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infermieri

La categoria professionale più offesa dal nuovo contratto

di Fabio Albano

Pubblico Impiego

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Quella in cui siamo calati noi infermieri è un’organizzazione ospedale-centrica. La visione dei nostri dirigenti è quella di un obiettivo da primo piano, nella cui fotografia non appaiono i colleghi che lavorano nel privato, coloro che sono sul territorio, coloro che sono a partita IVA, quelli che lavorano nelle Rsa, coloro che sono sfruttati e sottopagati, coloro che strappano contratti a tempo determinato e infine tutti quelli che sono costretti a emigrare all’estero. Noi infermieri siamo la categoria professionale più offesa dal nuovo contratto.

Lo scarso potere contrattuale della professione infermieristica

infermiere triste in corridoio

Quella di un aumento salariale dignitoso è rimasta un'illusione per gli infermieri

Nei mesi scorsi si è giunti a una conclusione delle trattative per ciò che concerne il rinnovo del contratto di lavoro del comparto sanità pubblica.

Naturalmente il personale tutto si aspettava un adeguamento economico ben più consistente rispetto a ciò che invece è stato; non va dimenticato che i rinnovi contrattuali erano fermi dal 2009.

Noi infermieri, almeno a leggere quanto riportato dai media specializzati, siamo stati, probabilmente, la categoria professionale più offesa. Le attese, provocate pure da anni di proclami sul superamento reale del mansionario, la speranza di rendere intellettuale la nostra professione, il desiderio di uscire dal sistema “comparto” e di trovare, quindi, una precisa identità e collocazione in ambito contrattuale, hanno coltivato speranze che difficilmente si sono potute concretizzare.

Tutto ciò era comunque ben noto fin da subito, dall’apertura delle trattative contrattuali, a chiunque di noi avesse mantenuto una posizione reale nei confronti delle dinamiche economiche e sociali del Paese. In più, la nascita dell’Ordine degli Infermieri ha creato un sentimento di ulteriore illusione che mal si è coniugato con le vicende reali. Non ci interessa, almeno in questa sede, esaminare l’incongruità economica o il mancato risalto delle nostre competenze, ma ciò che si desidera provare ad analizzare sono le motivazioni, mai dette, del perché noi infermieri e noi lavoratori in genere abbiamo, ormai, così poco potere contrattuale.

Il frazionamento delle categorie dei lavoratori

Partiamo con ordine. Facciamolo partendo da una presa di coscienza del frazionamento delle categorie dei lavoratori. L’esiguità delle risorse economiche, la difficile collocazione delle persone sul mercato del lavoro (locuzione orribile, ndr), gli effetti della globalizzazione e l’incapacità della Politica e del movimento sindacale di adeguarsi ad una nuova realtà socio-politica, hanno indebolito la forza lavoro (altra orribile locuzione), deprezzando il nostro reale valore sociale ed economico.

Ogni singolo lavoratore si è dovuto adattare a quanto imposto da una politica incapace di interpretare sentimenti ed esigenze di una popolazione sempre più in difficoltà

Sono ben noti i dati relativi alla disoccupazione nazionale, in particolare nel Sud del nostro paese e dei nostri giovani. Sono ben poche le famiglie che non sono state toccate da questi negativi e pericolosi fenomeni sociali. Sappiamo che molti dei nostri giovani sono costretti ad arrangiarsi attraverso lavori precari, discontinui e mal pagati, laddove, almeno questa precarietà è possibile.

I dati relativi al Mezzogiorno sono ben peggiori, dove la parte di solidarietà statale viene, gioco forza, delegata alla malavita. Come da sempre avviene, laddove lo Stato abbandona il contesto sociale, la delinquenza si fa carico delle necessità di sussistenza delle famiglie, con i risultati tragici ben noti a tutti.

L’effetto globalizzazione è una parte del tutto che ha contribuito a disintegrare quelle tutele che anni di lotta sindacale e politica avevano contribuito a creare. La forza dei lavoratori era data dalla massa, termine dal quale abbiamo scelto di distaccarci, a favore di un individualismo che ci ha condotto ad un solipsismo sociale che ha prodotto questi effetti socio-economici, a tratti e per alcuni, devastanti.

La massa dei Lavoratori, dicevamo, era la forza contrattuale che si poteva opporre alla controparte; la potenza dei Lavoratori era determinata dalla loro unione, quindi dall’essere molto numerosi così da poter ostacolare le politiche economico-sociali a solo pro di una determinata, e solita, parte della società.

Il mercanteggio del costo del lavoro tra i paesi della C.E ha innescato lo spostamento della produzione verso quei paesi dove il costo del lavoro è decisamente più basso. Si sono creati vuoti sociali, laddove la produzione se ne è andata, non contribuendo, comunque, al risanamento socio-economico del paese dove si è insediata. Gli unici ad averci guadagnato sono stati, quindi, gli imprenditori.

Chiamarli imprenditori è un errore dettato dall’abitudine. Imprenditore è colui che reinveste parte dei profitti nella modernizzazione aziendale e nel benessere organizzativo. Oggi purtroppo tali persone illuminate sono sempre meno.

Continuando sulla strada della diaspora professionale il nostro agire sarà servito su un piatto d’argento ad altre professionalità

Il ruolo sociale degli infermieri e il problema d’identità

Basterebbe quanto descritto fin qui, seppur in maniera estremamente sintetica, a ben comprendere come le attese circa gli aumenti salariali della nostra categoria siano state illusorie e mal guidate, da chi ha voluto porsi in testa a movimenti sindacali incapaci di una lettura lucida e coerente del contesto.

La nostra categoria professionale abbisogna di una lettura interpretativa del ruolo sociale a cui si dice destinata. In tal senso la confusione regna sovrana.

Esiste il gran dubbio, per esempio, che prima o poi andrà sciolto, quello legato alle D.O.P. (denominazione origine protetta). Chi ha Diritto a denominarsi Infermiere? Io credo che tale diritto spetti a chi lavora con il paziente. Tutti coloro che vivono il loro contesto lavorativo in abiti borghesi o a debita distanza da chi ha bisogno di cure, deve scegliersi un’altra denominazione. Ebbene, se la nostra categoria professionale, e mi riferisco agli infermieri in front-line, prova un certo disagio di collocazione sociale ed economica, lo può condividere con chi ha scelto di allontanarsi dalla vera, reale professione infermieristica? In sostanza siamo ancora colleghi, con cui poter condividere problematiche, pure, economiche? Oppure no?

Uno dei reali problemi che alberga nella nostra professione è, prima ancora che economico, di identità

Questo aspetto va chiarito, anche per capire quanti siamo, veramente, noi infermieri e di conseguenza di quanta forza contrattuale, reale, possiamo disporre. Il grosso rischio è che chi ha scelto ambiti differenti rispetto all’origine della nostra professione, si accaparri gran parte delle prebende che uno Stato, indebitato più che mai, riesce a mettere a disposizione. Questo frazionamento, in ambito infermieristico, è ormai concreto, mi chiedo cosa si aspetti a certificarlo.

La nostra, di noi infermieri, è un’organizzazione ospedale-centrica, la visione dei nostri dirigenti è quella di un obiettivo da primo piano, nella cui fotografia non appaiono i colleghi che lavorano nel privato, coloro che sono sul territorio, coloro che sono a partita IVA, quelli che lavorano nelle RSA, coloro che sono sfruttati e sottopagati, coloro che strappano contratti a tempo determinato e infine tutti quelli che sono costretti a emigrare all’estero.

Per tutti questi infermieri, di cui non so fare il conto, il nulla. La gravità dell’irrispettoso mancato adeguamento economico degli infermieri pubblici, ha fatto passare in second’ordine tutti gli altri problemi della nostra categoria. E sono tanti, troppi.

I sindacati di categoria

Tale frazionamento ne ha prodotto, come conseguenza logica, un altro: quello relativo al movimento sindacale. Anche qui va posta, immediatamente, in atto una constatazione.

La frammentazione sindacale ha depauperato il sindacato nella sua logica di forza e di lotta. Naturalmente non devono essere dimenticati, anche, gli altri motivi della perdita di forza del sindacato, tra cui: le mancate risposte ad un contesto sociale che la globalizzazione ha posto in essere, l’inadeguatezza verso un mondo, quello della sanità, che ha visto crollare gli investimenti pubblici e un’eccessiva polarizzazione ospedaliera.

Questa centralizzazione ha determinato sì una serie di risparmi economici, ma ha pure concretizzato un aumento delle difficoltà, da parte dell’utenza, a rapportarsi con la sanità pubblica. E, pure, una stagnazione nell’adeguamento delle risorse umane.

Certo, la visione incentrata sulla nostra professione ha agito come un lenitivo e ha pure aumentato le speranze in una immagine socio-economica ben differente dall’attuale. Il risultato? Una sconfitta, senza appello. Certo, si potrà obiettare che solo alcuni sindacati possono partecipare alle trattative con l’Aran, mentre tutti gli altri, out.

Vero, come vero, però, che le regole erano già scritte da tempo e che l’ennesima diaspora è riuscita solo a provocare un ulteriore indebolimento di noi lavoratori, infermieri.

Dall’altra parte, chi ha fatto vita sindacale, con le organizzazioni riconosciute dal nostro Stato, deve recitare un mea culpa causa la lenta, progressiva e inarrestabile depauperizzazione delle competenze e dell’onestà necessarie a svolgere un ruolo di fiducia, nei confronti del lavoratore, quale quello del sindacalista. Il sindacato è necessario, ma per essere valente deve essere numericamente forte e i suoi esponenti altamente preparati e decisamente onesti.

Concludo questa triste disamina senza porre in essere alcuna speranza. Per noi, infermieri di frontiera, gli adeguamenti economici saranno sempre più insoddisfacenti se rapportati alle esigenze della vita e all’impegno profuso, prima durante il corso di Laurea e poi in ambito assistenziale. Continuando sulla strada della diaspora professionale il nostro agire sarà servito su un piatto d’argento ad altre professionalità.

Ad maiora.

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