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Infezioni ospedaliere, troppo pochi gli infermieri specializzati

di Redazione Roma

Nel 2050 i morti saranno 450mila e l’Italia avrà speso 13 miliardi di euro. A lanciare l’allarme è l’ultimo censimento della Società nazionale degli infermieri specialisti del rischio infettivo. Nel documento “Le infezioni correlate all’assistenza, una pandemia silente”, Anipio e Fnopi propongono una serie di soluzioni, partendo da un assunto: investire su professionisti con competenze specifiche nell’infection control per contribuire anche a salvare vite umane.

Infezioni correlate all’assistenza: una pandemia silente

Nel nostro paese ogni anno 10.780 persone perdono la vita a causa di infezioni ospedaliere da antibiotico-resistenza. Entro il 2050 poi, saranno circa 450mila le persone che moriranno e tale fenomeno sarà costato all’Italia, in termini economici, almeno 13 miliardi di euro. Le infezioni correlate all’assistenza (Ica): a lanciare l’allarme è l’ultimo censimento di Anipio (Società nazionale degli infermieri specialisti del rischio infettivo), condotto a fine 2019, poco prima dello scoppio della pandemia, e aggiornato a ottobre 2021.

Conviviamo, dunque, con una seconda pandemia, o meglio, con una pandemia silente. Ed è proprio la presidente di Anipio, Maria Mongardi, a spiegare che la situazione è preoccupante e bisogna investire su professionisti con competenze specifiche nell’infection control per contribuire anche a salvare vite umane. È necessario puntare su infermieri specialisti del rischio infettivo e medici igienisti che oggi affrontano sfide uniche per la natura dell’ambiente di cura e della popolazione residente che invecchia.

Da qui l’incidenza della formazione degli infermieri in merito alla prevenzione: secondo Anipio, infatti, è inadeguata, al pari del controllo e della sorveglianza delle infezioni ospedaliere (Ica) e sono forti anche le carenze strutturali e tecnologiche.

Spiega la presidente di Fnopi, Barbara Mangiacavalli: È indispensabile concretizzare le specializzazioni infermieristiche grazie alla crescita della formazione, come già avviene nel resto d’Europa: rappresenta una delle strade imprescindibili della formazione professionale e dell’intero sistema sanitario.

Infezioni ospedaliere, quali sono le cause

Non tralasciando il fattore correlato al disinvestimento in professionisti con un’adeguata formazione per ricoprire il ruolo di medico igienista o di infermiere specialista nel rischio infettivo (Isri), le motivazioni identificate rimandano, in particolare, alla carenza di infermieri specializzati e medici igienisti e alla malpractice prescrittiva.

In merito al primo aspetto, sono i numeri a parlare: i professionisti che l’Anipio ha censito in tutte le strutture pubbliche italiane sono complessivamente 497, di cui 42 hanno iniziato questa attività in occasione della pandemia, ma, anche secondo gli standard fissati dallo stesso Ministero (circolare Ministero della Sanità n. 8/1988: Lotta contro le infezioni ospedaliere: la sorveglianza), ne occorrerebbero circa il doppio, così come a occuparsi delle infezioni ospedaliere all’interno delle strutture dovrebbero esserci anche medici igienisti che, allo stato attuale, mancano all’appello per questo compito specifico.

Bypassando i numeri però – che ovviamente danno il polso della situazione – Anipio, in raccordo con la Fnopi, intende ribadire e rilanciare in primis gli alert già inviati a livello europeo dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in occasione della Country visit del 2017. Ovvero: mancano: un supporto istituzionale a livello nazionale, regionale e locale; una leadership professionale e un atteggiamento responsabile a ogni livello nonché un coordinamento nell’azione tra i vari livelli e al loro interno. Ancora, permane scarsa consapevolezza in rapporto all’urgenza in materia di antimicrobico-resistenza (Amr) da parte della maggior parte degli stakeholder e una scarsa tendenza a farsi carico del problema.

Giornalista

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