Nurse24.it

infermieri

Omesso consenso informato e responsabilità sanitaria

di Giuseppe Sasso

    Precedente Successivo

Quando si parla di consenso informato gli esercenti delle professioni sanitarie devono informare in modo completo e adeguato riguardo ad ogni aspetto del trattamento proposto e delle eventuali conseguenze prevedibili, verificarne l'apprendimento, documentarne l'avvenuta somministrazione e la conseguente manifestazione di volontà espressa dalla persona assistita. Il tutto ricordando sempre che il non corretto adempimento all'obbligo informativo potrebbe esporre il professionista e la struttura ad eventuali richieste risarcitorie, anche a fronte di un trattamento correttamente prestato.

Valore del consenso a sottoporsi al piano di cure

L'anno 2018 ha riportato grande attenzione al tema del consenso alle cure anche al di fuori delle aule giudiziarie: con l'emanazione della legge 22 dicembre 2017 n. 219, oltre a definire l'assetto sulle disposizioni anticipate di trattamento, sulle cure palliative e il fine vita, il legislatore ha avuto cura di disporre in merito al tema sulla scorta dei numerosi principi giurisprudenziali elaborati negli ultimi vent'anni.

L'aggiornamento si è reso necessario a fronte delle continue evoluzioni che si sono evidenziate sia in ambito sociale che della scienza giuridica; in precedenza la materia era regolata dalla Convenzione di Oviedo del 1997 (recepita in Italia con legge 28 marzo 2001 n.145) che in modo essenziale regolava il diritto di informazione della persona sottoposta a trattamenti medici, in particolar modo a scopo di sperimentazione scientifica, allo scopo di tutelarne la dignità.

Negli anni a seguire l'enorme varietà della casistica concreta offerta dal mondo sanitario mise alla prova l'impianto normativo, evidenziando la necessità di maggiori approfondimenti concettuali che la progressiva elaborazione giurisprudenziale cercò di soddisfare. E per circa un ventennio furono le aule di tribunale gli ambienti in cui si studiò e sviscerò l'argomento, invece piuttosto sottovalutato nelle corsie delle strutture sanitarie dove venne percepito come un'entità aliena rispetto alle pratiche terapeutiche e assistenziali: un mero adempimento burocratico che toglieva tempo ed energie agli esercenti delle professioni sanitarie.

L'opera dei giudici fu minuziosa e continua: si occupò di ampliare e specificare i contenuti dell'informativa, sottolineando l'importanza della completezza e pertinenza delle notizie fornite al paziente in particolar guisa rispetto alle conseguenze prevedibili e agli eventuali aggravamenti dello stato di salute derivanti dal trattamento (Cass. 14638/2004, 5444/2006, 8826/2007), allo scopo di garantirgli la corretta formazione e manifestazione della volontà (Cass. 5444/2006) ed effettuare la propria (eventuale) libera adesione (Cass. 23676/2008); inoltre gli ermellini svilupparono le specifiche in tema di diritto di autodeterminazione come espresse nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 238/1996 e n.438 del 2008) arrivando a coniare all'uopo la locuzione "consenso consapevolmente prestato", per sintetizzarne la pregnanza (Cass. 2847/2010).

Il valore del consenso a sottoporsi al piano di cure quale suo presupposto irrinunciabile di legittimità (Cass. 21748/2007) è stato quindi costantemente affermato dalla Suprema Corte.

Di enorme rilievo fu il caso Englaro, che stimolò i magistrati della Cassazione ad uno sforzo ulteriore per delimitare la potenza del diritto all'autodeterminazione: essi affermarono che la valida opposizione alle cure da parte del soggetto che ne è destinatario comporta il venir meno del dovere giuridico di garanzia (a norma del quale i professionisti della sanità sono tenuti a tutelare la salute del singolo e della comunità, ex articoli 2 e 32 della Costituzione).

In caso di diniego, quindi, subentra un diverso obbligo giuridico in capo agli attori delle professioni sanitarie, quello di rispettare la volontà della persona di "rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla... in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive" (Cass. 21748/2007).

Ovviamente tale riconoscimento non deve esimere il medico e l'infermiere dal raccogliere il consenso informato in modo genuino, consapevole ed attuale, come venne poi specificato nella valutazione di un caso inerente alla pratica trasfusionale nei confronti dei Testimoni di Geova: nel caso di specie fu riconosciuta la scriminante dello stato di necessità in favore del medico che prescrisse la somministrazione di emazie concentrate in quanto il paziente versava in stato di emergenza; parimenti non era in grado di autodeterminarsi consapevolmente allo scopo di confermare il pregresso rifiuto per motivi religiosi (manifestato da un cartoncino che teneva con sé riportante la dicitura "no sangue") alle emotrasfusioni ed attualizzarlo in modo inequivocabile (Cass.23676/2008).

Diritto alla salute e diritto alla libera autodeterminazione

Nel 2010 i giudici di legittimità riaffermarono la natura contrattuale della prestazione sanitaria in sé (anche solo diagnostica) sottolineando che, in presenza di richiesta risarcitoria del paziente con allegazione della mancata o parziale informativa, l'onere di dar prova dell'avvenuta prestazione spetta alla parte convenuta (essendo di natura contrattuale il rapporto tra la persona assistita e la struttura); ma laddove il danno alla salute fosse riconducibile ad un intervento compiuto a regola d'arte e necessario ma non preceduto da adeguata informativa, allora si concretizza in capo al danneggiato l'onere di dimostrare che, se correttamente informato, egli non vi si sarebbe sottoposto (Cass. 2847/2010).

E successivamente gli ermellini hanno inoltre specificato la natura autonoma della prestazione relativa all'informazione e all'ottenimento del consenso, ancorché strumentale, rispetto al trattamento sanitario, e quindi portatrice di distinti e separati profili di carattere risarcitorio (Cass. 11950/2013).

Tale distinzione discende dal fatto che ci troviamo di fronte a due diritti di differente entità: da un lato il diritto alla salute, dall'altro quello alla libera autodeterminazione (Cass. 12830/2014) la cui lesione avviene ogni qual volta si ponga in essere un trattamento sanitario senza la previa consapevole adesione della persona assistita.

In assenza di obbligo a sottoporsi alla prestazione sanitaria previsto per legge parlamentare (vaccinazioni e T.S.O.), o di stato di necessità legittimante (articolo 54 c.p.), l'evento danno consiste nel solo fatto di accedere al corpo altrui senza la necessaria autorizzazione e si completa con la lesione della sfera psichica del soggetto derivante dal patimento psicologico causato dalla contrazione della libertà personale (come impossibilità di decidere della propria persona) e dai patimenti fisici sopportati ed altrimenti evitabili (Cass. S.U. 26972/2008).

Ritorna al sommario del dossier Responsabilità Professionale

Commento (0)