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Emergenza-Urgenza

Paziente politraumatizzato: quale futuro per l’immobilizzazione

di Giacomo Sebastiano Canova

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Da anni il principio che guida l’assistenza al paziente politraumatizzato in ambito preospedaliero è “immobilizza”, fino a prova contraria di trauma spinale. Tuttavia negli ultimi tempi stanno avanzando numerose evidenze nel merito, tanto che in alcuni Paesi è stato sfatato questo mito e si procede più cautamente nell’immobilizzazione del paziente.

Immobilizzazione spinale: da pratica consolidata a pratica discussa

Il motivo sottostante la pratica di immobilizzazione spinale è sempre stato quello di prevenire o ridurre il danno secondario al midollo spinale causato da potenziali lesioni della colonna vertebrale. Questa pratica consolidata viene inserita sin dalle prime fasi dell’approccio al paziente politraumatizzato, tanto che il posizionamento del collare cervicale si trova nelle primissime fasi della valutazione primaria.

Tuttavia, parlare di “immobilizzazione” è concettualmente sbagliato, in quanto con i presidi disponibili attualmente non si immobilizzerà mai completamente il rachide in toto. Ad esempio, il collare cervicale unito alla tavola spinale non impedisce completamente i movimenti di rotazione laterale e di flesso-estensione del rachide, così come non si può significativamente ridurre il movimento in una colonna vertebrale instabile. Durante il trasporto, inoltre, nessuna tecnica di immobilizzazione attualmente in uso è in grado di impedire la movimentazione di testa e collo.

A tutto ciò va aggiunto che l’immobilizzazione spinale presenta alcune problematiche quali:

  • dolore disconfort
  • lesioni cutanee da pressione
  • compromissione respiratoria
  • aumento della PIC
  • aumento della diagnostica effettuata in Pronto Soccorso
  • riduzione della qualità dell’imaging
  • aumento del tempo di permanenza sulla scena e aumento dei costi

Tutti questi aspetti negativi potrebbero essere superati nel momento in cui le evidenze scientifiche forniscano prove di elevata qualità e affidabilità che supportino l’utilizzo dei presidi di immobilizzazione. Eppure non è così, in quanto prove che supportino questa pratica non esistono; anzi, negli anni sono sempre più emerse evidenze che mostrano che l’efficacia dell’immobilizzazione del rachide in quanto a prevenzione e a esiti clinici non è così evidente. Ne sono un esempio una revisione Cochrane del 2001, che conclude come non siano mai stati condotti studi prospettici, randomizzati e controllati sull’uso appropriato dell’immobilizzazione spinale o sugli esiti riportati dai pazienti, e uno studio del 1998 condotto in Malesia e New Mexico, il quale ha dimostrato come, al contrario di quanto si possa pensare, si siano verificate meno disabilità neurologiche nei pazienti che non erano stati sottoposti a stabilizzazione spinale, suggerendo come le lesioni a carico del midollo spinale derivino soprattutto dall’energia liberatasi dall’impatto iniziale e che le lesioni secondarieQuale assistenza alla luce delle evidenze?

Alla luce di tutto ciò è ormai necessaria una revisione delle pratiche di assistenza al paziente politraumatizzato nel preospedaliero, soprattutto per il fatto che, tra questi pazienti, più del 96% non ha alcuna lesione a carico della colonna. Immobilizzare tutti significherebbe quindi esporre la quasi totalità dei pazienti vittime di trauma alle problematiche elencate precedentemente, a fronte di un ristrettissimo gruppo di pazienti con effettiva necessità. È dunque ormai imprescindibile adottare dei sistemi in grado di individuare con maggiore precisione quali pazienti beneficino effettivamente dell’immobilizzazione, arrestando la pratica considerata ormai dannosa di immobilizzare qualsiasi paziente politraumatizzato.

In quest’ottica si è inserito negli ultimi anni un Position Statement pubblicato dall’American College of Surgeons Committee on Trauma (ACS-COT), dall’American College of Emergency Physicians (ACEP) e dal National Association of EMS Physicians (NAEMSP). Queste tre società scientifiche, nonché opinion leader in materia, innanzi tutto hanno cambiato un paradigma: non si parla più di “immobilizzazione spinale”, bensì di “spine motion restriction”, in quanto se è vero che da una parte è impossibile immobilizzare il rachide, dall’altra è necessario ridurre al minimo il movimento non desiderato della colonna vertebrale potenzialmente danneggiata.

Alla luce di ciò, le tre società convengono come per ottenere una restrizione del movimento spinale mantenendo in asse il rachide siano necessari tre presidi:

  • il collare cervicale
  • le cinghie di immobilizzazione
  • il lettino dell’ambulanza

Ciò che balza subito all’occhio è che sparisce dai presidi necessari la tavola spinale, in quanto la restrizione del movimento può essere fatta direttamente sulla barella dell’ambulanza in aggiunta al solo collare cervicale.

La tavola spinale diventa quindi un mero presidio utile per l’estricazione del paziente, ma che deve essere rimossa appena lo stesso viene adagiato sulla barella. Alla luce di ciò, il Position Statement pubblicato da ACS-COT, ACEP e NAEMSP ha definito i nuovi criteri per applicare la spine motion restriction:

  • Livello di coscienza acutamente alterato (ad es. GCS <15)
  • Intossicazione
  • Dolore al collo o alla schiena e/o alla pressione della linea mediana del rachide
  • Presenza di segni neurologici focali e/o sintomi
  • Deformità anatomica della colonna vertebrale
  • Circostanze o lesioni distraenti
  • Lesioni che compromettono la capacità del paziente di contribuire a un esame affidabile

Le linee guida scandinave

Oltre al Position Statement appena analizzato, un ulteriore importante evidenza sull’argomento è stata la pubblicazione delle nuove Linee Guida sulla stabilizzazione del rachide per i pazienti adulti pubblicate nel 2019 sullo Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine.

Le Linee Guida in questione, basate sul consenso e sulle più recenti evidenze scientifiche, cambiano definitivamente il paradigma dell’immobilizzazione incontrollata di tutti i pazienti con presidi quali la tavola spinale, producendo al tempo stesso un nuovo strumento di triage per attuare la stabilizzazione spinale. Le cinque raccomandazioni derivanti dalla revisione della letteratura sull’argomento sono riassunte nella seguente tabella.

Raccomandazione Qualità dell’evidenza Forza della raccomandazione
I pazienti traumatizzati adulti non devono essere sottoposti a stabilizzazione spinale con un collare cervicale rigido Molto bassa Debole
I pazienti traumatizzati adulti non devono essere sottoposti a stabilizzazione spinale su tavola rigida a meno che non si tratti di pazienti instabili all’ABCDE con tempi critici, in cui altre misure di stabilizzazione spinale richiederebbero più tempo Molto bassa Debole
I pazienti adulti stabili all’ABCDE con deficit neurologico e/o dolore osseo spinale devono essere sottoposti a stabilizzazione spinale in un materasso a depressione Molto bassa Debole
I pazienti traumatizzati adulti con lesioni penetranti isolate non devono essere sottoposti a stabilizzazione spinale Moderata Forte
Lo strumento di triage dovrebbe essere utilizzato per facilitare la decisione sulla stabilizzazione spinale Nessuna Buona pratica clinica

L’algoritmo decisionale proposto dalle nuove Linee Guida prevede tre livelli di stabilizzazione spinale:

  1. Nessuna stabilizzazione: pazienti con trauma penetrante, stabili alla valutazione ABC, con GCS pari a 15 e privi di tenerezza ossea spinale e di deficit neurologici
  2. Stabilizzazione spinale: pazienti privi di trauma penetrante, stabili alla valutazione ABC, con GCS pari a 15 e che presentino tenerezza ossea spinale e/o di deficit neurologici. L’immobilizzazione preospedaliera si attua con il posizionamento e il trasporto del paziente in un materassino a depressione senza l’utilizzo del collare cervicale
  3. Stabilizzazione spinale tempo-dipendente: pazienti privi di trauma penetrante e instabili alla valutazione ABC e/o con GCS inferiore a 15. In questo caso le misure di stabilizzazione del rachide non devono ritardare le manovre per stabilizzare l’ABC del paziente o il trasporto in ospedale. La tipologia di stabilizzazione spinale dipende dalla situazione (materassino a depressione, tavola spinale, Scoop o barella equivalente); la gestione del rachide va effettuata tramite stabilizzazione manuale

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