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Pubblico Impiego

Come garantire sicurezza e salute ai sanitari over 67

di Monica Vaccaretti

Pubblico Impiego

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Alla luce della normativa approvata a fine 2023 i professionisti sanitari potranno prolungare la propria attività lavorativa sino a 70 anni. Sebbene la scelta sia opzionale e volontaria, la norma che lo consente è già stata ampiamente criticata da numerosi esperti del lavoro in sanità, soprattutto considerando la finalità dichiarata, ossia: far fronte alla carenza di personale e correggere la previdenza sociale.

Un esempio? Riportare gli organici ai livelli corretti

corridoio ospedale affollato

Gli esperti della prevenzione ritengono che sia necessario rivedere le strategie tradizionali per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro per i lavoratori in sanità over 67.

Viene espressa preoccupazione sia per la difficoltà organizzativa che tale disposizione comporta a livello di sicurezza e di salute occupazionale sia perché si ritiene che il lavoratore possa scegliere di restare in servizio tanto a lungo soltanto per considerazioni economiche sull'entità della pensione, trascurando le complicanze sulla propria salute psichica e fisica, che non sempre può essere in grado di valutare compiutamente anche in considerazione dell'età.

Tuttavia, da una recente survey condotta dalla Federazione dei medici ospedalieri (Fadoi) emerge che, dopo la manovra di bilancio, il 46% dei medici pensa alla pensione anticipata, il 38,7% dei non pensionabili pensa di lasciare il settore pubblico e uno su dieci vuole addirittura cambiare professione.

Sono decisamente insoddisfatti anche gli infermieri, che sostengono carichi di lavoro elevati a causa di organici insufficienti, con una retribuzione percepita come del tutto inadeguata. Intanto continua ad aumentare la quota di personale infermieristico che cerca lavora all'estero, dove la paga è migliore e si lavora meglio.

La popolazione invecchia, anche quella al lavoro. E invecchiando, anche se in salute, è innegabile che si renda di meno, sotto il profilo produttivo, e ci si ammala, sotto quello umano. Si tratta di un problema noto da tempo, la cui discussione spesso rimandata acquista un peso significativo soprattutto in sanità.

Con l'età cresce esponenzialmente l'incidenza di patologie croniche altamente invalidanti e che comportano gravi limitazioni delle capacità lavorative, ha dichiarato Gilberto Boschiroli, presidente della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP). Un'indagine sulla salute condotta nel 2013 individuava già le patologie maggiormente impattanti sulla capacità lavorativa di un soggetto e di cui oggi occorre tenere conto nell'assegnazione di una mansione dopo la loro insorgenza (malattia coronarica, ictus cerebrale, tumori maligni, cirrosi epatica, insufficienza renale, bronchite cronica, enfisema, depressione grave ed ansietà cronica).

Poiché è ovvio che le performance psicofisiche di una persona di 70 anni sono ben diverse da quelle di un trentenne, come sottolinea il presidente della CIIP, gli esperti della prevenzione ritengono che sia necessario, pertanto, rivedere le strategie tradizionali per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro per i lavoratori in sanità over 67.

I carichi di lavoro dovrebbero essere equamente distribuiti e l'organizzazione dei turni dovrebbe essere ergonomicamente ordinata, ma nell'impossibilità di adeguare gli organici a livelli adeguati a causa della scarsità di operatori sanitari sul mercato del lavoro l'unica soluzione possibile attualmente sembra quella che i medici competenti dei servizi sanitari aziendali pongano una maggiore attenzione alla salute del personale durante la sorveglianza sanitaria, tenendo conto dei problemi di ciascun dipendente adattando ogni caso alla peculiarità dell'attività lavorativa assegnata che deve essere compatibile con lo stato riscontrato.

Secondo Domenico Della Porta, presidente dell'Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali (OSMOA) dell'università degli Studi di Salerno, occorre rilanciare alcuni testi fondamentali della Consulta Italiana che dal 1989 hanno fatto la storia della prevenzione, allo scopo di creare ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età.

Secondo Dalla Porta i lavoratori della sanità presentano fattori di rischio – ergonomici fisici, psicosociali, biologici - che diventano sempre più pericolosi con l'avanzare dell'età. Sollevare e movimentare pazienti nonché assumere posture scomode o dolorose, anche prolungate, non è fisiologicamente facile e sostenibile dopo una certa età.

I ritmi di lavoro elevati o un carico di lavoro eccessivo diventano poco tollerabili dopo una certa soglia anagrafica, per quanto il limite sia soggettivo. Diventa difficile gestire richieste psicologiche di tipo emotivo e sopportare minacce e violenze fisiche.

Il lavoro a turni diventa pesante e risulta sempre più faticoso conciliare casa-lavoro. Dopo una certa età aumenta anche il rischio di esposizione a liquidi biologici e ad altri agenti aerodispersi potenzialmente infetti. Un lavoratore anziano diventa maggiormente a rischio di infortunarsi con cadute accidentali e lesioni da ago e taglienti. L'attenzione e la concentrazione infatti calano. Aumenta anche il rischio di errore clinico.

A pesare sul lavoratore sanitario anziano sono soprattutto i fattori fisici e psicosociali. Numerosi studi documentano che è notevole il rischio di sovraccarico biomeccanico, soprattutto a carico del rachide specialmente lombare.

Con l'aumento dell'età anagrafica diminuisce la tolleranza allo sforzo fisico, sopra i 60anni diminuisce del 70% ma tale valore è calcolato per lavoratori in buona salute per l'età, spiega il presidente della CIIP. Non sono disponibili studi specifici per età più avanzate, probabilmente nessun ricercatore ha osato pensare che si potesse arrivare a 70 anni in occupazioni faticose e con rilevanti rischi per la salute, sottolinea.

Ritiene pertanto che sarà difficile gestire tanto personale anziano in sanità, dove le mansioni a basso rischio sono così limitate, per rendere compatibile il lavoro con la salute del lavoratore. I fattori stressogeni più rilevanti, come l'aumento dei carichi di lavoro, diventano insopportabili se si ha una minore resistenza fisica.

Il lavoratore anziano ha bisogno di tempi più lunghi, sia per lo svolgimento dell'attività che per il recupero. Con l'età aumentano le difficoltà di recuperare il sonno perso durante il lavoro notturno, così la stanchezza si accumula.

Lo stress di un lavoratore può essere generalmente gestito dalla motivazione al lavoro ma anche questa è sempre più deludente per gli operatori del SSN, soprattutto per i più anziani che hanno incontrato tante delusioni e fatiche e che si sentono demotivati per il mancato riconoscimento della propria esperienza lavorativa. I lavoratori anziani trovano poi maggiore difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti interni all'azienda e si sentono emarginati ed esclusi dai meccanismi premianti e di carriera.

Il problema forse sarà ridimensionato dal numero effettivo di chi sceglierà di proseguire sino a 70 anni ma per quelli che lo decideranno i problemi rimangono e sono difficilmente superabili. L'unica soluzione è che i Medici del Lavoro mettano in atto strumenti di indagine in parte consolidati, come per il rischio biomeccanico, in parte da reinventare, anche superando stereotipi di sorveglianza sanitaria basata su periodicità rigide e strumenti tradizionali di diagnosi clinica, conclude.

Bisognerà utilizzare nuovi indicatori meno convenzionali come ad esempio il numero di ore lavorate eccedenti le ore contrattuali; lo studio della turnistica per numero di turni mattutini, pomeridiani e soprattutto notturni; l'attenzione agli aspetti gerarchici non solo in termini di carriera ma in termini di valorizzazione delle competenze.

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