo, dove invece non lo erano.

Fermo restando che l’infermiere rappresenta un ruolo che va “portato avanti” anche singolarmente – non soltanto dalle associazioni professionali e dagli ordini di riferimento, entrambi importanti – resta il fatto che le numerose prove offerte dagli operatori sanitari durante la pandemia non sembrano state sufficienti per convincere ad investire (oggi come domani) sulla professione in modo sempre più rilevante, senza se e senza ma.

E, all’atto pratico, è rilevante che i provvedimenti oggi in essere (e quelli di domani) devono essere volti sempre e solo a un miglioramento qualitativo dei processi di cura e non – come spesso accade – per sostenere la carenza di personale sanitario. E ancora, se da un lato appare sempre più “semplice” investire sulle tecnologie, occorre ribadire che l’innovazione tecnologica rappresenta soltanto un mezzo e non di certo un fine capace di assicurare cure efficaci alla collettività.

Realizzare una nuova salute territoriale

Entrando nello specifico, la missione 6 “Salute” è contraddistinta da due componenti principali (in termini di finalità e di investimenti economici): reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale (finanziamento di 7 miliardi di euro) e innovazione e ricerca, digitalizzazione del servizio sanitario nazionale (finanziamento di 8.63 miliardi). Premessa doverosa per affrontare i punti chiave individuati all’interno dell’articolo pubblicato da “AIR”, – con la cura della redazione, hanno contribuito: Marcello Bozzi (Ancona), Bruno Cavaliere (Genova), Angela Di Giaimo (Lodi), Paola Di Giulio (Torino), Valerio Dimonte (Torino), Paola Gobbi (Desio), Paola Obbia (Cuneo), Luisa Saiani (Verona), Diego Targhetta-Dur (Ivrea) – partendo dalla presenza degli infermieri all’interno del Pnrr.

Dettagliando, la missione 6 del Pnrr (“Realizzare una nuova salute territoriale”) si propone di fornire risposte integrate socio sanitarie a una domanda di salute costituita da bisogni complessi; potenziare l’assistenza domiciliare integrata; garantire omogeneità di risposte tra regioni; potenziare infrastrutture tecnologiche e digitali; implementare competenze professionali, sia avanzate sia specialistiche, di diversi professionisti sanitari: medici, soprattutto relativamente alle cure primarie ma anche infermieri, fisioterapisti, assistenti sanitari e sociali; incrementare in termini assoluti il numero di infermieri, passando dall’attuale rapporto di 5,8 infermieri ogni 1000 abitanti a 8,8 dello standard dell’Ue.

Realizzare quanto previsto nel Pnrr si scontra però con alcune inevitabili problematiche che vanno affrontate nell’immediato: dalla carenza di infermieri alle competenze da garantire alla complessa organizzazione dei servizi.

Rafforzare l’assistenza domiciliare

Ma nel Pnrr emerge un’attenzione tangibile alla presa in carico? Cominciamo col dire che il Piano tratteggia un modello che dovrebbe portare a un riequilibrio tanto dei luoghi di cura tanto dei modi di presa in carico dei bisogni dei cittadini, spostando con decisione l’asse degli interventi dall’ospedale al territorio. Per raggiungere questo fine si mira a rafforzare l’assistenza domiciliare (con la presa in carico di almeno il 10% della popolazione over 65 con problemi di cronicità oppure dipendenza), l’istituzione di 602 centrali operative territoriali per il raccordo tra i diversi servizi sanitari e sociali, l’istituzione di 1288 Case di comunità e 381 Ospedali di comunità.

La figura dell’infermiere sarà presente in ognuno di questi contesti: con competenze cliniche avanzate nell’assistenza domiciliare, con competenze di presa in carico delle problematiche della famiglia e della comunità per l’infermiere di famiglia, con competenze cliniche e manageriali per gli infermieri degli ospedali di comunità, a gestione in prevalenza infermieristica. Ciò detto, la collaborazione e il coordinamento tra gli infermieri di famiglia/comunità previsti all’interno delle case di comunità e gli infermieri delle cure domiciliari è un aspetto basilare per concretizzate le parole del Pnrr – che potrebbe rappresentare un’occasione unica per lo sviluppo della professione infermieristica – e del Piano nazionale di prevenzione 2020-2025.

Incrementare il numero degli infermieri

La missione 6 “Salute” del Pnrr pone particolare attenzione ai finanziamenti richiesti in rapporto all’incremento numerico di professionisti sanitari sul territorio (nonché alla loro formazione)? La risposta è affermativa, poiché stiamo parlando di un Piano che prevede un notevole incremento numerico da quantificare a breve termine. Permangono, però, diversi aspetti problematici da affrontare e risolvere con urgenza.

In primis occorrerà chiarire se il rilevante incremento numerico di infermieri sarà “sottratto” alla compensazione del turn over del personale ospedaliero prossimo alla pensione. È arduo pensare che al momento questa sia una decisione realistica, considerando che gli ospedali – come sappiamo – sono già in sofferenza di personale.

Riprogrammare l’offerta formativa

Bisognerebbe, perciò, riprogrammare l’offerta formativa dei prossimi anni, tenendo in considerazione che l’eventuale sforzo per l’aumento di questi numeri comporterà – inevitabilmente – congrui investimenti economici per aumentare le risorse umane, con particolare riferimento alle sedi formative universitarie e delle Aziende sedi di corso.

Continuare a proporre uno sviluppo formativo (seppur necessario), senza però essere recepito dal mondo del lavoro mediante un consono sviluppo di carriera e una remunerazione più consona, rischia di provocare una ulteriore frattura all’interno della professione. E ciò non è ammissibile. Certamente è importante continuare a prestare attenzione, monitoraggio e presa di parola per fare in modo che i finanziamenti dell’Ue potenzino l’assistenza territoriale e pubblica. E ciò passerà anche (e soprattutto) attraverso il rinforzo della rete di assistenza infermieristica.

Giornalista
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