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editoriale

Grazie infermieri, perché tenete in piedi la speranza

di Lucia Teresa Benetti

È stata un'estate piena di tragedie. Un'estate in cui, senza clamore, gli infermieri in ferie sono tornati al lavoro. Tutti in silenzio. Perché prima di essere vacanzieri sono infermieri, sono personale del pianeta sanità. E loro sanno bene cosa significa essere nel mezzo di una tragedia. Perché la vivono ogni volta che si sentono impotenti davanti ad una sofferenza, alla morte di un ragazzo, al dolore di un genitore. E ancora pochi “grazie”. Come sempre. Quasi come se tutto fosse dovuto.

Agosto, quest’anno mi sei piaciuto meno del solito

Ben arrivato Settembre! Mese che amo, come tutto il periodo in arrivo. A dir la verità, per me, l’anno tutto dovrebbe essere di settembre con puntate verso dicembre (sarà per l’atmosfera natalizia che adoro) e giornate tiepide di primavera. L’estate non fa per me.

Sono una di montagna e di mare d’inverno, quando il silenzio è rotto solo dallo sciabordio delle onde sulla riva, dal volo quieto di qualche curioso gabbiano e da qualche cane che corre felice con il proprio padrone su quella che, d’estate, non è più una spiaggia, ma un carnaio vociante e disordinato. Sto diventando vecchia, mi ripeto ogni volta che, guardando il cielo, a voce non sempre bassa, me ne esco con la tipica espressione: Non ci sono più le stagioni di una volta!, e sorrido da sola.

Già: non c’è sicuramente più un’estate che non ci faccia dire di questo caldo non se ne può davvero più. E si sbuffa. Almeno io sbuffo e sogno la pioggia che non cade, la neve lontana, il fresco che mi fa prendere il golfino. Quest’anno, poi, agosto è stato davvero bollente. Il sole, sempre sfacciato di questo periodo, sembrava ancora più cocente. Ha illuminato come non mai dolori e lacrime, ferite e polvere, grida e silenzi. Agosto, quest’anno, volevo finisse velocemente.

I giorni mi sono sembrati più lunghi, più faticosi, più indifferenti. È iniziato travolgendo la vita di molte persone con l’esplosione violenta, causata dal tamponamento di un tir verso un mostro che trasportava gas infiammabile, che ha messo a fuoco il ponte sulla tangenziale di Bologna. Che ha fatto esplodere le auto parcheggiate sul piazzale confinante di un concessionario, provocando, oltre al danno, paura e una nuvola nera che sembrava voler soffocare tutto e tutti.

Lo sgomento per i feriti. L’ospedale Maggiore che gestisce magnificamente l’emergenza. Il fuoco che trasforma in un inferno quel pezzo di strada che percorro spessissimo, dove solo pochi giorni prima mi aveva vista diretta verso casa, che i miei cari percorrono spessissimo. Sgomento per i morti. E dolore. Si cercano le cause. Arrivano da subito le interviste: del capo dei Vigili del Fuoco, del Direttore Sanitario, di alcuni medici.

E di quell’infermiere che, arrivato sul posto, non ci ha pensato due volte a buttarsi in quell’inferno per cercare di salvare più persone possibili. Ustionandosi, ferendosi, rischiando la propria pelle. Ma lui, prima di uomo, si è sentito infermiere. Se ne è parlato un po’, pochi giorni. Poi solo domande politiche. Solo polemiche anche giuste, ma, forse, sarebbe stato il caso di rimandare di qualche giorno e cominciare, invece, a dire qualche “grazie”. E l’estate, con il suo figlio più rappresentativo, ha ripreso la corsa, il sopravvento.

Divertirsi e non pensare. Divertirsi e rischiare. Divertirsi e sballare, ubriacarsi, arrivare all’alba senza mai un momento di pausa. Divertirsi, perché è agosto. Ci sono le vacanze, le ferie, i fine settimana da fare in Riviera. Si deve vivere a mille, altrimenti che estate è? Chi mai ha pensato di dire un “grazie” a tutto quel personale che in Pronto Soccorso si prende cura di perfetti sconosciuti che arrivano non solo con quasi ovvi incidenti come un aculeo di qualche tracina infilato sotto un piede, ma dei nostri figli sballati di droghe (beh, in agosto si può anche “provare” quel brivido, no?) di alcool, di prepotenza.

Chi ci ha mai pensato? E che dire di quei due infermieri che a Monopoli hanno dimenticato di essere anche loro in ferie. Hanno dimenticato di essere nel diritto di chiudere gli occhi e godersi un po’ di giusto riposo e hanno trasformato quella che poteva essere una nuova tragedia sulla spiaggia in una brutta avventura? Se ne è parlato un attimo. Un articolo di cronaca o poco più. Di “grazie” ne ho sentiti pochini.

Poi la tragedia del Ponte Morandi a Genova. Tutta la Nazione resta senza fiato. Quel ponte era quasi un simbolo. Chi non lo conosceva? Un ponte osceno che in maniera oscena, come un serpente, s’infilava nel mezzo delle case, si affacciava dentro alle camere e alle cucine dei genovesi, ma permetteva una viabilità veloce. Faceva impressione prima nella sua maestosa arroganza e, dopo, diviso in due con a penzoloni fili di ferro e di cemento.

Mi sale in gola il mio “grazie”. Voglio ringraziarvi io, cari infermieri, amici infermieri, per tutto quello che avete fatto. E fate

Fili come lacrime. Fili come domande. Fili come dolore immenso e sgomento. E anche qui magnifici i Vigili del Fuoco, i cani del soccorso cinofilo, tutte le Forze dell’Ordine. E gli ospedali che si mettono a disposizione nell’accogliere feriti, nel dare dignità ai morti. Senza nessuna imposizione tutto il personale sanitario è là. Aspetta il grido dell’ambulanza che arriva. Che avverte che c’è ancora un ferito, per fortuna, ma è gravissimo. Che spera in quel suono che strazia.

Voglio ringraziarvi io, amici infermieri, per tutto quello che fate

Senza clamore gli infermieri in ferie ritornano al lavoro. Tutti in silenzio. Perché prima di essere vacanzieri (è agosto anche per loro e quelle ferie se le sono sudate con turni massacranti in corsie traboccanti e notti in solitudine) sono infermieri. Sono medici. Sono personale del pianeta sanità. E loro sanno bene cosa significa essere nel mezzo di una tragedia. Perché la vivono ogni volta che si sentono impotenti davanti ad una sofferenza, alla morte di un ragazzo, al dolore di un genitore. E ancora pochi “grazie”. Come sempre. Quasi come se tutto fosse dovuto.

E agosto eccolo a riprendersi il suo spazio. Il sole diventa ancora più accecante. La polvere si posa su tutto. Anche dentro ai cervelli di smemorati ragazzi che ricominciano le corse, gli sballi, le ubriacature e di genitori che tanto, poverini, li giustificano. Non sarà mai colpa loro. E sottotono passano le scosse di terremoto a Montecifone (Campobasso), i nuovi casi di meningite in Toscana, i tanti fatti di infermieri e dottoresse aggredite nei vari Pronto soccorso del nostro Paese.

Meno sottotono passano gli sbarchi di quei poveri disgraziati di migranti. Ma solo perché sono tema politico. Nessun, quasi nessun “grazie” a tutto quel personale che alla fine li accoglie, li medica, li lava, li rifocilla, li Cura. Tutto è dato per scontato. Il “grazie” non è più di moda. Non è più necessario.

Agosto, quest’anno mi sei piaciuto meno del solito.

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