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Emodialisi domiciliare e il campo d'azione dell'infermiere

di Alba Tavolaro

Emodialisi

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L’emodialisi domiciliare ha una storia molto lunga, con fasi alterne di interesse e sviluppo. Integrandosi con la dialisi peritoneale, aumenta le opportunità di scelta dei pazienti rispetto alla propria malattia.

I vantaggi e le criticità dell'emodialisi domiciliare

Le prime esperienze di emodialisi domiciliare (HHD) risalgono agli inizi degli anni ‘60 del Novecento con tecniche e apparecchiature rudimentali sia negli Stati Uniti che in Europa.

Dopo un’iniziale spinta, dagli anni ’70 si assiste ad un lieve declino dovuto, da una parte, all’avvento della dialisi peritoneale come trattamento ad hoc per le terapie sostitutive domiciliari, dall’altra, all’evoluzione e alla crescita del trapianto renale.

Si assiste quindi ad una fase di stallo fino alla metà degli anni ’90, in cui sembra esserci una ripresa della metodica a seguito dei risultati di alcuni trials che ne dimostravano l’efficacia in termini di sopravvivenza e di qualità della vita.

Tuttavia le apparecchiature e i sistemi di monitoraggio necessitavano di un adeguamento tecnologico importante per favorirne l’installazione a domicilio; diventava sempre più necessario semplificare i processi di educazione terapeutica del paziente e del caregiver e limitare le eventuali complicazioni che potevano verificarsi.

Dagli anni 2000 l’interesse intorno a questo approccio è in crescita grazie allo sviluppo di apparecchiature sempre più “maneggevoli”, ai risultati di numerosi studi che ne attestano i benefici clinici, psico-sociali ed economici, ma anche ad un cambiamento culturale che vede il malato non più come soggetto passivo, ma come persona che partecipa attivamente al processo di cura. È un paziente sempre più informato, che acquista competenze che riguardano la gestione della propria terapia, diventa quello che oggi definiamo ”paziente esperto”.

L’emodialisi domiciliare ha avuto nell’ultimo decennio un fortissimo sviluppo soprattutto in paesi come l’Australia e gli Stati Uniti. Questo sembra dovuto alla tipologia del territorio dove le strutture sanitarie sono situate principalmente nelle aree metropolitane a fronte di vastissimi territori interni che rendono molto difficoltosi gli spostamenti per le persone che devono effettuare la dialisi almeno tre volte alla settimana.

Attualmente le dialisi domiciliari - sia peritoneale che trattamento emodialitico - sono costituite da sistemi tecnologici sicuri di alta qualità, supportati nei centri più avanzati dalla telemedicina e consentono alle persone affette da IRC di eseguire la terapia sostitutiva al proprio domicilio mantenendo buoni risultati clinici e garantendo loro una buona qualità della vita, laddove i programmi di educazione e supporto assistenziale consentano al paziente e alla famiglia di superare paure e barriere.

Inoltre la terapia domiciliare è più “versatile” di quella ospedaliera, in quanto consente di variare la durata di ogni singolo trattamento, l’orario nell’arco della giornata e la frequenza settimanale a seconda delle esigenze cliniche e psico-sociali della persona.

Molti studi hanno dimostrato che i trattamenti domiciliari migliorano i dati di sopravvivenza, il controllo dei parametri emodinamici e gli indici di adeguatezza dialitica, oltre che la qualità della vita rispetto ai pazienti che eseguono la dialisi in ospedale.

Inoltre il trattamento domiciliare incide in misura minore sull’attività lavorativa o sulle attività di svago, come le vacanze. Infatti accade spesso che molti pazienti, anche giovani, lascino il lavoro perché non compatibile con l’organizzazione dei centri dialisi o rinuncino a recarsi in vacanza per paura di non trovare centri disponibili o per timori legati alla gestione dell’accesso vascolare.

Sebbene la percentuale delle dialisi domiciliari resti molto bassa anche per limiti di tipo organizzativo, il vantaggio economico è notevole rispetto alla spesa sanitaria delle emodialisi ospedaliere.

Altro aspetto non trascurabile è di tipo relazionale, poiché sembra che nei pazienti in dialisi presso la struttura ospedaliera più facilmente si sviluppi una dipendenza passiva verso gli operatori che innesca una sorta di impotenza - learned helplessness - che è l’esatto opposto di empowerment.

L’emodialisi domiciliare incoraggia l’indipendenza, l’autonomia del malato, lo responsabilizza e accresce la fiducia in sé stesso e verso le persone che lo assistono.

Tuttavia non mancano alcune difficoltà.

Vi sono diverse interpretazioni della dialisi domiciliare da parte dei nefrologi, nel senso che alcuni prediligono la dialisi peritoneale in opposizione all’emodialisi domiciliare e viceversa.

Alcuni pensano che la dialisi peritoneale sia un sistema più semplice e quindi da prediligere come prima scelta, altri vedono l’emodialisi domiciliare come risorsa per avanzare nei processi di deospedalizzazione.

In realtà le due metodiche non sono in contrapposizione, ma possono essere integrate e aumentano le opportunità di scelta dei pazienti rispetto alla propria malattia.

La maggior parte delle complicanze cliniche della HHD sembrano riconducibili alla gestione dell’accesso vascolare, la tecnica di venipuntura Buttonhole, che sembra associata ad un più alto tasso di infezioni.

Sebbene questo rinnovato interesse per l’HHD abbia portato recentemente alla crescita del numero di pazienti che eseguono la dialisi al domicilio, in Italia, così come anche nel resto del mondo, la percentuale rispetto al numero totale dei pazienti in dialisi è molto bassa.

Con l’avvento di sistemi e apparecchiature sempre più semplici da gestire e da apprendere, c’è da chiedersi cosa ostacola realmente lo sviluppo della metodica domiciliare e quali siano le barriere, la possibile riluttanza culturale che, a fronte dei dimostrati vantaggi, ne ostacolano la diffusione.

Inoltre l’infermiere, che dovrebbe essere il professionista in prima linea per quanto riguarda l’educazione terapeutica e la formazione del cosiddetto “paziente esperto”, sembra ancora confinato in qualche modo in “disparte” rispetto ad un territorio di grossa opportunità per affermare e definire il proprio spazio di autonomia, la propria dimensione di disciplina intellettuale e allo stesso tempo il proprio ruolo non più legato alle “azioni” all’interno delle équipe multidisciplinari.

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