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Emergenza-Urgenza

Il caso dei Protocolli infermieristici 118 Taranto

di Giacomo Sebastiano Canova

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L’adozione dei protocolli infermieristici nell’emergenza territoriale è un ambito ampiamente dibattuto da tempo. Questo in quanto, nonostante l'evoluzione normativa nel merito, in molti contesti italiani gli infermieri che operano in tale particolare setting prima di somministrare un farmaco (anche salvavita) in assenza del medico sul posto devono sottostare alla non codificata consuetudine della prescrizione telefonica. In questa direzione si era mosso anche il 118 di Taranto, con la divulgazione di una prima versione di alcuni protocolli che avevano destato scalpore. Il dibattito era nato in riferimento alle indicazioni messe nero su bianco dal Direttore del 118 di Taranto, il quale avrebbe disposto al personale infermieristico l’applicazione di alcune procedure e la somministrazione di farmaci non previsti dalle Linee Guida derivanti dall’analisi dei dati provenienti da migliaia e migliaia di casi analizzati. Protocolli che però in un secondo momento sarebbero stati rivisti e corretti dai refusi che in molti avevano sottolineato.

Gestione infermieristica delle emergenze-urgenze

I Protocolli infermieristici 118 Taranto sarebbero stati rivisti e corretti nella loro versione definitiva rispetto alle incongruenze ravvisate nella prima stesura divulgata.

Gli infermieri dei servizi di emergenza e urgenza, contrariamente ad altri contesti ospedalieri e territoriali, sono delle figure abituate a prestare servizio senza che la maggior parte delle volte sia presente a loro fianco un medico, il quale interviene in prima o seconda battuta solamente in casi gravi oppure laddove la sua presenza sia necessaria (es. agitazione di un paziente con patologia psichiatrica, constatazione di decesso, ecc.).

Per questo motivo, vista l’impossibilità di medicalizzare ogni uscita di ambulanza, in Italia negli ultimi anni si è acceso il dibattito inerente l’adozione dei cosiddetti “protocolli infermieristici”, ovvero delle procedure volte a guidare l’infermiere nel compiere manovre avanzate, compresa la somministrazione di farmaci.

Sia chiaro, nessuno viene posto a rischio, in quanto si tratta prevalentemente di somministrazione di analgesia a pazienti con dolore importante (l’alternativa sarebbe quella di farsi un viaggio, magari pure lungo, con un dolore importante) oppure di farmaci salvavita, nonché l’adozione di procedure internazionalmente riconosciute in caso di arresto cardiaco, ivi inclusa la somministrazione dei farmaci previsti dagli algoritmi di rianimazione cardiopolmonare avanzata.

In questo senso, l’opera del personale sanitario è necessario che si riferisca sempre alle Linee Guida di riferimento, così come previsto dai rispettivi Codici Deontologici e anche dalla giurisprudenza attuale, rappresentata dalla Legge Gelli.

In particolare, l’articolo 5 della legge 24/2017 (denominato “le Buone Pratiche clinico-assistenziali e le Linee Guida”) sancisce al comma 1 che gli esercenti le professioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida. Un intervento è dunque appropriato qualora sia di efficacia provata da evidenze scientifiche, oltre che essere stato prescritto per il “paziente giusto”, essere eseguito nel “modo giusto”, al “momento giusto” e per la “giusta durata” e se gli effetti sfavorevoli e/o i rischi sono accettabili rispetto ai benefici.

Si evince come la giurisprudenza lasci uno spazio per l’uscita da quelle che sono le Linee Guida pubblicate, permettendo che le specificità dei casi possano essere rispettate. In questo senso, però, è bene sottolineare come non debba questo essere un atto di routine, ma raro ed eccezionale. In tutti gli altri casi, si fa riferimento alle Linee Guida pubblicate e costantemente aggiornate da parte delle società scientifiche di riferimento.

Le incongruenze ravvisate nella prima versione dei Protocolli 118 Taranto

È in questo contesto che si era inserito il dibattito circa le indicazioni messe nero su bianco dal Direttore del 118 di Taranto, il quale - in una prima versione del documento indirizzato alla C.O. 118 e al Dipartimento STE 118 - avrebbe disposto al personale infermieristico l’applicazione di alcune procedure e la somministrazione di farmaci che non sono previsti dalle Linee Guida derivanti dall’analisi dei dati provenienti da migliaia e migliaia di casi analizzati.

Ad esempio, per quanto riguarda l’arresto cardiaco improvviso, la prima versione del documento prevedeva:

  • Ossigeno ad alto flusso: 15 L/min
  • Adrenalina 1 mg ev ogni 3-5 min
  • Se ritmo defibrillabile, amiodarone fl 150 mg: 1 fl ev in 10 ml di glucosata al 5%, ripetibile una volta (dopo la terza scarica del DAE)
  • Se ritmo non defibrillabile: atropina, 3 mg ev

Si evince come le indicazioni stridessero con le Linee Guida ERC, IRC e AHA, le quali non prevedono quanto sopra riportato. Innanzitutto, in caso di arresto cardiaco con presenza del solo infermiere del 118 sarebbe bene il posizionamento di un presidio sovraglottico attraverso il quale operare la ventilazione con una FiO2 del 100%. Ma erano gli ultimi due punti a prestarsi ad un acceso dibattito, in quanto i farmaci indicati non sono presenti nelle Linee Guida ALS pubblicate da IRC, società scientifica di riferimento.

In particolare, la sezione sui farmaci antiaritmici prevede la somministrazione di amiodarone 300 mg EV in caso di pazienti adulti in arresto cardiaco in FV/pTV dopo l’erogazione di tre shock, seguita da una seconda somministrazione di amiodarone 150 mg EV (IO) dopo l’erogazione di cinque shock.

Il farmaco non va quindi diluito e non va ripetuto dopo la terza scarica, ma la sequenza corretta (300 mg poi 150 mg) inizia dopo questa scarica. Rispetto alla somministrazione di atropina, nulla si ritrova nelle Linee Guida dell’arresto cardiaco, in quanto questo farmaco è riservato al trattamento del peri-arresto in caso di bradicardia.

Alcune fonti indicano come il documento non rappresentasse la versione definitiva e che lo stesso sia stato in un secondo momento rivisto e corretto dai refusi che in molti avevano sottolineato. In conclusione, tutto è bene quel che finisce bene e c’è da auspicarsi che in sempre più Centrali Operative vengano intraprese azioni volte a valorizzare l’infermiere che opera in emergenza ospedaliera, garantendogli di svolgere al massimo della sicurezza il suo delicato quanto prezioso operato.

Un’ulteriore indicazione stridente con le Linee Guida era il trattamento della tachicardia, che nella prima versione circolata del protocollo di Taranto era indifferente in caso di QRS stretto o largo della stessa. Prima di proseguire con le indicazioni, si può notare come già a questo punto le indicazioni stridessero con le evidenze, che come prima cosa differenziano il trattamento della tachicardia in base alla larghezza del QRS, procedendo con due procedure separate. In ogni caso, il trattamento proposto inizialmente dal protocollo in questione era, oltre all’ossigenoterapia ad alto flusso, la somministrazione di “Amiodarone fl 150 mg: 2 fl ev in 10 ml di glucosata al 5%”.

La somministrazione di farmaci antiaritmici è un ambito molto complesso e delicato, in quanto ogni aritmia è diversa dall’altra e richiede un trattamento particolare in base al tracciato ECG. Nel dettaglio, la somministrazione di amiodarone è indicata dalle Linee Guida IRC solamente per il trattamento della tachicardia a complesso QRS largo con ritmo regolare; in questo caso, la somministrazione deve avvenire in 10-60 minuti. Oltre a questo caso, nessun altro prevede la somministrazione di amiodarone: tachicardia a QRS largo con ritmo irregolare e tachicardie a complesso QRS stretto con ritmo regolare o irregolare richiedono difatti trattamenti farmacologici e non differenti.

Anche per quanto riguarda lo STEMI le indicazioni contenute nella prima versione dei protocolli di Taranto non coincidevano con quelle pubblicate dalle società scientifiche di riferimento. In particolare, nel documento si leggeva a questo punto che il paziente avrebbe dovuto essere trattato con:

  • Ossigeno a basso flusso se SpO2 > 94%: 2-4 L/min
  • Ossigeno ad alto flusso se SpO2 < 94%: 15 L/min
  • Dinitrato isosorbide cp: 5 mg per os, eventualmente ripetibili una volta
  • Acetilsalicilato di lisina fl ev: 250 mg ev

Tralasciando che ossigenoterapia è da somministrare in caso il paziente abbia una saturazione del 94%, merita un approfondimento la parte farmacologica di questo algoritmo, in quanto le Linee Guida del’ESC (European Society of Cardiology) prevedono per il trattamento dello STEMI la somministrazione di terapia antiaggregante con aspirina 250 mg ev e di terapia anticoagulante: eparina non frazionata 70-100 UI/kg ev.

Questi due farmaci sono solitamente quelli maggiormente somministrati nel contesto extraospedaliero, riservando gli altri (es. prasugrel) a quello intraospedaliero. La somministrazione di dinitrato isosorbide non è prevista in nessuna indicazione e, anzi, è sconsigliata, poiché la somministrazione di nitrati in caso di STEMI destro può avere delle ripercussioni emodinamiche importanti che possono porre a rischio la sopravvivenza del paziente.

Proseguendo, anche il trattamento dell’anafilassi non rispecchiava le Linee Guida, in quanto la dose di 1 mg di adrenalina somministrato per via intramuscolare stride con quella internazionalmente riconosciuta di 500 mcg.

L’adozione di protocolli infermieristici dedicati al personale infermieristico che opera nell’emergenza preospedaliera sta diventando oramai un’esigenza in quasi tutto il territorio nazionale, laddove non siano già in adozione. Tuttavia, per la sicurezza dei sanitari (sia di chi le dispone sia di chi poi è chiamato a metterle in pratica) e soprattutto del paziente assistito, gli stessi dovrebbero riferirsi alle indicazioni universalmente riconosciute e sancite dalle società scientifiche nazionali e internazionali censite in un apposito albo ministeriale, che le autorizza ad emanare le indicazioni sopra riportate.

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Commenti (1)

carminelentini

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1 commenti

Situazione tragicomica.

#1

Questo accade perche viviamo nella terra dei cachi, citando una famosa canzone. Tutti si sentono in diritto di emenare linee guida, come se non ci fossero quelle internazionali o nazionali di riferimento. Ogni volta dobbiamo avere a che fare con dirigenti carichi di ego e ci vediamo recapitare linee guida regionali, provinciali, interne all'ASL e a volte interne alla S.C frutto di una visione del primario. Ma dico, cosa ci vuole affinchè diventi un SSN basato realmente sulle evidenze, quelle vere? Ho lavorato in UK e la sicurezza di aver agito secondo protocollo li la provi sul serio, non secondo quello che decide il medico di turno. Situazione vomitevole.