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COVID-19

Ieri eroi, oggi dimenticati: come stanno i sanitari

di Redazione Roma

Prima al centro dell’attenzione, ora accantonati. Ma sono gli stessi professionisti che hanno salvato migliaia di vite umane, che hanno fatto da “ponte”, infaticabili, tra le famiglie e i loro cari ricoverati in ospedale. Partono da qui una serie di riflessioni su cui si (e ci) interroga Nadia Muscialini, psicoanalista e psicologa ospedaliera.

Come stanno i sanitari dopo oltre un anno di emergenza pandemica?

Che fine hanno fatto gli “eroi” capaci di salvare migliaia di vite umane? Perché di loro si parla poco e nulla (più la seconda) dopo essere stati al centro dell’attenzione dei media, quasi passati ai raggi laser e troppo spesso giudicati? Sono tutti interrogativi che si pone, ad alta voce, la psicoanalista e psicologa ospedaliera Nadia Muscialini, che sul blog de Il Fatto Quotidiano pone una serie di riflessioni assolutamente non banali.

Chi si occupa di programmazione e politica sanitaria dovrebbe seriamente occuparsi del personale della cura, in primo luogo aumentando le risorse umane del Sistema sanitario nazionale, ma poi verificando che siano istituiti e funzionanti i presidi di tutela nei luoghi di lavoro non solo per il controllo e la tutela delle condizioni di idoneità fisica ad una mansione ma anche come spazi di verifica, prevenzione e cura dello stress occupazionale e del burnout

Già, l’impatto psicologico della pandemia Covid-19 sugli operatori sanitari in prima linea è stato valutato in tutto il mondo attraverso numerosi studi pubblicati in letteratura. Approfondimenti imprescindibili, senza dimenticare che nella quotidianità – dunque al di fuori degli studi internazionali – chi svolge un lavoro di cura deve avere del tempo istituzionalmente predisposto per condividere vissuti emotivi oltre che consegne, per trovare strategie di resilienza nel gruppo.

Ne è convinta Muscialini: I sanitari sono stati coloro che si sono dedicati primariamente a offrire, con creatività e innovazione, cure e assistenza, ma anche umanità. Quindi nel suo articolo sintetizza le tre fasi temporali che hanno accompagnato – dall’esterno e non sempre benevolmente – i professionisti impegnati sul campo: Dapprima osannati, poi accusati di fare allarmismo e di diffondere il virus, infine dimenticati.

Donne e uomini, i sanitari, protagonisti di incredibili gesti di umanità. Un pettine, un rasoio, una notizia sul tempo o su quello che accadeva fuori, qualche passo in una stanza di isolamento, un colloquio psicologico, un incontro spirituale, l’estremo saluto, hanno fatto la differenza. Professionisti che da curanti – come nell’ordine delle cose – sono diventati guaritori, hanno offerto cure e conforto, hanno sostituito in tutto e per tutto gli affetti e la rete di chi era ricoverato. Senza risparmiarsi né retrocedere di un passo: l’altro prima di loro, sempre e comunque. E questo “andare oltre”, secondo Muscialini, è stato – e troppo spesso lo è tutt’ora – sottaciuto.

Ancora oggi sono in tanti (troppi?) a non comprendere che i sanitari operativi in prima linea durante un’epidemia sono per forza di cose maggiormente esposti al disagio psicologico in quanto, oltre a garantire le necessarie cure ed assistenza, vivono costantemente nella condizione di poter essere colpiti dall’epidemia stessa. Non abbraccia tali discorsi – tutt’altro – la David Lynch Foundation, con sede a Lucca, che ha avviato con successo il programma “Curiamoci di chi ci cura”. Per aiutare medici e infermieri a superare lo stress da superlavoro da Covid-19.

E qui non si esagera, poiché gli effetti psicologici secondari alla pandemia sono legati alle più svariate ragioni: dall’incertezza della durata della crisi, alla mancanza di terapie comprovate o all’assenza di un vaccino; alla carenza di Dpi, fino alla paura di contagiarsi oppure di contagiare un membro della propria famiglia. E a chi dice di conoscere bene la realtà che ogni giorno vivono i sanitari, ecco – a chi pensa di sapere tutto su questi professionisti – farebbe bene ascoltare le parole di una psicoanalista e psicologa ospedaliera come Nadia Muscialini.

Intanto possiamo dire cosa non sono: i sanitari non sono degli avatar, non sono esseri astratti, ideali e nemmeno qualcosa di scontato; non sono eroi, non sono capri espiatori, non sono untori, non sono icone presenti in programmi televisivi. I guaritori sono persone come tutte le altre. Come tutti hanno avuto paura, si sono ammalati, sono morti, hanno perso amici e familiari; sono mogli, mariti, padri e madri, sorelle, fratelli

Giornalista

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