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Management

Leva formativa, spazio di intervento per il Coordinatore

di Carlo Scovino

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La formazione continua rappresenta uno step necessario per rispondere alle sfide complesse e articolate derivanti da una società sempre più globalizzata, da nuovi bisogni di care, caring, nursing e dalla necessità di rimodulare le funzioni e le competenze del Coordinatore Infermieristico anche alla luce dei nuovi dettami normativi e deontologici.

La patient satisfaction, il patient journey, la misurazione degli outcomes, l’Evidence Based Medicine e l’Evidence Based Nursing, il risk management, la sorveglianza epidemiologica e molto altro ancora pongono la professione infermieristica, e quella del Coordinatore in particolare, davanti a sfide che devono essere governate con efficacia, efficienza, appropriatezza e metodologicamente fondate.

Coordinatore infermieristico e programma formativo

Al Coordinatore oggi è richiesto di essere un manager, un leader e di svolgere un ruolo di rappresentanza

Il compito dell’infermiere coordinatore è sempre più quello di elaborare un programma formativo che possa stimolare un cambiamento nella cultura professionale e sia anche in grado di rispondere agli obiettivi aziendali.

Quest’anno entrambi gli estensori di questo articolo hanno presentato all’Ufficio Formazione, previa approvazione del Direttore del DSMD, un Gruppo di Miglioramento (GDM - articolato su 5 incontri di 2 ore ciascuno, utilizzando slides e analisi di case study) su come declinare nella pratica assistenziale e riabilitativa del Centro Psico Sociale i concetti di care, caring e nursing. Dopo aver presentato lo scenario normativo e culturale verranno presentati alcuni dei contenuti del GDM.

Scenario normativo e culturale

Il primo Codice Deontologico delle Infermiere è stato formalizzato nel 1960 e negli anni successivi sono state avviate ulteriori riflessioni con lo scopo di eliminare ciò che in esso era troppo “legato al tempo, ad elementi storici e sociali transitori”, come si legge nella presentazione del nuovo Codice. Nel 1971 la professione è stata estesa al personale maschile sancendo così una prima e importante cesura con il passato.

È interessante notare che la storia della professione era stata fino a quel momento ad esclusivo appannaggio delle donne: una santa per proteggerle, la matrona Fabiola che si dedicava all’assistenza nell’antica Roma, Florence Nightingale come modello di donna ideale e tante altre donne impegnate negli ospedali, nelle visite igieniche alle zone più difficili dell’Italia della ricostruzione e nell’assistenza all’infanzia.

L’immissione degli uomini nei ruoli professionali produrrà anche un’accelerazione del cambiamento dei percorsi formativi mettendo forse in ombra (almeno in termini lessicali) il ruolo delle donne (per es. nei documenti interni dell’ASST per la quale lavoriamo la funzione del coordinamento infermieristico è declinata al maschile così come la posizione del Direttore del SITRA, nonostante la dirigente sia una donna).

Evoluzione normativa della funzione di coordinamento

Nel D.P.R. n. 761 del 20 dicembre 1979, n. 761 viene istituita la figura dell’operatore professionale coordinatore e viene eliminata la subalternità del caposala rispetto al primario e agli altri sanitari. Inoltre, vengono aboliti i poteri gerarchici del primario al quale vengono riservati compiti di programmazione e direzione nel senso di istruzione e verifica dei risultati rispetto ai piani di lavoro.

Nel D.P.R. n. 821 del 1984 n. 821 all’art. 20 si stabilisce che …l’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinenti alla propria competenza professionale. Inoltre, coordina l’attività del personale nelle posizioni di collaboratore e di operatore professionale di 2° categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto, predisponendone i piani di lavoro.

Da questo momento in poi la funzione di coordinamento si avvia verso il riconoscimento di capacità e competenze manageriali prima impensabili. Rimane la posizione di subalternità nei confronti dei medici, ma la professione ottiene il rispetto dell’autonomia operativa e dell’auto-disciplina nel lavoro d’équipe.

Nel D.M. del 13 settembre 1988 viene prevista una caposala per ogni Unità Operativa che svolge attività di coordinamento dell'attività del personale infermieristico, tecnico e ausiliario e supervisione sulle attività di tirocinio e formative.

Con il D.L. n. 626 19 settembre 1994 art. 4 vengono individuati i livelli funzionali di responsabilità del Dirigente e del Preposto.

Con la legge 43/2006 viene riconosciuta l’obbligatorietà del possesso del Master in Coordinamento Infermieristico e delle Professioni Sanitarie.

Riassumendo, si può affermare che le funzioni di coordinamento infermieristico prima del 1999 erano: la gestione dei turni di lavoro del personale, l’affidamento dei compiti, la gestione del paziente, la gestione della documentazione sanitaria, l’approvvigionamento del materiale d’uso e dei DPI, gli ordini e la gestione del magazzino, la manutenzione delle attrezzature di supporto, la tenuta/controllo della manutenzione dei frigoriferi, delle centrifughe e dei termostati.

Dopo il 1999 le funzioni si modificano in: gestione delle risorse umane con relativo organigramma e funzionigramma del personale del comparto, gestione della formazione e gestione della turnistica, acquisizione di informazioni finalizzate al miglioramento delle prestazioni, monitoraggio del grado di soddisfazione dei pazienti, gestione e approvvigionamento/presa in carico dei farmaci, delle tecnologie, dei reagenti, del materiale d’uso e dei DPI, la pianificazione, la verifica, la manutenzione e il monitoraggio di tutto il materiale, la gestione del risk management, l’individuazione, l’analisi, la gestione e il monitoraggio dei processi critici, la gestione della qualità, la verifica-validazione e il monitoraggio dei processi e dei prodotti, la formazione continua.

Come si evince da questa veloce rappresentazione, le responsabilità del Coordinatore sono diventate sempre più complesse passando da una gestione di sottoprocessi a quelli di macroprocessi.

Dal 1988 ad oggi la leva formativa è stata una costante nella ridefinizione del ruolo e delle funzioni. Egli/ella deve promuovere la formazione e le prestazioni affinché il servizio sia in grado di integrarli nei propri meccanismi organizzativi e gestionali. Nell’attualità, si trova a doversi adattare a innovazioni organizzative, a nuovi bisogni e alla necessità di conoscenze tecniche nuove: l’esperienza, le competenze e la formazione rappresentano un fattore competitivo molto importante, in grado di influire direttamente sulle prestazioni aziendali e sul raggiungimento degli obiettivi.

La nuova generazione di Coordinatori Infermieristici

L’innovazione nei sistemi sociosanitari passa dalla formazione manageriale, che ha un ruolo determinante sull’evoluzione delle organizzazioni ospedaliere. La nuova generazione di Coordinatori Infermieristici sta contribuendo a stimolare un maggiore senso di imprenditorialità e spirito creativo nel campo dell’assistenza infermieristica, oltre che promuovere nuovi modelli di gestione dei pazienti fuori e dentro le aziende ospedaliere. Gli stessi, dal punto di vista del management sociosanitario, possono offrire una risposta ai problemi di salute più importanti di oggi: l’invecchiamento della popolazione, la gestione delle malattie croniche e quella dei problemi di salute mentale, ecc.

Per liberare nuove energie e stimolare nuovi processi innovativi si potrebbe:

  • Semplificare alcuni processi istituzionali/procedurali
  • Implementare corsi di formazione ECM o non ECM (previa raccolta del fabbisogno formativo) che supportino il Coordinatore nel creare nuove hard e soft skills, come ad esempio corsi di business, software development e project management

Egli/Ella contribuisce allo sviluppo della professione ampliando le competenze cliniche, quelle di formazione, di organizzazione e di ricerca esperendo la propria professionalità in maniera efficace ed efficiente. La formazione, che riveste un ruolo decisivo nello sviluppo della professione infermieristica e nella funzione di Coordinamento, non può essere solo ECM ma potrebbe essere utile creare una rete per valorizzare le esperienze consolidate e metodologicamente avanzate e metterle a disposizione di tutti.

Al Coordinatore oggi è richiesto di essere un manager, un leader e di svolgere un ruolo di rappresentanza per tutto quello che accade nel servizio in cui lavora. La presa di decisioni è la sua attività più frequente e tale aspetto gli richiede particolari conoscenze e abilità come la capacità di negoziare, la comprensione dei bisogni delle persone, la capacità di delegare, di promuovere e sostenere processi collaborativi e partecipativi motivando il personale.

Deve conoscere la vision e la mission della propria azienda e deve avere sempre presente i valori guida dichiarati nella Carta dei Servizi. Tra le sfide che dovrà affrontare c’è quella di identificare le resistenze e le opposizioni al cambiamento e pensare a nuove modalità organizzative.

Il territorio: le sfide e le opportunità per le professioni sanitarie

Gli obiettivi dell’evento formativo, che ha visto gli estensori di questo articolo rivestire il ruolo di Responsabile Scientifico e Coordinatore Organizzativo, sono stati: definizione dei concetti di care, caring e nursing, lo scenario regionale, nazionale, internazionale e la l.r. 23/2015; la Carta di Ottawa, la Convenzione Internazionale per le Persone con Disabilità; la visione ospedalocentrica, il territorio, le nuove opportunità per il comparto, la rete e la comunità; il territorio; la prevenzione, la cura e l’assistenza. Di seguito approfondiremo solo la visione ospedalocentrica e il territorio, non perché gli altri elementi siano meno importanti, ma perché forse la pandemia di Covid-19 convincerà la classe politica e il management sociosanitario a ripensare il SSN così come lo abbiamo visto e utilizzato negli ultimi vent’anni.

Si potrebbe prospettare la possibilità introdurre un modello di governance in cui la regolamentazione svolta a livello centrale in termini di definizione degli standard, controllo e poteri di intervento e rettifica sia nettamente distinta dall’erogazione delle prestazioni.

In tale modello, le Regioni dovrebbero assumere il ruolo di enti erogatori, con un minore grado di responsabilità decisionale rispetto a quello attuale, mentre a livello centrale dovrebbe essere effettuata la valutazione dell’efficace erogazione dei LEA (Livelli Essenziali Assistenza) che dovrebbe pesare quanto quella relativa alla correttezza dei bilanci economici.

L’assistenza di domani non può essere più progettata per una popolazione di cittadini-pazienti acuti, ma sempre più dovrà prestare attenzione all’attività di presa in carico nel territorio dove il cittadino-paziente cronico vive. Ne deriva l’urgenza del superamento delle logiche ospedalocentriche a favore della domiciliarizzazione e territorializzazione, vale a dire luoghi sociosanitari di prossimità dotati di una piccola équipe multiprofessionale che consenta all’ospedale di divenire il luogo dell’intensività assistenziale e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista.

La presenza di una rete territoriale di strutture accreditate ben funzionante aiuterebbe le strutture ospedaliere a concentrare la propria offerta nelle prestazioni ad alta complessità, liberandole di quel carico accessorio che, spesso in modo inappropriato, ne impegna le strutture in un’attività a prevalente vocazione ambulatoriale.

L'effettiva realizzazione di un sistema integrato ospedale-territorio, diffuso uniformemente su tutto il territorio nazionale, potrebbe rappresentare una condizione indispensabile per la riorganizzazione di importanti funzioni sanitarie con rilevanti riduzioni di spesa.

Rimane ancora sullo sfondo l’assenza dei LIVEAS (Livelli Essenziali di Assistenza Socio-Assistenziale) per una completa integrazione sociosanitaria delle prestazioni nei territori e per una più puntuale definizione e ripartizione dei costi tra sanità e sociale. Va segnalato, altresì, che l’efficienza del sistema sanitario potrebbe essere incrementata anche attraverso maggiori investimenti in prevenzione primaria e in politiche, anche non strettamente sanitarie, in grado di diffondere corretti stili di vita.

Lo scenario dopo la pandemia

Non sappiamo ancora con certezza quale sarà lo scenario dopo la fine della pandemia (perché è certo che finirà, anche se non sappiamo con quali e quante ferite), ma crediamo che sia non più procrastinabile una nuova concezione della sanità, fondata sull’affermazione della salute, di un ambiente salubre e della riduzione delle diseguaglianze, quali diritti costituzionali.

La salute è un bene sancito dalla Costituzione e le Aziende Sanitarie devono garantirne l’appropriata tutela. L’intero sistema è ancora orientato all’emergenza e regge sulle spalle di professionisti sottoposti a stress altissimi e carichi eccessivi di lavoro (vedasi l’aumento dei casi di professionisti affetti dalla burnout syndrome).

È quello che vive ogni giorno il mondo della sanità: medici, infermieri, assistenti sociali, operatori sociosanitari e personale amministrativo sia all’interno delle strutture ospedaliere che nei servizi dislocati sul territorio. È indispensabile programmare e progettare la rete ospedaliera coordinata e integrata con la complessità delle altre strutture e le attività presenti sul territorio. È, altresì, necessario aumentare l’efficienza delle risorse a disposizione attraverso incentivi economici ad hoc, una formazione permanente modulata sulle nuove pratiche, metodi, ecc., una maggiore condivisione degli obiettivi aziendali e nuove strategie di marketing e comunicazione mirate rispondere ai bisogni di un cittadino-paziente più complesso, più fragile rispetto al passato, integrare meglio le competenze e i processi clinici.

Bisogna ripensare la visione ospedalocentrica e potenziare la tempistica che oggi porta il cittadino malato a ricercare le risposte appropriate ai suoi bisogni assistenziali verso strutture private accreditate e non, aumentando de facto la spesa out of pocket delle famiglie con il rischio che il nostro SSN, classificato ai primi posti della sanità pubblica mondiale secondo i dati dell’OCSE, venga depauperato e deprivato delle sue eccellenze, delle migliori risorse di personale e di credibilità.

I tempi sono maturi affinché, oggi più che mai, si possa e si debba cambiare rotta verso una reale attenzione ai bisogni delle persone: l’unica cosa che si è capita è che non possiamo di certo evitare che le persone si ammalino. Ricominciamo dunque dalla prevenzione primaria e solo da lì avremo una prospettiva davvero valida per ripartire.

Molti professionisti appena possono vanno in pensione e le nuove assunzioni sono sempre minori rispetto al fabbisogno reale. Questo è uno dei punti prioritari per rilanciare l’insediamento della sanità del/nel territorio: il livello specialistico ambulatoriale, ma anche e soprattutto la prestazione di carattere domiciliare che veramente garantirebbe il diritto alla salute dei cittadini.

L’infermiere di famiglia e di comunità è una delle nuove figure sulle quali sembra esserci un timido investimento in termini di implementazione effettiva e di allocazione di risorse. Questo nuovo profilo (in Friuli Venezia-Giulia è già attivo da oltre un decennio, in Emilia-Romagna da circa cinque anni) presenta dei risultati promettenti dal punto di vista della riduzione dei costi e dell’erogazione di prestazioni efficaci e efficienti e maggiormente appropriate ai bisogni espressi (e talvolta questa figura professionale è in grado di cogliere anche quelli inespressi) dei cittadini-pazienti. Vedremo cosa accadrà nel prossimo futuro.

  • Articolo redatto con la collaborazione della dott.ssa Stefania Barisciani - Coordinatrice Infermieristica – CPS zona 6 ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano

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